di Alessandro De Angelis

 

Camicia sbottonata di due bottoni, come l’uomo che non deve chiedere mai, anche con un freddo cane, eccolo Matteo Salvini, con la voglia di essere il king maker a tutti i costi, dopo nove candidati bruciati, il grande sconfitto di giornata che caccia l’ennesimo coniglio:“Lavoro per una presidente donna e in gamba”. E subito, ca van sans dire, gli fa eco il socio dell’alleanza gialloverde, in un grande revival del loro asse: “Magari, dice Conte, grande occasione per l’Italia”. Evviva l'Italia, dice pure Beppe Grillo. E la donna ha le sembianze del capo del Dis, Elisabetta Belloni, che qualche giorno fa ha incassato il sostegno di Giorgia Meloni.

Se il primo incontro a tre – Letta, Salvini, Conte – per la prima volta dall’inizio di questa elezione per il Colle lascia intendere che si è iniziato a discutere di una rosa di nomi e che l’accordo è possibile c’è un motivo se Enrico Letta non ha parlato di uomini e donne, lasciando intendere che “non sarà breve” e auspica un presidente “all’altezza di Mattarella”. Tradotto: o Mattarella stesso o Draghi. Punto. E immediatamente anche Matteo Renzi mette agli atti che “non è un problema di stima, ma il capo dei servizi non può diventare presidente”. E lo stesso Forza Italia. E anche Luigi Di Maio ci va giù duri sul metodo che rischia di bruciare una grande personalità.

 E ci risiamo con la tentazione di un asse gialloverde, che spacca l’alleanza di governo, in una giornata in cui è fallito il blitz sulla Casellati in modo piuttosto rovinoso certo per la presidente del Senato ma soprattutto con Matteo Salvini, che in quei settanta voti rispetto ai voti potenziali in meno rispetto a quelli a disposizione ha vissuto i suoi personali “101”. Con conseguenze devastanti su una coalizione, quella di centrodestra, che nei fatti non c’è più. E dove si registra un solco crescente con Silvio Berlusconi, per nulla ostile alla soluzione di un Mattarella bis, nelle condizioni date.

Il cuore della questione è il nuovo schema gialloverde messo in campo che prevede, in nome dell’ostilità all’ascesa al Colle del “tecnico” Draghi, un combinato disposto di due tecnici, piuttosto hard in una democrazia occidentale con il tecnico da silurare che sta a Chigi e un altro tecnico, che guida i servizi, al Quirinale. La fotografia di un protagonista politico disposto a tutto pur di salvare se stesso, che si arroga il diritto di proposta quando cioè che è successo glielo nega: dopo nove candidati bruciati, il casting di carneadi in giro per Roma, saltellando tra una casa e l’altra, e la debacle sulla Casellati. Quello che è successo oggi è la cronaca di un azzardo, con la presidente del Senato come candidato di parte, la cui elezione avrebbe avuto incorporata la crisi di governo e la fine della legislatura. E di una cocente sconfitta.

Potere di proposta che Salvini non ha più e che, con ogni evidenza Pd, Forza Italia e Renzi non gli riconoscono. È in atto “una trattativa dura”, fanno sapere dal Pd. Senza giraci attorno: gli altri nomi sono Casini, Draghi e Mattarella. Ma con ogni evidenza, il tema è il bis dell’attuale inquilino del Colle, in una situazione davvero senza precedenti. Al tavolo de leader l’asse gialloverde disegna un perimetro istituzionale senza politici, peraltro mai passati al vaglio della sovranità popolare (bel paradosso dei presidenzialisti nostrani), mentre il cuore pulsante della democrazia, il Parlamento sta producendo un’onda su Mattarella. A proposito di titolarità del potere di proposta. Sono ben 336 i voti all’ultimo (il sesto) scrutinio. Con il centrodestra assente, altrimenti andrebbero sommati i 46 di questa mattina, anzi sicuramente di più, senza il vincolo di una indicazione.

È un’onda che nasce soprattutto come spontanea. Bastava farsi un giro nei Palazzi per respirare come, più passa il tempo più sia destinata a crescere: per insofferenza rispetto allo spettacolo di una politica che gira a vuoto in piena pandemia, per pressione ambientale di chi avverte come per l’opinione pubblica lo spettacolo sia indecoroso, per stima e affetto verso Mattarella. Ma è anche pilotata perché pezzi interi di partiti, a sinistra come a destra – si è visto nei voti per Mattarella nello scrutinio dove si è schiantata la Casellati – ha iniziato a far votare il capo dello Stato uscente come elemento di pressione.

Ormai c’è un fatto politico, ineludibile ormai anche per chi è chiamato a gestire le trattative. Al di là delle alchimie ai tavoli e tavolini c’è un Parlamento, il cui sentimento forse va ascoltato, interpretato. Finalmente, in uno spiffero affidato a fonti del Nazareno “il Pd invita a prendere atto di questa spinta trasversale”. È chiaro che non può essere eletto così, però è una sveglia per leader cervellotici che finora non hanno deciso nulla.