Insomma, ci risiamo. La questione è sempre la stessa: come penalizzare gli italiani all'estero, neanche questi fossero figli di un dio minore. Qual è il problema? Semplice: il tanto decantato “green pass”, sorta di lasciapassare per il paradiso, decantato a destra e a manca, da Parigi a Bruxelles, da Roma a Berlino, come la soluzione di tutti i problemi, in materia di lotta ai contagi.

Il dibattito di questi giorni sta animando la politica italiana, tra chi non vorrebbe limitarsi a renderlo obbligatorio per il solo ingresso in Italia dai Paesi dell'Unione europea e altri Paesi dell'area Schengen. Ma anche per entrare in bar, ristoranti e cinema sull'esempio francese. Sarà. In attesa che si decida il da farsi, resta la solita “fregatura” - in senso lato s'intende - per quanti, pur avendo il “tricolore” nel sangue (e il passaporto italiano in tasca, s'intende), abitano oltre i sacri confini della Ue.

Sì, perché un italiano di Montevideo o Buenos Aires, potrà tranquillamente attaccarsi al… classico tram. Per lui, senza certificato verde, sarà molto difficile, per non dire impossibile, tornare sul suolo patrio anche solo per godersi una sana e rilassante vacanza. E fa niente se magari avrà già preso il Covid e si sarà pure immunizzato, oppure avrà concluso il ciclo vaccinale: se non ha il “green” niente “pass” niente viaggi destinazione Stivale. Funziona così a certe latitudini, quando si tratta di (non) pensare agli italiani all’estero.

Bontà loro: chi saranno mai costoro? Par di sentir mormorare. Hanno lasciato il Belpaese? Bene. Restassero lì dove si trovano ora. Chissenefrega delle loro esigenze! Eppure “verrà un giorno…”, diceva quel tale nei “Promessi Sposi”. Verrà sicuramente. Quando si tratterà di scegliere i parlamentari che avranno il compito di rappresentare la comunità italiana che vive all’estero. Scommettiamo che stavolta ci si ricorderà di questo come di tutti quanti gli altri “sgarbi” commessi in piena pandemia?

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