di Anonimo Napoletano

Prendo il reddito di cittadinanza e posso restare comodamente sdraiato sul divano di papà, perché dovrei andare a lavorare? Così in Italia non si trovano più camerieri, baristi, commessi, lavoratori nell'edilizia o in agricoltura, receptionist e addetti alle pulizie nelle strutture alberghiere, bagnini e stagionali in genere. Un fenomeno che colpisce tutta la Penisola, da Sud a Nord e da Est ad Ovest, e che ha cominciato a far sentire i suoi pesantissimi effetti proprio con la fine del lockdown, quando l'economia ha avuto bisogno di una scossa per riprendersi e invece tantissimi imprenditori si sono trovati a fare i conti con una drammatica penuria di personale. 

La denuncia arriva un po' da tutti i settori e da tulle le latitudini. In Sicilia, per esempio, sono stati i consulenti del lavoro a lanciare l'allarme. Tra Palermo e provincia si contano 80mila disoccupati, eppure le aziende cercano 60mila lavoratori e nessuno si fa avanti, soprattutto nei settori dell'edilizia per i numerosi cantieri del “Superbonus 110%”, della ristorazione, del trasporto merci e dei servizi alla persona, nonché per la manodopera specializzata nel settore metalmeccanico.  Antonino Alessi, presidente dell'Ordine dei consulenti del lavoro di Palermo, accusa: “Nella nostra provincia abbiamo 67.473 famiglie con 182.530 componenti che beneficiano del reddito di cittadinanza, e questo è il risultato”.

La colpa? Soprattutto dei centri per l'impiego che non funzionano, dei “furbetti” che prendono il sussidio anche se non lo meritano, di quelli che lo prendono e preferiscono arrotondare con lavoretti extra a nero, magari solo un paio di giorni a settimana.

Non va meglio in Campania, dove è stato lo stesso presiedente della Regione Vincenzo De Luca ad accusare senza mezzi termini la misura voluta dai 5 Stelle: “Se uno prende 700 euro al mese, non gli interessa trovarsi un lavoro, preferisce andare poi a fare qualche altro doppio lavoro. In Campania camerieri non se ne trovano”. E ricorda quanto già accaduto nel 2020 quando non si trovavano stagionali per l’industria conserviera.

La conferma arriva da uno dei più noti ristoranti napoletani, lo storico “Mimì alla Ferrovia”: “Non troviamo personale”, spiega il titolare Michele Giugliano, “e così abbiamo dovuto rimediare rimettendo in sala i parenti, tra cui mio cugino Michele, di ottantotto anni suonati ma con un entusiasmo da ragazzino”.

Ma non è solo un'emergenza locale. La Fipe ha denunciato la scorsa estate l’assenza di ben 150mila lavoratori solo nel settore della ristorazione a livello nazionale. E non si parla solo di personale qualificato (cuochi, aiuto cuochi, pizzaioli, camerieri) ma anche di lavapiatti o addetti alle pulizie. 

E Paolo Bianchini, presidente di Mio Italia, Movimento imprese ospitalità, spiega: “Il personale di sala e di cucina è difficilissimo da trovare non solo per i ristoranti ma anche per bar, pizzerie e cocktail bar. Il reddito di cittadinanza, come il sussidio di vario tipo funge da deterrente occupazionale per i giovani e meno giovani, che preferiscono continuare a percepirlo e, quando si presentano ai colloqui, chiedono di lavorare in nero”. E persino uno chef stellato come Gianfranco Vissani, nel ricevere il premio “Ambasciatore del Gusto 2021”, al Ferrara Food Festival qualche giorno fa, ha affermato: “In cucina non troviamo più giovani per colpa del reddito di cittadinanza e dei genitori iperprotettivi”.

Ma non dovevano risolvere  tutto i “navigator” inventati dal ministro Gigino Di Maio? Proprio dai dati dell'Anpal (l'Agenzia nazionle per l'avvio al lavoro) viene fuori una situazione disastrosa: l'esercito di 2.980 navigator, che ha pesato sull'erario oltre 6 milioni di euro al mese, ha generato l'assunzione di appena 423 persone. Rimangono al palo un milione e 650mila percettori di reddito di cittadinanza che non hanno fatto nemmeno il colloquio preliminare o ricevuto una mail per un primo contatto. 

Eppure i posti non mancano. Passando nel Centro Italia, le offerte di lavoro provenienti dai vari centri e pubblicate sul portale della regione Lazio restano senza risposta. L'associazione il Cenacolo cercava 6 progettisti per promuovere iniziative socio-culturali all'interno dello spazio coworking di Cinecittà: non li ha trovati. Un'agenzia privata cercava per una catena di ristoranti 5 pizzaioli esperti per Dublino, disponibilità immediata, offrendo dopo sei mesi di prova un contratto a tempo indeterminato, più vitto, alloggio e bonus. Niente da fare. 

