di Stefano Casini

La storia culturale risale al 1843, durante l'assedio di Montevideo, quando si formò il gruppo teatrale "Aficionado Italianos"  attivo fino al 1848. Rappresentava opere come Saul di Vittorio Alfieri in italiano, Piú tardi, nel 1880, altri gruppi teatrali come "The Italian Drama Club", "Aspirazioni Drammatiche" e "Italian Drama Company" rappresentarono versioni italiane di Otello e Amleto. Fu tale la proliferazione di compagnie teatrali italiane in quell’epoca, che molte opere di drammaturghi uruguaiani furono tradotte per essere presentate in anteprima in italiano. Come esempio, Samuel Blixen ha presentato per la prima volta in italiano un’opera del più importante drammaturgo uruguaiano come Florencio Sánchez. Lo scrittore uruguaiano Juan Carlos Sabat Pebet ha spiegato: “Data la loro bassa scolarità, i primi immigrati arrivati nella seconda metà dell'Ottocento erano soliti parlare la lingua o il dialetto della loro regione di origine e un prodotto lingua franca della mescolanza di più dialetti” 

Quando la capitale Montevideo era sotto assedio e molto prima dell’Unità d’Italia, nacque l'idea dell'unità italiana e l'uso di una lingua comune cominciò ad essere promossa nel territorio uruguaiano. É anche vero che l'integrazione dei nostri connazionale nella vita sociale uruguaiana fu piú facile che, per esempio nei paesi sassoni, per la vicinanza della lingua spagnola. 

Una volta insediato, la conservazione dell'italiano nel tempo dipendeva da diversi fattori come l'età, la composizione familiare, il livello culturale, il tipo di lavoro svolto, i legami con la madrepatria o le tradizioni. Dopo l'indipendenza, lo stato uruguaiano pianificò un paese moderno per l’epoca, omogeneo e con politiche di alfabetizzazione molto profonde che non scoraggiavano il multilinguismo.

Studi condotti dall'Università della Repubblica dell'Uruguay hanno mostrato che gli italiani usavano la propria lingua madre, soprattutto i dialetti e l’uso dello spagnolo influenzava una miscela cha anche prese un nome: “el cocoliche”. La generazione successiva, nata in Uruguay, imparava l'italiano in famiglia ma questo non ha interferito con l'uso dello spagnolo e la terza generazione, purtroppo,  ha perso la lingua o il dialetto dei propri antenati e ha parlato uno spagnolo come la popolazione locale. Queste indagini hanno anche suggerito che la lingua italiana si stava perdendo più rapidamente in Uruguay che in altri luoghi, come New York, perché gli italiani in Uruguay si assimilavano più facilmente ad una cultura costruita, in buona parte, anche da loro stessi.

Per il linguista uruguaiano Adolfo Elizaincín era normale per i figli degli italiani abbandonare la lingua dei genitori. Questo fenomeno potrebbe essere dovuto al fatto di una mancanza di un forte numero di scuole italiane o matrimoni formati tra italiani e membri al di fuori di quella comunità. 

Le prime generazioni nate in Uruguay potrebbero rifiutare la lingua dei genitori nel tentativo di salire socialmente, che era legato a un buon uso della lingua spagnola. Lo scrittore italiano Vincenzo Lo Cascio ha scritto su questo fenomeno: “Come risultato della mescolanza linguistica tra dialetti italiano e spagnolo, nacque il cocoliche, uno slang parlato nei conventillos da immigrati italiani del Río de la Plata tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo.”

Il termine "cocoliche" deriva dal romanzo Juan Moreira dello scrittore argentino Eduardo Gutiérrez, che fu teatralizzato nel 1886 dal figlio uruguaiano di un napoletano di nome José Podestá.

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