Di VINCENZO NARDIELLO

Baruffa continua. Scontri sul nulla, tatticismi esasperati, chiacchiere a metà tra bar e campagna elettorale. Lo spettacolo che i partiti offrono alla Nazione resta deprimente. Mentre gli italiani sono alla ricerca di una via per uscire al più presto dal biennio nerissimo del Covid, destra e sinistra sono impegnati in un quotidiano esercizio di peggioramento di quel clima di tregua e responsabilità alla base della nascita del governo Draghi. Certo, per ora la maggioranza riesce ancora a ritrovare l’unità nei momenti decisivi, com’è accaduto con i decreti riaperture e sostegni-bis, ma contrasti e provocazioni sono all’ordine del giorno . Il problema è soprattutto ciò che sta accadendo a sinistra: la debolezza che sta connotando la segreteria di Enrico Letta e le difficoltà crescenti che incontra all’interno di M5S la leadership di Giuseppe Conte, stanno scaricando su palazzo Chigi una serie di tensioni che non vanno sottovalutate. I continui attacchi, le accuse dei Dem nei confronti di Matteo Salvini e gli inviti espliciti ad uscire dalla maggioranza si portano dietro un non detto, un sottinteso molto pericoloso: sembra quasi che al Nazareno - oltre a sperare (inutilmente) che il leader leghista faccia un altro Papeete - ragionino come se avessero un Governo e una maggioranza di ricambio. Ma un Esecutivo del genere non sarebbe più il governo Draghi, nato sul presupposto dell’unità nazionale, bensì solo un altro accrocchio giallorosso. I molteplici segnali di guerra provenienti dal Pd sono stati colti al Colle con un certo allarme. È questa la ragione degli ultimi interventi del Capo dello Stato, che continua a ricordare la necessità di non fare colpi di testa proprio ora. Chi ha a cuore la stabilità, infatti, guarda come a una crescente minaccia la strategia con la quale Letta cerca di colpire la Lega: da un lato orientare a sinistra l’Esecutivo, spingendo possibilmente fuori dal recinto Salvini, dall’altro provare a separare il Carroccio da Forza Italia, che nel disegno lettiano e contiano dovrebbe fare da stampella a una maggioranza Pd-M5S-Leu per andare a fine legislatura. Una mossa che s’incrocia con l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, che però ha trovato un freno nel no di Mattarella a un mandato bis. Una doccia gelata per la strategia Dem, che punta su Draghi premier fino al 2023 per poi sbarazzarsene. Disegno che però ha bisogno di un candidato alternativo forte per il Quirinale. Per questo Letta sperava in una sponda di Mattarella. Che però si è sottratto (almeno per ora), lasciando il Pd col fianco scoperto e il terrore che, una volta eletto Draghi al Colle, si torni alle urne. Com’è giusto che sia, perché il quarto Governo nella stessa legislatura ci esporrebbe al ridicolo internazionale. Servirebbe solo a Pd e grillini per guadagnare tempo e rendere un po’ più competitiva un’alleanza che stenta a decollare. Tutto questo dimostra purtroppo che i partiti non hanno alcuna consapevolezza delle sfide mortali che attendono l’Italia già nei prossimi mesi. Lo dimostra la strampalata idea di patrimoniale sulle successioni lanciata dal Nazareno e subito stoppata da Draghi. In appena 30 giorni lo spread sui nostri titoli di Stato si è allargato di circa 25 punti. I rendimenti tedeschi si stanno riavvicinando allo zero, dopo essere stati negativi per molto tempo, mentre quelli del nostro Btp sono più che raddoppiati negli ultimi tre mesi. Non è tempo di mettersi a fare i Gianburrasca, ma di dare una mano. Perché alla fine troppo debito è sempre fonte di vulnerabilità. E noi nei debiti ci affoghiamo. In questa situazione, dopo gli sbandamenti gialloverdi e giallorossi, l’esecutivo Draghi è la carta estrema per salvare la Nazione. E tocca sperare tutti che il premier riesca nella sua missione. Piaccia o no, altre strade non ce ne sono.