di Giorgio Merlo

La singolare e anomala vicenda che ha interessato l'ex ministro della Giustizia e attuale sindaco di Benevento e leader del partito "Noi Di Centro" Clemente Mastella, ha dell'incredibile. La vicenda è nota perché è già stata richiamata in questi ultimi giorni su alcuni organi d'informazione. La richiamo all'essenziale per poi arrivare al punto politico decisivo e determinante che richiede, adesso, una riforma profonda e radicale del settore. Cioè della giustizia. E il cuore della vicenda si chiama, per l'ennesima volta, "responsabilità civile dei magistrati" come chiedeva, del resto, il referendum respinto alcuni giorni fa dalla Corte Costituzionale.

Dunque, si tratta della condanna inflitta dalla Corte d'Appello di Roma a Gioacchino Genchi di risarcire tre ex indagati di cui questo ex funzionario di polizia ed ex consulente informatico aveva intercettato alcune conversazioni, benché fossero parlamentari della Repubblica e, di conseguenza, protetti dalle norme e dai principi contemplati dalla nostra Costituzione repubblicana. Si tratta di una vicenda che anni fa, molti anni fa, aveva campeggiato su molti organi di informazione riconducibile alla cosiddetta indagine "Why Not" della Procura di Potenza e guidata dal pm Luigi De Magistris che si basava anche e soprattutto sulle consulenze informatiche fatte dallo stesso Genchi.

Una vicenda, come ormai tutti sanno, conclusasi con una assoluzione definitiva e generale. Per essere, però, ancora più precisi per la cronaca, il reato commesso dall'ex funzionario di polizia Genchi è ormai prescritto ma restano, al contempo, alcune conseguenze non indifferenti e molto concrete. È cioè, i risarcimenti che l'ex poliziotto dovrà pagare personalmente. Ma la novità vera ed esclusiva di tutta questa vicenda è un'altra. Ovvero, il pm che, presumibilmente gli aveva commissionato le consulenze e che, altrettanto presumibilmente, non poteva non essere a conoscenza dei metodi usati, non risponderà di nulla per la semplice ragione che la richiesta di danni all'ex sindaco di Napoli è stata dichiarata inammissibile in base "a una applicazione assai restrittiva della normativa sulla responsabilità civile dei magistrati". Ovvero, per farla breve, va peggio al braccio esecutivo di quella indagine e se la cava del tutto il protagonista di quella operazione giudiziaria.

Morale della favola. Si tratta di una vicenda che ha, come ricordavo all'inizio, dell'incredibile e che però ci dice, ancora una volta, come la riforma della giustizia non sia più una variabile indipendente per la politica italiana e nella politica italiana. E questo al di là ancora del verdetto concreto di questa vicenda singolare e anomala e della eventuale decisione dei legali dei tre ex parlamentari di ricorrere. Una riforma, quindi, che oggettivamente non sarebbe più rinviabile ma che, altrettanto paradossalmente, non riesce a decollare se non per piccoli passi e senza intaccare gli elementi essenziali e decisivi di una riforma che nel nostro paese misteriosamente non riesce a decollare. Eppure, nel momento in cui il populismo giustizialista e manettaro dei 5 stelle e di altri settori della politica italiana è entrato in profonda crisi dopo aver vissuto una stagione da protagonista indiscusso nella nostra cittadella politica, non dovrebbe essere così difficile affrontare, e possibilmente, risolvere i nodi più intricati e storicamente irriformabili di questa materia pur sempre incandescente e delicata.

Non si tratta, quindi, di inoltrarci, ancora una volta, nello scontro tra i giustizialisti manettari e i garantisti democratici e liberali. Semmai, e al contrario, di ripristinare un semplice e persino banale postulato. Ovvero, chi sbaglia paga. Senza corsie preferenziali, senza privilegi di casta, senza subalternità e riverenze varie. Ma nel profondo rispetto dei principi democratici, liberali e soprattutto costituzionali. Verrebbe da dire, recuperando un vecchio e celebre slogan, "se non ora quando"?.