Caro Roberto Mancini,
giustamente sei stato eletto, a Dubai, miglior allenatore del 2021. L'Europeo vinto dagli azzurri, a Londra, contro gli inglesi, ai rigori, è stato un trionfo che porta, soprattutto, la tua firma: hai saputo costruire un gruppo unito, hai messo insieme tecnica e psicologia, trovando sempre le soluzioni giuste nello spogliatoio e durante le partite. Abbiamo trascorso giornate memorabili ed entusiasmanti, recuperando la bellezza antica del calcio, tra felicità ed epica. Grazie alle tue scelte e alla tua strategia tattica abbiamo conquistato il secondo titolo continentale della nostra storia, dopo i fasti di Roma del Sessantotto, in quel tempo di furori e illusioni, di barricate e utopie. Come dimenticare? 2-0 alla Jugoslavia, nella finale bis dell'Olimpico, grazie alle reti di Gigi Riva e Pietro Anastasi. A Wembley è arrivata la nostra seconda volta, in una apoteosi di colori e abbracci, di risate e lacrime. Noi, padroni del pallone. Noi, capaci di non mollare mai, nemmeno negli attimi imprevedibili e fatali dei rigori. Abbiamo dimostrato cosa vuol dire essere un collettivo, da Donnarumma a Insigne, passando per Jorginho e Bonucci, fino ad arrivare a Chiesa e Barella.
Passata la festa europea, ecco giungere la delusione per le qualificazioni mondiali. Un azzurro pallido, irriconoscibile, un'occasione gettata al vento. Ad andare direttamente in Qatar è stata la Svizzera. A noi toccheranno gli spareggi: prima dobbiamo battere la Macedonia del Nord, a Palermo, il 24 marzo e poi eliminare, in trasferta, il Portogallo di Cristiano Ronaldo o la Turchia, il 29 marzo. Non sarà facile, ma sono convinto, caro Mancini, che riuscirai, ancora una volta, a ricreare una nazionale dallo spirito vincente, classe e cuore, fantasia e determinazione.
Lo devi fare nel nome e nel ricordo del maestro di tutti voi tecnici, Enzo Bearzot. Nel 2022, esattamente l'11 luglio, il nostro football, con tanta nostalgia e un infinito orgoglio, celebrerà i quarant'anni dal trionfo al Mundial di Spagna dell'82. Quella vittoria fu un inno al carattere, all'amicizia, alla grazia, un successo all'insegna del "realismo magico", e proprio in quell'anno fu Gabriel Garcia Márquez a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura. E torna, forte e struggente, la memoria di Pablito Rossi, il re del gol, il centravanti capace di risorgere, dopo le prime quattro partite opache, e di realizzare tre gol al favoritissimo Brasile e poi due alla Polonia e uno nella finale contro la Germania Occidentale. Finì 3-1 in quella notte incantata del "Santiago Bernabeu", oltre a Rossi, segnarono ai tedeschi anche Tardelli e Altobelli, mentre in tribuna d'onore il presidente partigiano Sandro Pertini esultava con fanciullesca gioia. Rivedo, come in un lampo, i volti sorridenti di Zoff e Scirea, di Cabrini e Bruno Conti (che venne elogiato, per il suo estro, da Pelé), di Gentile e del giovane Bergomi, di tutta quella immensa famiglia azzurra, in grado di trasformare l'impossibile in possibile, di passare dal buio al miele. E, su tutto e tutti, il nostro Don Chisciotte, il grande Vecio narrato da Arpino: Bearzot. Ecco, caro Roberto, è anche per loro, per quegli assi avvolti dalla leggenda e dal mito, che devi ottenere il visto per il Mondiale e, poi, perché no?, alzare in Qatar la Coppa più bella, affascinante e prestigiosa. L'impresa dell'Europeo non è stata soltanto una lucente parentesi: tornerà ad essere una meravigliosa realtà. Ne sono convinto. Anche perché ci sei tu, caro Mancini, in panchina.
Darwin Pastorin