di Pino Nicotri

Afghanistan tornato talebano diventerà il grimaldello USA per soffiare sul fuoco in Cina? Aizzando le mire autonomistiche della minoranza musulmana uigura. Non pochi uomini della quale combattono a fianco dei talebani in Afghanistan.

E per creare problemi all'Iran approfittando dei quasi 950 chilometri di frontiera comune? Oppure diventerà partner affidabile degli altri Paesi musulmani contigui e della Cina, frontiera comune di 76 chilometri a est, imboccando col loro aiuto la strade dello sviluppo anche industriale?

Forse mi illudo o è la speranza della disperazione, ma credo più probabile la seconda ipotesi. Perciò non credo che i talebani tornati al governo si abbandoneranno a violenze di massa vendicative.

E non credo tornino a chiudere a chiave le donne.

Le mie speranze o illusioni si basano sui seguenti fatti.

Il 28 luglio scorso il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha ricevuto a Tianjin una delegazione di nove membri dei talebani guidata dal Mullah Abdul Ghani Baradar. È l'uomo che nel febbraio del 2020 aveva concluso con gli americani l'accordo di Doha voluto da Donald Trump. Nonché capo politico degli "studenti coranici".

Baradar incarna la storia della "guerra al terrore" lanciata da Bush padre con l'invasione dell'Afganistan.

E' stato infatti catturato nel 2010 con un'operazione congiunta della CIA e dei servizi segreti pakistani, che lo ha portato in carcere per ben otto anni. Finché gli USA nel 2018 hanno chiesto ai pakistani di scarcerarlo.

La visita a Tianjin si è conclusa con l'assicurazione di Wang Yi che la Cina darà la "propria collaborazione per la ricostruzione dell'Afghanistan". Tradotto in italiano significa finanziamenti. Molti e giganteschi. Per costruire infrastutture, industrie e quant'altro necessario per entrare nei tempi moderni. Senza dover dipendere o essere aiutati dall'odiato Occidente.

Teniamo presente che in tema di infrastutture in territori difficili e montuosi, anche peggio dell'Afganistan, la Cina è riuscita a costruire una ferrovia che arriva fino alla città di Lhasa, capitale del Tibet, con treni capaci di correre a 600 chilometri l'ora.

In definitiva, si tratta della politica cinese praticata a man bassa e con successo in Africa. Politica che di recente ha dovuto subire un rallentamento per l'arretratezza sociale, la diffusione della corruzione che caratterizza troppi Paesi africani.

Le risorse naturali in Afghanistan - In Afganistan invece ci sono nel sottosuolo petrolio, del quale la Cina ha fame crescente perché ne è carente. E almeno 3 mila miliardi di dollari di minerali, soprattutto rame e argento. E comprese le cosiddette "terre rare", necessarie per molti prodotti della modernità tecnologica. Compresi quelli che servono per utilizzare il web. Terre rare della quali la Cina è già oggi la massima detentrice e produttrice mondiale.

Ad accertare la grande ricchezza del sottosuolo afgano sono stati prima i sovietici, negli anni successivi alla loro invasione militare. E poi gli USA dopo l'invasione loro e della NATO del 2001. Molte miniere esistono da tempo. Ma sono a conduzione familiare e totalmente prive dei macchinari necessari per scavare, estrarre, raffinare e far funzionare adeguatamente le miniere.

Eventuali investimenti massicci della Cina in questo settore sarebbero la classica fava per prendere due piccioni. Lo sviluppo verso la modernità dell'Afganistan. E, a differenza di quanto avviene con l'Africa, una notevole remunerazione dei capitali cinesi investiti.

Il ritorno della via della seta - Insomma, un affarone per Kabul e un affarone anche per Pechino. Che potrebbe allargare all'Afganistan una delle sue Vie della Seta, quella che segue il noto percorso storico. E il cavo lungo 15 mila chilometri, fino all'Europa passando per l'Africa, destinato a creare l'Internet cinese completamente autonoma e diversa ( ) da quella già esistente.

Avance di collaborazione economica col nuovo governo afgano sono arrivate anche da Iran, Turchia, Russia. La Turchia è penalizzata dal far parte della NATO e dai suoi rapporti conseguenti con gli USA.

Pechino invece parte in vantaggio perché, come ha voluto ricordare il suo ministro degli Esteri Wang Yi, i talebani

"hanno espresso in molte occasioni la speranza di sviluppare buone relazioni con la Cina, che ha sempre rispettato la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale dell'Afghanistan".

Il problema però è rappresentato dalla società fortemente patriarcale delle varie etnie afgane. Il cui elemento comune, fontamentale e concreto è il considerare la donna come un oggetto. Una proprietà degli uomini completamente sottomessa alla loro volontà e supremazia in tutti i campi.

Lo sviluppo industriale ed economico e le diffusione del benessere portano inevitabilmete alla perdita di importanza delle sempre arretrate società agropastorali, come quella afgana. E a innescare l'emancipazione della donna a causa della sua necessaria presenza nei vari processi produttvi. Cioè nel mondo del lavoro. E quindi anche nell'istruzione scolastica.

Insomma, l'inizio della strada della parità ed eguaglianza di diritti e doveri con gli uomini.

Tutti concetti che oggi fanno inorridire non solo i talebani, ma tutte le etnie e tribù afgane nonché interi Stati musulmani, a partire dalla ultraconcervatrice e reazionaria Arabia Saudita.

Vedremo se la Cina, con l'eventuale e possibile arma dello sviluppo trainato dallo sfruttamento delle risorse minerarie e petrolifere, riuscirà a far rompere le secolari catene delle donne afgane. C'è sempre il rischio che l'eventuale diffusione del benessere lasci inalterato il quadro sociale e la (pessima) condizione delle donne come avvenuto e avviene in Arabia Saudita.