Di PIETRO SALVATORI

Non manca occasione per rintuzzarlo e attaccarlo, ma sulla comunicazione Giuseppe Conte prende spunto dall’arcinemico Matteo Salvini. Nel suo tour in giro per l’Italia il capo del Movimento 5 stelle ha imposto una direttiva precisa agli uomini della comunicazione: fermiamoci a fare selfie. E così in ogni piazza, sotto ogni palco lungo ogni passeggiata in giro per paesi e città, almeno un’ora è riservata alle foto con i fans. L’obiettivo, spiega un contiano in Parlamento, è far girare il suo volto, riempire i social, le chat con gli amici, fedele all’assunto da cui parte tutta la strategia di Rocco Casalino, per il quale il nome dell’ex premier è il vero valore aggiunto per il M5s, la carta che può portare voti nelle urne e rimpolpare un Movimento che nelle ultime tornate elettorali è parso esangue.

Ma non finisce qui. Perché l’opera di accentramento del nuovo leader prosegue anche sui palchi che calca in giro per l’Italia. Lontani i tempi dello Tsunami tour e seguenti, i bagni di folla nei quali il Beppe Grillo di turno o il Luigi Di Maio fu capo politico prendevano la parola dopo una lunga sequela di interventi, podi che venivano condivisi con i parlamentari di turno, vanità di vanità nell’esibirsi in un fervorino prima che toccasse al grande capo. No, Conte è one-men-show, è l’unico a prendere la parola, l’unico a cercare la connessione sentimentale con la piazza, al netto del candidato sindaco di turno, per carità, che non farlo parlare di fronte a chi lo dovrebbe votare proprio non si può fare.

E ancora. Gli interventi in tv sono centellinati, passano tutti sotto l’occhio vigile degli uomini della comunicazione del capo, trascinandosi dietro una sequela di mugugni infiniti, che la tv e uno strapuntino nel talk della sera sono da sempre al centro di appetiti e dissidi tra i 5 stelle. “È chiaro che deve andare solo lui in video - dice uno degli scontenti - al massimo qualche suo colonnello di fiducia, ma poca roba”. E tra questi ultimi si segnalano la new entry Michele Gubitosa, ritenuto serafico e combattivo, efficace davanti alla telecamera, e Paola Taverna, da tempo solidamente al fianco di Conte e considerata il vero anello di congiunzione con la fedeltà al nuovo leader dei senatori, in larghissima maggioranza fiduciosi nel sol dell’avvenire.

E andrebbe pure tutto bene, se non che dentro al Movimento più d’uno aspetta Conte sulla riva del fiume che costeggia le amministrative, pronto a presentargli il conto di un’accentramento comunicativo oltre che nel partito, visto che dei mille organismi che dovrebbero essere l’ossatura dei nuovi 5 stelle sono stati costituiti solo quelli ad appannaggio di Beppe Grillo, Comitato di garanzia e probiviri, mentre tutto il resto è demandando al post voto. “Dopo le comunali lo scenario sarà questo: nessuno avrà di sicuro vinto, noi avremmo perso”. Non sono sfuggite in questo senso le ultime esternazioni pubbliche, quelle nelle quali Conte ha rivendicato il grande lavoro fatto a Napoli e a Bologna. Sondaggi alla mano le uniche grandi città nelle quali i pentastellati hanno buone possibilità di vincere (e uniche nelle quali corrono in coalizione), con un professore ed ex ministro come Gaetano Manfredi nel capoluogo campano, a ruota di una coalizione a traino Pd in quello emiliano-romagnolo, senza aver schierato un nome che al pari di Chiara Appendino o Virginia Raggi potessero essere un vero traino d’entusiasmo e di rivendicazione d’orgoglio per il popolo 5 stelle. Ancora oggi da Gallipoli il presidente M5s ha spiegato che “Questa è una fase di semina, non sarà il risultato di questa tornata che potrà orientare quella che e’ la nostra traiettoria futura”.

Anche perché grande è la confusione sotto il cielo. Francesco Boccia, intervistato dal Corriere della Sera, ha messo in fila i numeri della strana alleanza con i Dem: nei comuni che andranno al voto con il doppio turno, in 40 Pd e Movimento vanno a braccetto, in ben 58 sono avversari, in 27 i 5 stelle semplicemente non ci sono.

“È facile rivendicarsi Napoli e Bologna, e tutto il resto?”, scrivono nelle chat deputati molto critici. Sono tornati a risuonare i casi di Benevento e Caserta, appena tre anni fa veri e propri granai del consenso, il 4 e 5 ottobre senza il simbolo grillino sulla scheda. Città nelle quali le percentuali erano bulgare - 44% a Benevento, addirittura il 54% a Caserta - che sono finite per errori e impreparazione per dover saltare un turno. Ma c’è anche una scelta precisa che ha guidato le scelte dell’ex premier: di fronte a casi critici, meglio un passo indietro che prestarsi a figuracce. Così a Benevento, scoperto che il candidato che sarebbe dovuto essere comune con il centrosinistra aveva l’ombra della massoneria sul groppone, l’opzione di una corsa in solitaria non è stata quasi considerata. Ancora peggio nella città della Reggia, dove lo stallo fra i parlamentari favorevoli a un’alleanza (Santillo, Buompane e Del Sesto) e quelli contrari (Del Monaco, Grimaldi e Iorio), ha generato uno stallo irrisolvibile. O meglio, che per prudenza e opportunità non è stato risolto. “In tanti posto - racconta un deputato meridionale - è diventato difficile anche trovare candidati consiglieri. Se ti candidi a sindaco ai qualche possibilità di fare il consigliere comunale, altrimenti, da candidato consigliere, per le percentuali che abbiamo sono quasi sicuramente soldi e tempo buttati”.

Questo detto di territori nei quali le 5 stelle della campagna Luigi Di Maio premier avevano fatto tabula rasa degli avversari, quando il problema era quello di non avere abbastanza candidati per ricoprire tutti i seggi conquistati. E dunque meglio nessun conto che un conto salato.

Ma le somme verranno giocoforza tirate nelle città in cui si compete. A Milano, dove si spera che Giuseppe Sala non vinca al primo turno per avere un minimo di agibilità sul secondo, a Torino, dove il passo indietro di Chiara Appendino ha consegnato una quasi certa eredità di ritorno all’opposizione, a Roma, dove Virginia Raggi fatica nei sondaggi a strappare quel secondo posto che le varrebbe il ballottaggio. Tra i deputati già si guarda alla sindaca come possibile punto di riferimento dell’area critica nei confronti di Conte in caso di sconfitta, e il convinto appoggio di Alessandro Di Battista alla prima cittadina non è passato inosservato. All’interno del partito si fa strada già un’ipotesi velenosa, che ha come orizzonte un appoggio a Roberto Gualtieri in caso di sfida a Enrico Michetti. Per fermare le destre e rafforzare l’alleanza con il Pd, certo. Ma anche perché Gualtieri sindaco libererebbe il seggio di Roma centro. E quello sì, al contrario di Primavalle, potrebbe essere riconquistato dai giallorossi. Magari proprio con Conte.