DI MARCO FERRARI

Sta per aprire a Roma la casa-studio di Giacomo Balla (Torino, 18 luglio 1871 – Roma, 1º marzo 1958), pittore, scultore, scenografo, autore di "paroliberi" italiano ed esponente di gusto del Futurismo. Un percorso ideativo che lo ha portato a diventare uno dei maestri mondiali del Novecento. Un viaggio pittorico che si evidenzia nella mostra, in cartellone fino a maggio, nella Galleria Russo di via Alibert, dietro piazza di Spagna, a Roma, che rende omaggio all'artista torinese trapiantato a Roma. Si tratta di una sorta d'anticipazione della miniera di sorprese, scoperte, informazioni, suggestioni, che ci riserva l'imminente apertura al pubblico di Casa Balla, il grande appartamento di via Oslavia, alle spalle di piazza Mazzini, dove il pittore traslocò la sua officina creativa e visse per quasi trent'anni, fino alla morte, insieme alla moglie Elisa e alle figlie Elica e Luce. L'artista modellò quel labirinto di stanze a misura del suo talento: lampadari, mobili, arredi, affreschi, pareti tappezzate dai quadri che aveva conservato o non era riuscito a vendere, librerie e cassettiere ingolfate da centinaia di disegni, schizzi, appunti, abbozzi di opere in lavorazione, armadi pieni di giacche e abiti che lui stesso aveva inventato e realizzato. L'inaugurazione, Covid permettendo, è fissato per giugno, a cura della Soprintendenza e del Maxxi che si impegnerà anche a una grande retrospettiva nel museo di via Guido Reni. In pratica è una specie di riscoperta di Balla, ma soprattutto una rilettura destinata a superare le censure che ha dovuto scontare per la sua adesione al fascismo, l'assenza di una critica efficace e obiettiva e uno sguardo diverso e nuovo alle avanguardie.

Già la mostra alla Galleria Russo, grazie al taglio espositivo imposto dal curatore, Fabio Bensi, è un insieme di tracce di vita dell'artista, nonostante la scala ridotta dell'esposizione, un'ottantina di pezzi racchiusi in uno spazio di appena quattro piccole stanze. Un'occasione preminentemente commerciale poiché tutte le opere sono in vendita e almeno un quarto è già stato prenotato o acquistato. Due gli accorgimenti più evidenti. Il primo è che tutti i materiali, molti inediti o poco visti, provengono da Casa Balla, dalla quota andata agli eredi che portano il suo cognome. Insomma, il curatore li ha scelti visitando con rigore prima della spartizione quello studio di via Oslavia, registrandone come note di uno spartito da decifrare le immagini e le voci che ancora vi risuonano in un inestricabile sovrapporsi di tracce d'arte e di vita. La seconda è che la lettura di un pittore qui avviene nel luogo dove ha vissuto e creato partendo da uno sviluppo di tutti i fili narrativi accumulati, offrendo coinvolgenti bussole cronologiche e nuovi strumenti di riflessione e interpretazione. Ecco, quindi una sorta di romanzo per immagini che trova non a caso il suo prologo nei due autoritratti esposti uno di fronte all'altro nella terza sala. Queste due opere fanno parte di una decina di autoritratti di Giacomo Balla. Ma quei due volti, che teneva in casa, racchiudono una confessione che ci consegna in eredità l'intero arco del suo cammino creativo: il primo è del 1894 quando aveva 23 anni, dipinto sul retro di una fotografia di lui bambino scattata dal padre.

Il secondo quadro è del 1940, composto con pastelli su carta, sotto la firma Ball'Io. Le labbra sono arricciate su un sorriso tra ammaccato e beffardo, gli occhi nascosti e sbiaditi dagli occhiali, sulla fronte un'impietosa vertigine di rughe che si spegne in due onde di capelli bianchi arruffati. Il colore precipita in un ricamo di segni nervosi, simile alle impennate anarchiche in cui a inizio secolo sfarinava in modo originalissimo la sua impostazione divisionista. Il pittore si è da pochi anni lasciato alle spalle il frastuono del Futurismo e la figurazione torna a sembrargli l'unica strada praticabile per affrontare la realtà. Balla ha da poco rotto i rapporti con Marinetti e sta perdendo i contatti con i futuristi della seconda ondata, come Prampolini o Dettori che pure ha avuto come allievi, venti anni dopo aver dato scuola ai primi grandi pionieri del movimento in gestazione come Boccioni e Severini. Insomma, Balla inizia un lungo periodo di isolamento e solitudine, dubita delle grandi idee a cui aveva aderito, si sente solo. Lo sfondo dell'ultimo autoritratto è una stanza di via Oslavia, un tempio di grandezza finita e ricordi vividi, pronta a mostrare il suo fascino particolare, riportata agli antichi splendori con un lungo e complesso restauro eseguito sotto la supervisione dei tecnici della Soprintendenza. Situato nel Quartiere Prati, al civico 39B di Via Oslavia, si tratta dell'appartamento che il pittore futurista abitò assieme alla moglie Elisa dal 1929 fino al 1958, anno della scomparsa, e dove fino agli anni Novanta hanno vissuto le figlie Elica e Luce. Dal 26 maggio al 24 ottobre è prevista la prima parte dell'attività, che prevede l'apertura ogni fine settimana, con visite guidate su prenotazione per piccoli gruppi. L'auspicio, come spiega il direttore del MAXXI, Bartolomeo Pietromarchi, è quello di rendere fruibile la casa-museo al pubblico in maniera permanente. Contestualmente alle visite guidate in loco, il Museo ospiterà nella Galleria 5 la mostra "Casaballa. Dalla casa all'universo e ritorno", che raccoglie disegni, oggetti, bozzetti, arredamenti, provenienti da Casa Balla, posti a confronto con oggetti di design appositamente realizzati da artisti italiani e stranieri, fra cui Ila Bêka&Louise Lemoine, Carlo Benvenuto, Alex Cecchetti, Emiliano Maggi, Leonardo Sonnoli e Space Popular.