Foto di repertorio (Depositphotos)

di Valeria Fedeli

Quest'anno il 25 aprile assume un significato nuovo. Oppure se vogliamo, purtroppo, terribilmente antico. È tornato a scorrere sangue nell’Europa segnata da un conflitto mondiale che sembrava archiviato nei manuali di storia. Ritornano parole che pensavamo sepolte nella memoria collettiva: occupazione, esecuzioni, fosse comuni, stupri, armamenti, genocidio. Ritorna la parola più feroce di tutte: guerra. Mentre sembra scomparsa la più luminosa: pace.

Così questa giornata che fonda la nostra storia di Repubblica democratica, nata dalla Liberazione che fu lotta armata contro le truppe di invasione naziste e contro il fascismo, non può che avere un significato inedito. Perché? L’ha spiegato con la limpidezza e la forza morale di sempre Liliana Segre, affermando: "Sarebbe difficile in un anno come questo intonare 'Bella ciao' senza rivolgere un pensiero agli ucraini che nelle scorse settimane si sono svegliati e hanno 'trovato l’invasor'". L’ha detto con fermezza il presidente della Repubblica Sergio Mattarella:  "Dal nostro 25 aprile viene un appello alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza. A praticare il coraggio di una de-escalation della violenza, il coraggio di interrompere le ostilità, il coraggio di ritirare le forze di invasione. Il coraggio di ricostruire".

Dunque la campana dell'Ucraina suona anche per noi, che ben sappiamo quanto coraggio e sangue e morte e dolore siano stati investiti nello sforzo di libertà che attraversò il nostro popolo tra il '43 e il '45 per arrivare, dopo una terribile traversata nel deserto del conflitto e dello scontro violentissimo, alla democrazia. Una forma di governo che mai, mai, va data per scontata. E oggi, con l'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione russa, lo sappiamo bene, essendo una minaccia rivolta anche alle nostre società e ai nostri valori. Lo diceva Piero Calamandrei quanto sia fatta di carne viva la nostra bellissima Costituzione nata dalla Resistenza. Quanto vada protetta e fatta vivere quotidianamente, soprattutto con l’educazione alla Memoria e alla Storia dei giovani. Non è un totem, non è un feticcio, "non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile". E lo conosceva profondamente, Calamandrei, quale dovesse essere questo combustibile: "l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità".

Per questo, chiedo, proprio noi che portiamo sulle spalle come monito il grande sacrificio di tante donne e tanti uomini per la libertà e lo Stato di diritto, ecco proprio noi possiamo indicare la strada della resa a chi a Kiev, Cherson, Odessa, Borodjanka, Charkiv sta lottando e vuole lottare per la propria autodeterminazione, per la propria libertà, per la difesa di uno stato sovrano i cui confini sono stati così barbaramente violati da un altro paese? Non sfugge a nessuno la differente cornice storica e politica e anche strategica delle due guerre, ma che senso ha invocarla di fronte all’identica battaglia di resistenza verso l’oppressore? Come non vedere, in sostanza, che esiste un filo ideale che lega l’impegno degli ucraini e delle ucraine a quello di italiane e italiani che scelsero di resistere ai nazifascisti? Quel filo personalmente lo vedo e lo rivendico.

Perciò, quest’anno, il 25 aprile si deve tingere di blu e di giallo, dei colori dell’Ucraina, e il nostro pensiero, proprio nel giorno della celebrazione della Liberazione, non può che andare ai fratelli e alle sorelle che resistono all’esercito russo, nella speranza che le ragioni della pace vincano e nella consapevolezza che non c’è pace quando prevale la logica della prepotenza militare che calpesta il diritto, i diritti, la libertà delle persone. Mai. Per questo, di nuovo torniamo a  chiedere alla Russia di Putin di interrompere questa guerra di invasione assurda e aprire un tavolo per il negoziato di pace.