Napoli, via Chiatamone 65: la bella struttura di inizio Novecento (progetto di Vincenzo Compagnone e Michele Fontana, realizzato tra 1905 e 1907) nata come galleria urbana sulla scia delle gallerie ottocentesche Umberto I e Principe di Napoli e originariamente destinato ad attività di spettacolo, poi rilevato dal Banco di Napoli nel 1955, dopo molti anni sede del quotidiano il Mattino, é oggi una grande supermercato con garage...

Dal 1962 quel palazzone di via Chiatamone 65, che ha ospitato per molti anni  quello che fu il più grande quotidiano del Mezzogiorno, Il Mattino, è stato negli anni uno sciamare continuo di giornalisti.

Vi arrivavano e ripartivano anche scrittori, poeti, letterati... Per due generazioni di giornalisti e intellettuali napoletani quell’indirizzo non è stato solo un luogo di lavoro - la Fleet Street napoletana - ma uno straordinario incubatore di storie, sogni, passioni e destini, che s’incrociarono all’ombra di una città soffocata ancora dal potere dei Gava, De Mita, Scotti, Di Lorenzo, Di Donato…

Via Chiatamone 65 peró non è stato solo il tempio partenopeo del giornalismo ma anche, e per un lungo periodo, un «covo di innocui trasgressivi», un "centro di attrazione" dove convergevano, a ondate, scontenti, curiosi, naufraghi bisognosi di una zattera cui aggrapparsi, giovani e meno giovani “promesse”, qualche bella donna, qualche campione del catalogo degli “intelligenti”.

Con i "passaggi culturali" - grazie alle brillanti direzioni di Roberto Ciuni e Pasquale Nonno - di Domenico Rea, Raffaele La Capria, Luciano de Crescenzo, Andy Warhol,  Michele Prisco, Giuseppe Marotta, Giuseppe Galasso...

In quelle grandi stanze sono nate ma purtroppo anche morte manifestazioni come la Settimana Motonautica, la Capri-Napoli di nuoto, l'Ondina di Sport Sud, Bontà di Napoli, e i più importanti avvenimenti sportivi culturali e industriali di tutto il Mezzogiorno.

Ma Via Chiatamone 65 è stato soprattutto una sorta di ventre materno per il sottoscritto: il bandolo stesso della mia esistenza…

Vi entrai per la prima volta nel gennaio del 1963, studente universitario con un solo obiettivo: fare il giornalista.

Lui si chiamava Mario Acerra indossava il tight,  giacca nera a falde lunghe e strette,  calzoni a righe grigie e nere con panciotto grigio e cravatta a plastron: sembrava un ricco novello sposo non il portiere di un giornale...

"Chi volete? Chi cercate, che volete? - chiese tra l'ironico e il divertito - Avete appuntamento?". Io risposi sì, avevo appuntamento con il signor Nappa...

Dall'ingresso era visibile la tipografia con le grandi linotype e decine e decine di uomini in camici neri, i tipografi.

Il signor Nappa era il "Proto", il capo della tipografia, ma anche un paziente di mio padre. Era stato ricoverato al Cardarelli anni prima, e durante un "controllo" radiografico (papà è stato primario radiologo presso l'ospedale dei Colli Aminei) promise che mi avrebbe accompagnato a "visitare" il Mattino.

E quello era il giorno…..Il signor Nappa arrivó subito: occhiali spessissimi da miope, baffetti alla Arsenio Lupin, magro e sorridente…. disse a Mario Acerra: "Sta con me...".

Dopo un breve giro in tipografia con il rumore assordante del piombo fuso che diventava lettere dell'alfabeto grazie alle linotype salimmo al primo piano. Tutte le stanze delle varie redazioni erano divise da grandi vetrate, le luci al neon erano fortissime e le pareti color panna.. Conobbi Giacomo Lombardi, l'anima del giornale, e nella sua stanza, subito a sinistra all'uscita dell'ascensore Tom Volpe, ray-ban specchiati, eterna sigaretta tra le labbra…

Grazie al signor Nappa  cominciai a frequentare il Mattino da “abusivo”. La domenica andavo sui campi di calcio della provincia (Cardito, Acerra, Ercolano, Pompei…) e portavo tabellini ( nomi delle squadra, cognomi dei calciatori, arbitro, reti e poche righe di commento ) alla redazione sportiva. Ogni mese passavo dal signor Taglialatela in amministrazione e ricevevo poche lire di compenso…..

Cosí, per anni, mi dividevo tra Mattino e Corriere dello Sport dove Ciccio Degni mi affidava incarichi piú importanti.. addirittura lo spogliatoio della squadra del Napoli, le interviste ai giocatori….. E cominciai a collaborare anche al Corriere di Napoli, Sport Sud e Sport del Mezzogiorno….

Una famiglia "vera" in via Chiatamone 65, dove gli uscieri erano avvezzi a portare dalle loro case in provincia, vino di Gragnano, pizze rustiche, frittate di maccheroni, treccia e tortano... e lo dividevano spesso con noi, ultimi a lasciare il palazzo perché impegnati a "chiudere" il giornale.

Ho fatto di tutto in quel palazzo di via Chiatamone, ho scritto di sport, ho fatto il capo della cronaca giudiziaria, l’inviato speciale..  Ho intervistato capi di stato e personaggi di grido: Ronald Reegan a Washington, Menem in Argentina, e ancora in giro per il mondo a  scovare i capi della P2, Gelli, Pazienza, Ortolani, i boss della mafia Buscetta e Gotti, il capo della camorra Antonio Bardellino...

