María Rosa di Giorgio è nata nel 1932 nella città uruguaiana di Salto. Era la primogenita di Pedro di Giorgio e Clementina Medici, emigrati con le loro famiglie dalla Toscana al Río de la Plata ed aveva una sorella minore, di nome Nidia, molto vicina a lei. Il nonno materno e il padre gestivano due fattorie di famiglia dove piantavano frutteti. Questi sono gli ambienti dove ha trascorso la sua infanzia e che appaiono, "brillano", come avrebbe detto lei, nella maggior parte dei suoi lavori.

Marosa di Giorgio ha iniziato a pubblicare le sue prime opere negli anni '50 nei due volumi di "Los paleles salvajes"(1989 e 1991). Il lunghissimo "Diamelas a Clementina Médici" del 2000, è stato ispirato dalla morte di mamma Clementina. Come tanti anni prima Delmira Agustini, i suoi testi narrativi sono prettamente erotici come: Messali (1993), Camino de las pedrerías (1997) e Reina Amelia (1999). Le sue opere hanno ricevuto numerosi premi, è sono state tradotte in inglese, francese, portoghese e anche nella nostra lingua, l'italiano.

La sua opera è improntata dalla natura e le sue mutazioni e la mitologia è una costante. Quella di Marosa (Maria Rosa) é una delle voci poetiche più singolari dell'America Latina. Ha uno stile sperimentale e nei suoi scritti troviamo un erotismo selvaggio costruito in un linguaggio che esplora la natura, gli dei grechi, i miti intorno a lei, i corpi e i cambiamenti della societá. Molte delle sue opere hanno scandalizzato la critica ma sono risultate molto seducenti.

Uno dei libri

Nei suoi recital poetici che sono stati riprodotti su cassetta e altri formati, ha dimostrato una grande capacità interpretativa, nella quale si sono mescolate emozioni di ogni genere, dalla paura alla sorpresa, dal disagio al desiderio frenetico ma sempre con una voce molto delicata. Nel 1982 ha ricevuto il Premio Fraternità, assegnato dall'affiliato uruguaiano di B'nai B'rith

Raccontano che prendesse il sole nuda sulle lapidi dei cimiteri, che era una donna bruna, un'eccentrica solitaria che tutti guardavano con condiscendenza. Non si è mai sposata né ha voluto figli. Si trovava spessissimo nel mitico bar Sorocabana di Montevideo, dove passava molte ore da sola, fumando, con una gonna attillata e tacchi alti. Era molto stravagante nella scelta del suo abbigliamento e si identificava con gli animali: ciondolo con un pipistrello, spilla a farfalla, scialli con le ali, una maschera da gatto, e i capelli come se fossero sempre in fiamme, rossi o arancioni.

Dicono che la sua presenza possedeva molta energia statica, era travolgente ma, d'altro canto abbastanza timida, anche se voleva stare sempre al centro dell'attenzione. Molte le contraddizioni che, comunque, hanno sedotto i suoi biografi ed ogni genere di opposti percorre la sua opera.

Un altro libro

 

Il suo primo libro Poemas fu pubblicato nel 1954. Seguono Humo (1955), Druida (1959), Historia de las violetas (1965), Magnolia (1968), La guerra de los huertos (1971), Está en llamas el jardin natal(1975) e una ventina di altri titoli di poesie, raccolti in Los Papeles Salvajes del 2008, a cui l'etichetta di "Edición Definitiva" corrisponde solo ad essere stata pubblicata quattro anni dopo la sua morte,

Con Misales (1993) ha inaugurato i suoi libri erotici, seguiti da Camino de las pedrerías (1997) e Rosa mistica (2003). Nel 1999 ha pubblicato Reina Amelia, il suo unico romanzo. Con il suo lavoro poetico e la narrativa Marosa ha creato, in più di cinquant'anni, una delle opere capitali della poesia latinoamericana.

Lei non si considerava originale ma, i suoi libri, sono come un bar aperto 24 ore dove si puó entrare o uscire tutto il giorno quando vogliamo e dove ci salutano tanti altri poeti come Rubén Darío o Severo Sarduy.

In uno dei suoi pochi ritratti, sostiene lo sguardo con elegante superiorità come se chi abbia scattato la foto si fosse inginocchiato. Molti storiografi hanno denominato la sua opera come il "Panteismo", come un'espressione religiosa che travolge la sua opera.

I fenomeni della vita, del sesso e della morte si osservano con stupore, quasi con una curiosità infantile senza accenno di qualche filtro morale. Nelle sue "favole", le vergini perdono la loro condizione accoppiandosi con animali, piante, angeli e persino con lo stesso Dio, creando un ambiente mescolato tra esperienze sessuali e mistiche, una delle principali caratteristiche della sua opera.

Quel terreno rurale, o forse quel trapianto della Toscana, dove suo padre e suo nonno si dedicavano all'agricoltura, ha marcato profondamente la sua vita e la sua opera e i suoi lettori non si son mai sentiti a disagio con quei quei lupi, cani, topi che sposano le vergini, violentano e uccidono i fiori che rinascono. Il tema del suo lavoro non era in realtá la natura, ma il suo paradiso perduto dell'innocenza, dell'impotenza di fronte al sesso, alla morte e alle paure infantili.

La sua prima invenzione è stata quella di se stessa partendo dal suo nome, la contrazione dei suoi due nomi di nascita (Maria Rosa), Lei era Marosa, un personaggio inventato con una forza straordinaria e per questo preferiva i recital poetici alle conferenze. Memorizzava le sue poesie e le recitava con inflessioni della voce.

Clementina, sua madre, aveva una sorella gemella, Josefina, anche lei poetessa. Ma chi l'ha conosciuta afferma che, in realtà, Marosa ha sempre voluto fare l'attrice professionista, sebbene ciò fosse impossibile in Uruguay negli anni Cinquanta. Per questo si è dovuta accontentare di essere un'impiegata dell'ufficio dello stato civile di Salto, sua città natale. Finito il liceo, ha studiato legge per alcuni mesi e poi ha abbandonato gli studi. Ha quindi lavorato come redattrice in una sezione del giornale locale dove ha scritto di battesimi, matrimoni e veglie. Era una dattilografa veloce e scriveva scriveva tutto il suo lavoro a mano, come ha affermato Daniel García Helder nell'edizione di Los Papeles Salvajes, la sua opera completa. All'etá di 72 anni le è stato diagnosticato un cancro alle ossa nell'anno 1993 ed è morta nel 2004. Sua nipote Jasmine dice che l'ultima cosa di cui hanno parlato sul letto di morte era di un gatto arancione con le palpebre dorate che guardava Marosa dal davanzale della sua camera da letto. Marosa Di Giorgio, forse un'anima in pena, forse una vita tortuosa, ma sicuramente un marchio italo-uruguaiano d'eccezione.

STEFANO CASINI