La 'ndrangheta aveva creato un proprio feudo nel litorale laziale. Una vera e propria “locale” (come si chiamano le cosche di 'ndrangheta) con base ad Anzio e ramificazioni nei comuni limitrofi. È quanto emerge dalle indagini della Dda di Roma, coordinate dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò, che hanno portato a 65 arresti e a numerose perquisizioni, anche presso gli uffici comunali di Anzio e Nettuno, effettuate dai carabinieri del nucleo investigativo della Capitale. Alle 65 persone arrestate, di cui 39 in carcere 26 agli arresti domiciliari, vengono contestate, a vario titolo, le accuse di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso, la cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso.

Un capitolo a parte poi riguarda le sospette infiltrazioni nella gestione e smaltimento dei rifiuti e il condizionamenti di appalti comunali attraverso infiltrazioni nelle amministrazioni locali e, persino, il condizionamenti delle elezioni comunali. Tra gli arrestati ci sono anche due carabinieri, appartenenti ad una delle caserme del litorale romano, a testimoniare il grado di controllo e di pericolosità della cosca di origini calabresi. I due sono gravemente indiziati di rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio, e uno dei due di concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare, il sospetto è che abbiano rivelato informazioni riservate a favore del gruppo criminale.

Tutto comincia con il narcotraffico. I clan della 'ndrangheta, infatti, puntavano a “colonizzare” il litorale romano, e per rafforzare il proprio potere sfruttavano la consolidata capacità di importare ingenti quantitativi di cocaina dal Sud America, per poi infiltrarsi nelle amministrazioni locali attraverso la gestione e il controllo di attività economiche nei più svariati settori, da quello ittico alla gestione e smaltimento dei rifiuti. Le indagini dei carabinieri hanno consentito di ricostruire fra l'altro l'importazione di 258 chili di cocaina avvenuta nella primavera 2018, tramite un narcotrafficante colombiano, disciolta nel carbone e poi estratta all'interno di un laboratorio allestito a sud della Capitale. La 'ndrina aveva anche in progetto di acquistare e importare da Panama circa 500 chili di cocaina nascosti a bordo di un veliero che in origine veniva utilizzato per regate transoceaniche.

L'operazione è però saltata quando gli arrestati sono venuti a conoscenza di indagini proprio nei loro confronti. A capo dell'organizzazione, un “distaccamento” dalla 'ndrina di Santa Cristina d'Aspromonte (Reggio Calabria), ci sarebbe Giacomo Madaffari e nel gruppo criminale figurano diversi appartenenti a storiche famiglie originarie di Guardavalle (Catanzaro), tra cui i Gallace, Perronace e Tedesco. Secobdo l'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Roma Livio Sabatini, “la disamina degli elementi probatori contenuti nei capi ascritti a Madaffari ha rivelato, da un lato, una formidabile capacità direttiva e di controllo del territorio e, dall'altra, l'abilità nell'evitare contatti diretti con i sodali”. E parla di “un contesto di criminalità organizzata che agisce da decenni” e ha “solidi legami con taluni esponenti delle forze dell'ordine ed esponenti politici locali nonché con altri clan delinquenziali”.

In una delle intercettazioni, il giorno dopo le elezioni comunali ad Anzio, uno degli indagati diceva ad un altro: “Ieri sera abbiamo vinto le elezioni”. Il riferimento è alla tornata per le elezioni amministrative del 2018 quando a vincere fu Candido De Angelis (non indagato nel procedimento). E il giorno prima al telefono gli affiliati dicevano di essere all'opera per “rimediare qualche voto”. Del resto, i calabresi avevano particolare interesse a controllare gli uffici comunali. Scrive il gip: “Negli enti locali si è ulteriormente concretizzata con l'aggiudicazione degli appalti comunali, sfruttando i rapporti con i compiacenti esponenti degli organi comunali e ricorrendo, ove necessario, all'intimidazione con modalità mafiose”.

Gli investigatori hanno infatti captato conversazioni in cui gli affiliati parlavano di minacce a funzionari comunali e a imprenditori aggiudicatari di appalti pubblici. La cosca era diventata un punto di riferimento per la restante criminalità locale. Si legge sempre nell'ordinanza che la “riconosciuta autorità criminale del sodalizio” emerge anche dal fatto che “'un ristoratore di Anzio” vittima di un'estorsione, e il suo socio occulto Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik (ucciso il 7 agosto del 2019 nel parco degli Acquedotti, ndr), si erano rivolti al gruppo “per cercare aiuto e sostegno”. E per tenersi buoni gli 'ndranghetisti, il ristoratore aveva organizzato nel proprio locale la festa di compleanno della figlia di uno dei boss a titolo gratuito: “Omaggio nostro”, aveva detto al malavitoso.