Ho raccontato terremoti e guerre. Ho avuto anche problemi, però: con le Brigate Rosse, la camorra, la mafia, "scortato" per anni da polizia e carabinieri, ma non ho mai pensato di lasciare. Non potevo, e non perché non avessi paura... "Se non ti fai vedere in giro e ai processi - ricordo le parole di Ciro Paglia e Gianni Campili - capiranno che hanno vinto loro... No, fai lo spavaldo anche se te la fai addosso...". E così ho fatto. Non vi racconto cosa significa vivere "scortato". Non lo auguro a nessuno. Ti seguono anche se devi andare in bagno... La tua vita non ti appartiene più... E meno male che avevo quel palazzone di via Chiatamone 65 che mi "proteggeva", i colleghi, gli amici che mi hanno sempre incoraggiato e appoggiato nel mio allora rischioso lavoro. Dal direttore all'ultimo usciere... era una vera grande famiglia, forse la mia vera famiglia... Con l'editore che senza pensarci due volte mi "ritrasferì" negli Usa - nel periodo delle minacce - dove per le mie precedenti esperienze avevo ancora molti amici...

Tutti i sabati mattina per più di un anno ho volato da Roma a New York dove era stata "nascosta" la mia famiglia grazie anche alla mia grande amicizia con Rudolph Giuliani... Arrivavo verso le cinque del pomeriggio, stavo con loro fino al lunedí pomeriggio, quando riprendevo il jumbo Az  e tornavo a Napoli.....Ho trascorso piú della metà della mia vita sugli aerei, dal Nicaragua al Kenya da Sidney a Santiago del Cile. Ho provato tante volte l'ebbrezza del Concorde ( grazie all'amicizia con il capo ufficio stampa dell'Air France di Roma ) e gli sbalzi dei C 130 "militari", sono stato molte volte nella giungla amazzonica, nel deserto del Sahara e nei ghiacci dell'Antartide.

Sono andato al Polo Nord (e vi ho trovato, incredibile, un napoletano che faceva il barbiere) e nelle fetide paludi del Pantal, in Sudamerica, fra Brasile, Bolivia e Paraguay,  ho girato il mondo non so quante volte. Un giorno mi trovavo a Città del Messico per il sisma che ha causato più di 60mila morti quando mi chiamarono dal giornale e il direttore mi urlò: "Fai un salto a Tel Aviv hanno sequestrato l'Achille Lauro..." ignorando che stavo dall'altra parte del globo.

Sempre in giro per il mondo per anni ed anni ma il mio punto fermo, la mia seconda casa era sempre lì, in  via Chiatamone  65 anche se vi passavo solo pochi giorni l'anno. Ma al telefono - quando ero fuori da Napoli - passavo ore e ore al giorno a dettare i miei articoli ai "dimafonisti" ( ricordo con affetto Ciro Buonanno, il capo...) proponendo i "titoli" con il redattore capo, chiacchierando di politica aziendale, o "inciuciando" su tutto e tutti.

Non sono stati solo colleghi, ma amici in quel palazzone de il Mattino, ai quali raccontavo le mie esperienze, le mie gioie, le mie soddisfazioni sul lavoro, ma anche i miei problemi, le mie angosce, e ai quali chiedevo consigli e non solo lavorativi... Dopo molti anni da quel 1972 il mio amico-editore Romanazzi lasciò e subentrò l'attuale padrone del giornale, suo cognato, l'ingegnere Caltagirone. Pochi mesi e la grande famiglia del Mattino si sciolse.

Prepensionamenti, licenziamenti, l'ossatura di quello che era stato il più grande quotidiano del Mezzogiorno, stritolata... Lasciai anch'io, nel 1997, via Chiatamone 65 quando il Mattino era all'apice con ben 240 mila copie vendute al giorno, un corpo redazionale invidiato da tutti gli editori. Prendemmo strade diverse, ma tenace, intensa, dolcissima continuò ad essere la nostra "amicizia". È stata una bella vita in un giornalismo romantico e d’avventura che concedeva molte opportunità. Forse, a quei tempi, non eravamo moltissimi i giornalisti in Italia e noi più giovani avevamo molti “modelli” cui ispirarci e grandi “maestri” che ci guidavano.  Erano tempi lenti in cui era più facile insegnare e trasmettere il mestiere da una generazione all’altra.

Così è passata una vita...   Ma ho lasciato il mio cuore e i miei affetti in quel palazzone di via Chiatamone 65. Giacomo Lombardi, Ciccio Bufi, Gerardo Guerra, Marco Ciampo, Ciro Paglia, Mino Jouakim, Clodomiro Tarsia, Gaetano Trosino, Gianni Campili, Gianni Ramasco, Mario Caruso, Lello Barbuto, Cesare ed Enrico Marcucci, Ernesto Tempesta, Mimmo Ferrara, Lello Greco, Pietro Gargano, Roberto Marra, Franco Esposito... Con Ciccio Bufi, poco tempo prima che un male incurabile lo ha portato via  ci davamo spesso appuntamento per un pranzetto al Sarago, ricordando con Nando Pennino i “vecchi tempi”.

I nostri capelli un po’ bianchi, ma i nostri cuori giovani perché nel giornalismo avevamo vissuto una bella vita. Ciao, Ciccio, Giacomo, Mario, Lello... Siete nei miei pensieri e nel mio cuore. A parte quel telefono muto con tanti numeri che non potrò più chiamare.  E quel posto-auto che Franco il parcheggiatore non mi darà più perché  in via Chiatamone 65 la mia casa non esiste più...