Per mancanza di un chiodo un ferro di cavallo fu perso, mancando un ferro il cavallo fu perso, mancando un cavallo un cavaliere andò perduto, la battaglia fu persa, e perdendo la battaglia fu perso l'intero regno.

Non è un caso che l'antico proverbio venga espressamente citato nel rapporto di 250 pagine sulle supply chains consegnato dal Consiglio economico nazionale e dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan al presidente americano Joe Biden: è una sintesi impeccabile dell'importanza che le catene di fornitura, le supply chains appunto, hanno assunto agli occhi della nuova amministrazione americana post Donald Trump. Una fotografia senza filtri della rinnovata percezione dei processi globali dai quali può dipendere la sussistenza economica e la sicurezza di un Paese che vuole riaffermare la sua leadership mondiale nell'ottica del "build back better", ricostruire meglio, come recitava lo slogan elettorale di Biden. Ma è pure la ragione che sta dietro all'approccio, aggressivo a dir poco, assunto da Washington nei confronti della Cina nelle ultime settimane.

Lo sforzo della task force che ha prodotto il report è stato sovrumano: un lavoro durato solo 100 giorni coinvolgendo una dozzina di Dipartimenti (Commercio, Energia, Difesa e Salute) e agenzie federali, centinaia di stakeholders, dirigenti di industria, ricercatori, esperti. Il 24 febbraio 2021, il presidente degli Stati Uniti ha firmato l'ordine esecutivo (E.O.) 14017, "America's Supply Chains", ordinando al Governo americano di avviare una revisione completa delle catene di approvvigionamento critiche del Paese per identificarne i rischi, affrontarne le vulnerabilità e sviluppare una strategia per garantirne la resilienza a choc esterni e carenze. In occasione della firma dell'ordine esecutivo, il presidente invocò un vecchio proverbio: "Per mancanza di un chiodo, il ferro di cavallo è andato perso". Perché la pandemia ha svelato tutta la vulnerabilità delle forniture americane mostrando come un intoppo in un anfratto del mondo può avere conseguenze incalcolabili sul resto del pianeta.

D'altronde la pandemia, appena si è affacciata all'inizio del 2020, ha subito mostrato come una vasta domanda di prodotti sanitari esplosa a causa del Covid sia stata in grado in pochi mesi di "devastare il sistema sanitario statunitense". Gli aspetti sanitari non sono tuttavia gli unici, immediati e deleteri, a essersi mostrati: mentre il mondo si chiudeva in casa per lavorare, facendo schizzare la richiesta di materiali tech e dispositivi elettronici, si registrava parallelamente una grave carenza di chip e materie prime, con effetti esiziali sull'industria tecnologica e automobilistica. La carenza e gli alti costi di materie prime come legname, acciaio, rame hanno fatto il resto. L'esito dei lavori della task force sono perciò inequivocabili: piccoli guasti anche in un solo punto delle catene di approvvigionamento possono avere un impatto sulla sicurezza, sui posti di lavoro, sulle famiglie e sulle comunità degli Stati Uniti. Per la Casa Bianca è arrivato il momento di correre ai ripari.

All'esito dell'E.O. n. 14017, l'Amministrazione ha rilasciato i risultati delle valutazioni sulle vulnerabilità delle Supply Chain. Tra le varie considerazioni, risalta l'identificazione di quattro settori in cui sono state riscontrate potenziali criticità per la Sicurezza Nazionale: la produzione di semiconduttori e dispositivi di microelettronica avanzata; le batterie ad alta capacità, come quelle per veicoli elettrici; i minerali critici e le terre rare; prodotti farmaceutici e principi attivi farmaceutici (API).

La tutela delle proprie catene di approvvigionamento è prima di tutto materia di sicurezza nazionale, questa è la base di ogni ragionamento dietro qualsiasi decisione di politica economica che la Casa Bianca sarà chiamata ad assumere nei prossimi tre anni. La dipendenza dalle forniture estere rappresenta, secondo Washington, una minaccia al ruolo di leadership economica, tecnologica e militare degli Stati Uniti. Minaccia che ha un nome preciso e che non si fatica molto a individuare: si tratta di Pechino.

