Vladimir Putin (foto depositphotos)

di Raffaele Savarese

Tutti i trattati di pace iniziano, almeno, con una tregua. E, allora, meglio che gli sforzi dei partner europei e atlantici e di tutta la comunità internazionale si concentrino su questo obiettivo, invece di evocare prospettive di allargamento del fronte bellico inseguendo, magari, l’illusoria retorica della guerra giusta che può solo concludersi con una nuova Norimberga o con l’autocrate, spodestato a furor di popolo (il suo?), appeso nella pubblica piazza. La spinta verso la via negoziale tra i belligeranti non può che prevedere riconoscimenti, rinunce e concessioni reciproche. Tra le domande dal lato russo, resta centrale, per quanto la si voglia giudicare infondata e strumentale -  ma di certo non imprevista - la rinuncia dell’Ucraina a unirsi alla Nato.

Adesione che, va sottolineato, sarebbe, comunque, subordinata all’accordo di tutti i suoi membri e non automaticamente concessa, a domanda degli aspiranti candidati. In cambio della neutralità, i negoziatori ucraini avrebbero messo sul tavolo la richiesta di un “ombrello protettivo” di Usa, Germania e Turchia, contro future aggressioni. Di fatto,  una “mezza Nato”, ma aggirando, sia l’attuale preclusione manifestata dai suoi vertici a Bruxelles - anche alla luce delle ostative, irrisolte, controversie etniche - sia l’obbligo dei suoi membri di non sottoscrivere separati accordi, potenzialmente in contrasto con la latitudine limitata dei suoi scopi militari. Peraltro, appare improbabile che l’eventuale attivazione di questo ombrello, in caso di futura nuova aggressione, possa tenere indenne dal coinvolgimento l’intera alleanza atlantica, ai sensi del suo famoso articolo 5. Ma basterebbe la neutralità, in qualsiasi modo articolata, a garantire la pace?

La domanda riporta in evidenza la fragilità di ogni nuovo equilibrio se non si affronta e risolve, contestualmente, l’annoso conflitto, tra Ucraina e separatisti, nelle regioni russofone. Infatti, se, da un lato, bisogna riconoscere che, per quanto incentivati da Washington, i moti di Euromaidan rivelavano una sincera aspirazione europeista della maggioranza degli ucraini, dall’altro è difficile credere che i separatisti russofoni - per quanto supportati,  anche militarmente, da Mosca - non abbiano reali e radicate ambizioni indipendentiste. Reciproche violazioni e resistenze, avevano già minato l’attuazione dei precedenti accordi di pace di Minsk. Ovviamente, nessuna delle parti attualmente in conflitto potrebbe farsi garante del rispetto di un nuovo assetto nelle regioni contese, se le reciproche milizie, nazionaliste e separatiste, fossero insoddisfatte dell’esito di un accordo tra i governi di Kieve di Mosca e risolute a rimanere in conflitto.  Ecco perché servirebbe il dispiegamento, come forza di peacekeeping, del convitato di pietra, le Nazioni Unite, sinora immobilizzato dal veto russo.

Infine, dovrebbe essere affrontato il vero tema nascosto della guerra: quello dei confliggenti interessi sul gas russo. Non a caso il gasdotto Nordstream 2, è stato la prima vittima delle sanzioni. Passando altrove, pregiudicava il gettito dei diritti di transito di un gran numero di paesi, inclusa  l’Ucraina. Inoltre, l’alleato atlantico non aveva mai nascosto il proprio sospetto verso quella che vedeva come una pericolosa saldatura di interessi tra Russia e Germania. Anche questo capitolo dovrà essere tenuto in conto, nella partita negoziale, con compensazioni e garanzie reciproche. In prospettiva - una volta chiuse queste sanguinose pagine di guerra - più dei nuovi assetti geopolitici e militari, sarà la ripresa delle normali relazioni commerciali ed economiche, tra Este Ovest, a garantire  stabilità e mantenimento di pacifici equilibri in Europa e nel mondo. Chi lo capisce lavorerà per questo.