di Giulia Silvia Ghia

 

C’era una volta un principe, Alessandro Torlonia, quartogenito del banchiere Giovanni Raimondo e di Anna Maria Schultheiss. Nacque il 1 gennaio del 1800 e visse 86 anni in quello che è considerato il primo secolo dell’età contemporanea. Un secolo di grandi trasformazioni sociali, politiche, culturali ed economiche a partire dall’ascesa e dalla caduta di Napoleone Bonaparte, alla successiva Restaurazione, quindi ai Moti Rivoluzionari, alla costituzione di molti Stati moderni tra cui il Regno d’Italia, ma anche alla guerra di secessione americana, alla seconda Rivoluzione industriale fra il Positivismo, l’Evoluzionismo, il Decadentismo, l’Imperialismo e sul finire la Grande Depressione e la Belle Époque.

Il principe Alessandro aveva un sogno, portare avanti l’impresa familiare che suo padre era riuscito a costruire determinando l’ascesa sociale della famiglia, da mercanti di tessuti a fondatori di una banca, trampolino di lancio delle loro fortune. Grazie al ricchissimo patrimonio mobiliare e immobiliare accumulato dal Principe Giovanni, i figli riuscirono a ricevere un’educazione di tipo aristocratico e la formazione di Alessandro si poté arricchire di soggiorni all’estero, che rappresentarono per lui preziose occasioni per osservare realtà economicamente più avanzate e culturalmente più aperte.

Nella seconda metà degli anni ’20, il padre, finalmente, riconobbe le capacità del figlio Alessandro e lo individuò come erede titolare del suo banco, stabilendo per lui addirittura un fedecommesso, che causò una terribile rivalità tra lui e il fratello primogenito Marino. Ad Alessandro, oltre al lascito testamentario del feudo di Civitella Cesi con il connesso titolo nobiliare, di possedimenti, di marchesati e dei due palazzi a Roma vicini a piazza Venezia e a piazza Ss. Apostoli, venne assegnata la villa fuori Porta Pia dove lui impresse tutta la sua attenzione per l’arte. Il padre agli inizi del 1800 aveva chiamato l’architetto Giuseppe Valadier per ampliare la villa padronale su via Nomentana, acquistata nel 1797 dai Colonna, la stessa che fu affittata negli anni avvenire, dal 1925 al 1943, per la cifra simbolica di 1000 lire, da Benito Mussolini, che vi fece costruire un bunker nel seminterrato.  

Negli anni di Alessandro, Villa Torlonia acquisì due costruzioni rilevanti, la Casina delle civette e il Complesso della Serra e Torre Moresca. Ambedue ideate e realizzate nel 1839 da Giuseppe Japelli, noto architetto paesaggista, attivo soprattutto nel Nord Italia, che ebbe l’opportunità di compiere importanti viaggi in Inghilterra e in Francia dove acquisì idee dall’architettura neo gotica sui giardini all’inglese e sull’uso soprattutto di piante esotiche.

Chiamato dal principe Alessandro, che mirava ad adeguare il parco della Villa alla tipologia di giardino all’inglese, con percorsi articolati e costruzioni eclettiche, con l’aiuto di Giacomo Caneva, Giuseppe Japelli concepì per la Serra un’ambientazione di carattere esotico. Doveva essere enorme lo stupore degli ospiti del Principe entrando in quegli ambienti. Già dall’esterno la Serra doveva ricordare le forme arabeggianti delle costruzioni del sud della Spagna, come l’Alhambra di Granada, in evidente contrasto con la capanna Svizzera, oggi nota come Casina delle civette, che nelle sue forme evocava invece ambienti montani.

Lo straordinario apparato decorativo di vetrate con colori sgargianti, di stucchi e dipinti parietali, che sovrastava ogni visitatore sia fuori che dentro la Serra, si completava con le piante esotiche e rare come l’ananas, coltivate all’interno. Da una scala sul retro si accedeva a quella che secondo le antiche testimonianze doveva essere una grande Grotta artificiale che ospitava giochi d’acqua, cascate e perfino delle stalattiti. La Torre arroccata come ultimo elemento di quest’insieme di manufatti era stata concepita proprio per divertire e stupire. Al suo interno era stato fatto costruire il meccanismo del “tavolino apparecchiato” che, tramite un’apertura nel pavimento, saliva direttamente, dalla sottostante cucina, all’ultimo piano, dove gli ospiti potevano così mangiare ammirando un panorama a 360° che filtrava tra i vetri coloratissimi. 

Dimenticato per decenni, sepolto sotto metri di vegetazione, il complesso è stato acquistato dal Comune di Roma nel 1978 in gravissime condizioni di degrado. Le coperture di tutti gli edifici erano crollate, i vetri policromi sopravvissuti in piccoli frammenti solo all’interno dei telai delle finestre in ghisa, completamente perduti erano tutti gli arredi. Nel 2007 sono cominciati i lavori di restauro dopo un lungo periodo di studio e di analisi che ha permesso di riproporre la cupola della torre e le grandi vetrate a colori. Non tutto è stato possibile ricostruire perché alcune delle parti del complesso erano prive di documentazione. 

Seppur dobbiamo quindi usare la fantasia per immaginare, il tavolo semi-movente della Torre Moresca, la grandezza della Grotta purtroppo irrimediabilmente crollata e l’insieme di percorsi, passaggi, giochi e specchi d’acqua, questo insieme di stupefacenti costruzioni, riaperto finalmente al pubblico, ti fa tornare bambino per lo stupore e per il grande senso di bellezza che pervade e inonda, facendoti sentire parte e dunque condividere il sogno del Principe.