Ci sono molti settori dell'economia americana che sono stati colpevolmente trascurati e oggi rappresentano un tallone d'Achille nella pianificazione economica degli Stati Uniti e nella sua sicurezza. Ad esempio, "innovazioni essenziali per la preparazione militare, come le batterie agli ioni di litio, richiedono un ecosistema di innovazione, competenze e strutture produttive che attualmente mancano negli Stati Uniti", si legge nell'impietoso rapporto datato giugno. Il report cita poi la mancanza di produzione interna di antibiotici che "compromette la nostra capacità di contrastare minacce come pandemie e bioterrorismo". Per non parlare della carenza di materie prime e terre rare: secondo il Dipartimento dell'Energia, la Cina raffina il 60% del litio e l′80% del cobalto a livello mondiale, due elementi fondamentali per le batterie ad alta capacità di ultima generazione e che oggi espongono il "futuro dell'industria automobilistica nazionale" a una "vulnerabilità critica".

Un tema strettamente intrecciato con la carenza di semiconduttori e che Washington per anni ha costantemente sottovalutato. Il risultato, evidenziato dal Dipartimento del Commercio, è stato che "i massicci investimenti pubblici nella fabbricazione di semiconduttori ha permesso alle imprese coreane e taiwanesi di surclassare le imprese basate in America". Secondo i dati della Semiconductor Industry Association, nel 1990 gli Usa rappresentavano il 37% della produzione di semiconduttori, oggi solo il 12% sebbene quasi la metà della vendita dei prodotti finiti sia in capo ad aziende a stelle e strisce.

La sottovalutazione continua dell'importanza di alcuni settori oggi ritenuti strategici non è stata però casuale ma frutto di politiche improntate all'efficienza e alla riduzione dei costi che hanno minato la prosperità e la sicurezza dei lavoratori americani così come la capacità di gestire le risorse naturali del Paese, scrivono gli esperti della Casa Bianca. "Decenni passati a concentrarsi sul lavoro come costo da tenere sotto controllo, e non come un bene su cui investire, hanno depresso i salari reali e ridotto la presenza sindacale. Ora - continuano i consiglieri di Biden - bisogna concentrarsi sulla creazione di percorsi che consentano a tutti gli americani di accedere a posti di lavoro ben retribuiti". Il messaggio è chiaro: gli Usa devono ricostruire la loro "base manifatturiera di piccole e medie imprese che hanno sopportato l'urto dello svuotamento della produzione statunitense", anche attraverso la diversificazione delle forniture. Questo non vuol dire che tutto dovrà essere prodotto sul suolo americano, "ma per troppo tempo abbiamo assunto che alcune caratteristiche dei mercati globali - in particolare la paura che le aziende e il capitale possano fuggire ovunque le tasse, i salari e i lacci regolamentari siano minori - siano inevitabili".

Il progetto dell'amministrazione Biden, così ambizioso da poter apparire a tratti velleitario, punta a cambiare i connotati dei processi di globalizzazione: "Dobbiamo premere per una serie di misure — tasse, tutele del lavoro, standard ambientali e altro — che aiutino a plasmare la globalizzazione per garantire che funzioni per gli americani come lavoratori e come famiglie, non semplicemente come consumatori".

Da quando si è insediato, ricorda il rapporto, il Governo americano non è rimasto con le mani in mano: ha già avviato collaborazioni con le imprese attive nel mercato dei semiconduttori, mentre il Dipartimento della Difesa ha annunciato un investimento nell'espansione della più grande azienda di estrazione e lavorazione di terre rare al di fuori della Cina. Ma lo sforzo ancora non è sufficiente, c'è da concentrarsi su quattro settori individuati dalla Casa Bianca: i semiconduttori, elementi essenziali per i dispositivi elettronici di consumo e per telecomunicazioni, infrastrutture tecnologiche, sistemi aziendali e governativi (basti pensare che un'auto richiede anche più di 100 semiconduttori per touch screen, comandi motore, telecamere di assistenza alla guida eccetera); le batterie ad alta capacità, dal momento che secondo le stime si passerà da una domanda da circa 747 Gigawattora (GWh) nel 2020 per le batterie destinate ai veicoli elettrici a 2492 GWh nel 2025 e attualmente, a politiche invariate, la capacità di produzione Usa dovrebbe aumentare solo di 224 GWh nei prossimi quattro anni e mezzo; minerali e terre rare, indispensabili se si pensa che la domanda globale di litio e grafite che servono per le batterie elettriche vedranno la domanda schizzare del 4000% entro il 2040; prodotti farmaceutici e principi attivi, visto che la pandemia ha mostrato tutta l'importanza di una base industriale per una sanità pubblica resistente e che circa l′87% delle strutture Api (principi attivi) generiche sono fuori dai confini americani, lasciando il sistema sanitario a stelle e strisce vulnerabile alla carenza di medicine essenziali per la salute dei cittadini.

