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di Franco Esposito

Soldi provenienti dalla Campania, made clan dei Casalesi. Denaro sporco, frutto di attività illecite. Cifre astronomiche riciclate in acquisti e ristrutturazione di edifici da parte di società del gruppo criminale operante in Toscana. Coordinata dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, l'indagine consegna all'opinione pubblica e alla giustizia un risultato che rappresenta una clamorosa sconfitta per i criminali operativi in Campania e in Toscana. Un ricco patrimonio confiscato: negozi, garage, auto, denaro. 

Ventisei conti correnti, tre auto, otto società, diciotto locali a uso commerciale, sette autorimesse, quattro terreni. Una montagna di denaro accumulata con l'obiettivo di agevolare il clan dei Casalesi. In particolare a quello che fa capo a Michele Zagaria. I beni sono stati internamente confiscati dal tribunale di Firenze, come conseguenza della complessa indagine svolta dalla Dda fiorentina d'intesa con la Guardia di Finanza.

La misura di prevenzione è stata eseguita nei giorni scorsi a carico di Feliciano Piccolo, quarantacinque anni, e Giovanna Corvino, marito e moglie residenti in provincia di Caserta. Secondo gli inquirenti, la coppia è parte di una associazione a delinquere che ruotava attorno a imprenditori edili attivi in provincia di Lucca e nel Casertano. Venivano utilizzati a scopo truffaldino molte società del tipo "apri e chiudi"per i cosiddetti "accordi di cartello". 

Il gruppo si sarebbe aggiudicato una cinquantina di commesse della Asl 3 Napoli Sud per lavori di somma urgenza banditi per importi inferiori ai valori di soglia. Oltre i quali sarebbe stato necessario ricorrere alle procedure di affidamento. I soldi venivano puntualmente riciclati nell'acquisto e nella ristrutturazione di edifici da parte del gruppo di società operanti a Lucca.

Esplosa nel 2018, l'inchiesta è andata avanti per anni. Cinque le misure cautelari, undici gli indagati, oltre cinquanta le perquisizioni fra Toscana e Campania. I clan criminali, una tantum, messi clamorosamente nel sacco. Smascherate le loro lerce attività e privati di una montagna di denaro di provenienza chiaramente non pulita. 

Un'inchiesta da manuale. Scoperchiato un pentolone il cui contenitore era divenuto nel tempo ammorbante. "Presenza di criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio: sono le componenti indipensabili del triangolo maledetto di questa inchiesta", commentò ai tempi il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, Roberto Pennisi. "Le imprese in Lucchesia sono risultate formali esecutrici degli appalti, in realtà i lavori sesso non venivano mai realizzati", fa notare il procuratore Giuseppe Creazzo, presente e operativo nella fase pià critica dell'indagine ultra triennale. 

Gli accertamenti hanno correttamente ricostruito i canali di riciclaggio e i raffinati meccanismi posti in essere dalla  criminalità. Gli uni e gli altri finalizzati all'inquinamento dei bandi di assegnazione dei lavori. Il ruolo decisivo lo aveva arrogato a sé un dirigente della Asl di Napoli, accusato di aver autorizzato il via libera all'aggiudicazione degli appalti in spregio alle più elementari forme di trasparenza. I Casalesi la facevano in definitiva da padroni, potendo contare su appoggi fondamentali in ambito istituzionale. Complicità smascherate dall'indagine, e che hanno portato al copioso sequestro di soldi e altro. 

Truffa continua e aggravata resa possibile da un marchingegno semplice quanto sporco: i lavori assegnati e pagati venivano regolarmente mai eseguiti. I compensi incassati, come  nella misura prevista dai bandi truccati in partenza. Ovvero tenuti bassi per evitare il ricorso alle procedure di legge. 

I pm Luca Tescaroli e Giulio Monferini hanno chiesto e ottenuto il sequestro e poi la confisca dei beni illecitamente accumulati. Il provvedimento presenta come priincipale motivazione "la pericolosità sociale degli indagati e la sproporzione tra i redditi e il patrimonio nella loro disponibilità". Il provvedimento è stato emesso nei giorni scorsi dall'ufficio di prevenzione del tribunale di Firenze, presieduto da Raffaele D'Isa. 

Una decisione definita esemplare e  tempestiva in ambito giudiziario, accolta con grande favore soprattutto in Lucchesia. La vasta zona inquinata dalla presenza dei clan camorristici campani.