Nell'immaginario comune non dovrebbe esserci luogo più sorvegliato e sicuro di un penitenziario. Non è così a Napoli, dove il carcere di Secondigliano era stato trasformato in un Grand Hotel per i vertici dei clan di camorra. A loro dall'esterno arrivava di tutto: telefonini, profumi, cibi proibiti e soprattutto fiumi di droga, hashish, marijuana e perfino cocaina. E la cosa più clamorosa è che le sostanze stupefacenti introdotte nelle celle non servivano per l'uso personale dei detenuti: era rifornimenti per una vera e propria piazza di spaccio gestita da alcuni clan di camorra che vedeva come “clienti” gli altri carcerati. È quanto ha appurato un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha portato a 28 provvedimenti di custodia cautelare (gli indagati sono complessivamente trentaquattro), notificati nei giorni scorsi. I destinatari sono principalmente camorristi, raggiunti dal provvedimento in altre carceri italiane, poiché nel corso delle indagini erano stati trasferiti altrove, ma anche quattro guardie penitenziarie: tre sono finite agli arresti domiciliari e una, ormai in pensione, è stata portata dietro le sbarre. Secondo l'accusa, i quattro avrebbero agevolato l'introduzione delle partite di droga in cambio di una “mazzetta” che andava dai 200 ai 400 euro ciascuno per ogni carico. E poi avrebbero anche chiuso tutti e due gli occhi sui traffici che avvenivano dietro le sbarre.

L'inchiesta è partita dalle rivelazioni di una decina di collaboratori di giustizia che hanno svelato l'esistenza consolidata da anni del business del narcotraffico nelle celle del carcere napoletano. Da qui son partite le verifiche dell'arma dei carabinieri e della polizia penitenziaria, che si sono avvalsi anche delle intercettazioni telefoniche, soprattutto dei parenti dei detenuti che, dall'esterno, organizzavano il materiale da far entrare nel penitenziario. Particolarmente rivelatrici sono state le conversazioni captate della moglie di uno dei massimi esponenti del giro di spaccio, che quando ha saputo di agenti della penitenziaria arrestati nel corso di una diversa inchiesta, si è sfogata con l'amica del cuore: “Ma quelli stavano nel reparto dove stanno loro? Oddio, mi sta salendo l'ansia”.

Il reparto in questione è quello denominato “Ligure S3”. Qui convivevano boss di note famiglie malavitose, come i Contini, gli Elia, i Vigilia, e rampolli più giovani venuti alla ribalta delle cronache per le attività criminali gestite nel centro storico negli ultimi anni dalla cosiddetta “paranza dei bambini”. E qui è stata creata la base di spaccio all'interno del carcere. La droga veniva fatta entrare camuffata in pesanti abiti invernali portati dalle famiglie ai detenuti, complici i controlli superficiali svolti dagli agenti indagati. La droga poi veniva “tagliata” nelle cucine delle celle e nascosta al riparo dai controlli dei cani antidroga anche grazie all'uso dei profumi. Pronta per essere venduta al dettaglio ad altri detenuti.

Ma non c'era solo la droga e non c'erano solo i pacchi delle famiglie. Altri beni e in particolare smartphone per permettere ai detenuti di comunicare con l'esterno sarebbero stati fatti entrare grazie all'uso di sofisticai droni, uno scenario tecnologico all'avanguardia per la camorra napoletana. Secondo le dichiarazioni dei pentiti, poi, i detenuti “eccellenti” erano in grado di pilotare i trasferimenti di compagni di crimine nei reparti e nelle celle a loro vicine. Sempre in cambio di “mazzette” alle persone giuste, si parla di cifre intorno ai 4mila euro. In questo modo le persone legate alo stesso clan potevano riunirsi facilmente dietro le sbarre per discutere di traffici illegali, concordare linee difensive nei processi, o proteggersi a vicenda nei confronti dei detenuti di altre cosche. Ma questo è un filone ancora in corso di approfondimento da parte degli investigatori dell'antimafia partenopea.

Del resto, per storici ed esperti non è una sorpresa che le organizzazioni criminali continuino i propri traffici anche dietro le sbarre. Anzi, la camorra è nata proprio nell'800 all'interno delle carceri borboniche sovraffollate e senza alcun controllo da parte dei secondini. Lì i malviventi comuni si organizzarono per gestire “l'ordine” nelle celle e creare una gerarchia, che poi, una volta fuori, si è perpetuata all'esterno inizialmente come raccolta di soldi (con metodi criminali) per aiutare i detenuti e le loro famiglie. Ed è sempre nelle carceri che è stata fondata ed è proliferata negli anni a cavallo dei '70 e '80 la più grossa organizzazione camorristi che la storia ricordi, la Nuova Camorra Organizzata (Nco) di Raffaele Cutolo, un boss che ha passato quasi tutta la vita dietro le sbarre e che da lì riuscì a imporre con la violenza e l'astuzia il suo potere criminale su quasi l'intera Campania. Quello che stupisce è, però, che a distanza di tanto tempo e conoscendo così bene la storia, il carcere di Secondigliano possa essere tornato ad essere un “Grand Hotel” per boss e gregari di camorra.