Come detto, le gravi carenze registrate nell'economia americana con riflessi sulla sua sicurezza nazionale sono figlie di politiche e sottovalutazioni perpetrate per anni. Oggi l'America, si legge nel report, fa i conti con una capacità manifatturiera insufficiente, incentivi alle imprese disallineati e con effetti a breve termine, e una forte interconnessione con le politiche industriali adottate dagli alleati e partner commerciali, nonché dai rivali. L'Ue, ad esempio, ha annunciato un fondo di ricerca da 3,5 miliardi di euro per lo sviluppo di batterie elettriche. Ma i pericoli arrivano da Oriente più che da Occidente. Taiwan, il Paese leader nella fabbricazione di chip, fornisce sussidi cospicui alle sue imprese, a livello fiscale, per la costruzione delle fonderie e per la ricerca. In Sud Corea e Singapore i costi per la gestione degli impianti si riducono del 25-30% grazie ai sussidi statali, mentre il solito Governo di Pechino "si distingue per il ricorso aggressivo a misure economiche, molte dei quali al di fuori delle pratiche commerciali accettate a livello globale, per stimolare la produzione nazionale e conquistare quote di mercato nelle catene di fornitura critiche".

Un'altra causa del costante impoverimento dell'humus industriale americano sta anche nella concentrazione geografica di alcune produzioni fondamentali per il corretto funzionamento delle supply chains, dovuta a efficaci politiche dei rispettivi governi esteri unite alla ricerca costante di manodopera a basso costo. Per questo non sorprende che l'economia globale dipenda per il 92% dalle imprese taiwanesi nella produzione di chip di ultima generazione, la Cina ospiti il 75% della capacità globale di fabbricazione di celle per le batterie elettriche e il secondo Paese più popoloso al mondo, l'India, importi circa il 70% dei principi attivi per i medicinali dalla Cina.

Per i consiglieri della Casa Bianca se l'America non vuole perdere il suo ruolo di leader mondiale, questo è il momento di agire. Bisogna al più presto "ricostruire la nostra capacità di produzione e innovazione", con misure ad hoc e mirate per ogni settore strategico individuato. Servono almeno 50 miliardi di dollari in investimenti nell'industria dei semiconduttori, 15 miliardi di dollari per le infrastrutture necessarie per i veicoli elettrici, altri finanziamenti dovranno andare alle imprese che non hanno le risorse necessarie per mettere in atto la transizione dal fossile all'elettrico. Bisognerà investire molto in Ricerca e sviluppo, individuare potenziali sedi di produzione e lavorazione sul suolo nazionale per i minerali critici, favorire la trasparenza in tutta la catena di fornitura dei prodotti farmaceutici, sfruttare il ruolo del governo come acquirente e investitore in beni considerati critici come di recente è avvenuto con il programma Warp Speed sui vaccini. E ancora, occorre rafforzare le scorte statunitensi, per troppo tempo trascurate con le risorse dedicate costantemente dirottate su altre voci di spesa considerate più impellenti.

Tuttavia, scrivono gli esperti, non si può pensare di plasmare l'economia statunitense senza relazionarsi con gli altri attori nel mercato globalizzato. I consiglieri americani hanno quindi elencato anche una serie di suggerimenti che il Governo potrebbe tradurre in pratica nei suoi rapporti economici con gli altri Stati. A cominciare da nuovi strumenti per combattere la concorrenza sleale di altri Stati (si legge Cina) e il rafforzamento della collaborazione con alleati e partner anche attraverso un maggiore impegno diplomatico incentrato sul multilateralismo.

Quello delineato dal rapporto dei consiglieri di Biden è un quadro completo di tutte le misure che la Casa Bianca potrebbe mettere in campo per invertire la rotta nella sua dipendenza dalle forniture straniere. Tra i vari suggerimenti non può mancare quello di attivare al più presto un monitoraggio continuo lungo le catene di approvvigionamento per registrarne le interruzioni immediatamente. Quando si fanno i conti con la carenza di un prodotto - basti pensare all'acciaio o ai container - bisognerà individuarne le cause e porre rimedi che non siano estemporanei ma duraturi. Per questo serviranno "una task force guidata dai Segretari al Commercio, Trasporti e Agricoltura", e un hub informatico che raccolga i dati e registri le interruzioni, i colli di bottiglia e i vincoli all'offerta di un bene o prodotto considerato indispensabile per la produzione domestica americana e per la sua sicurezza. Sia esso un elemento chimico come il Neodimio o, come insegna il vecchio proverbio, un semplice ferro di cavallo.

di Claudio Paudice