Non va meglio nelle Marche, dove il presidente del Mio regionale, Raniero Albanesi, parla di vera e propria criticità di manodopera per il comparto dell’ospitalità a tavola: “Manca personale di sala e di cucina, a causa del reddito di cittadinanza che spinge giovani e meno giovani a trascorrere il tempo sul divano o a fare lavori saltuari in nero”.

Mentre in Toscana è Confagricoltura a denunciare: “Mancano duemila lavoratori in agriturismi e strutture alberghiere. Il 10-15% del personale che servirebbe alle strutture risulta scoperto”. E sul litorale questa estate non si trovavano nemmeno bagnini: il Consorzio balneare Costa Est (tra San Vincenzo e Piombino) ha lanciato un appello per coprire 50 posti.

Passando al Nord il grido d'allarme è lo stesso. “Dopo un anno di chiusura, non mi sarei mai aspettato di trovarmi in queste difficoltà nel reperire personale», ha commentato Luciano Pareschi, titolare del parco Caribe Bay di Jesolo. E sempre in Veneto ci sono circa 3.400 posizioni da coprire. Oltre il 60% dei posti è nel turismo e commercio, ma si cercano anche artigiani e operai specializzati (muratori, idraulici, elettricisti, meccanici, installatori, manutentori, falegnami), conduttori di impianti, addetti al magazzino, ingegneri, informatici, esperti di marketing, infermieri, autisti.

Il problema è anche che i centri per l'impiego, concepiti su base regionale, non dialogano tra loro. Così un calabrese che ha voglia di lavorare non verrà mai a sapere delle richieste che si trovano a Roma o a Firenze. A parte il fatto che, con oltre 700 euro al mese regalati dal reddito di cittadinanza, non si capisce perché dovrebbe mai trasferirsi a lavorare lontano da casa.

E la Caritas accusa: sussidio flop, non arriva ai più poveri

“Privilegiati i single, spiccioli alle famiglie numerose, il 50% dei più bisognosi non riceve nemmeno un euro: la misura va cambiata”

Il reddito di cittadinanza non raggiunge i più poveri e produce addirittura gravi sperequazioni, servono correttivi. È questo in sintesi il risultato a cui è giunto l'ultimo studio della Caritas, reso pubblico la scorsa settimana. Il “Rapporto 2021 sulla povertà e l’esclusione sociale” monitora la situazione della povertà in Italia e rileva alcuni punti molto critici della recente misura introdotta dal primo Governo Conte. In primo luogo, i nuovi poveri che si rivolgono a centri e servizi dell’organismo della Conferenza episcopale italiana per dormire o mangiare sono aumentati in un anno di un milione e 900mila unità, ma di questi solo uno su 5 (appena il 19,9%) ha avuto accesso al sussidio dello Stato. Un po' pochi. Eppure i percettori del reddito di cittadinanza sono stati in Italia nel 2020 ben 3,7 milioni di persone. Secondo la Caritas il sussidio “non è capace di intercettare la povertà assoluta”. Più della metà delle famiglie che si trova in questa terribile condizione non riceve il Reddito. A fronte di questo dato, la Caritas stima che ben il 36% dei percettori del sussidio non ne avrebbero diritto. 

Ma c'è dell'altro. Così come è stata concepita, la misura crea delle gravi sperequazioni: premia i single e penalizza le famiglie con minori a carico. La Caritas piega anche come mai questo avviene. Il legislatore ha inteso fissare una base di partenza molto alta: 780 euro al mese per una persona del tutto priva di reddito e di proprietà. E i single sono il 44% dei percettori del Reddito. Partendo da questa base, per evitare di arrivare ad un esborso totale troppo alto per lo Stato, il legislatore ha dovuto giocoforza concedere un aumento graduale molto basso al crescere del numero di persone presenti nello stato di famiglia. Col paradosso che chi ha più bisogno, perché deve mantenere anche dei figli in età scolare, ha pochi spiccioli in più di un singolo. Allo stesso risultato era giunto anche il rapporto Ocse 2021 che ha chiesto all'Italia di ridurre l'assegno per i single, che sono meno a rischio povertà, e aumentarlo per le famiglie numerose. E persino la Commissione Saraceno, istituita dal Ministero del Lavoro, ha scritto che “la scala utilizzata penalizza le famiglie con minori e numerose rispetto ai single o ai nuclei con solo adulti” e “non ha alcuna base nella letteratura scientifica e non viene impiegata in nessun altro Paese europeo”. 

Un'altra ragione che finisce per penalizzare molti nuclei poveri ha a che fare con le proprietà immobiliari. Basta che una famiglia sia proprietaria del monolocale in cui vive, magari senza nemmeno avere i soldi per pagare le bollette, per per vedersi ridurre o addirittura negare il sussidio. Un'anomalia a cui la Caritas chiede di porre rimedio. In fretta.