Dal traffico di opere d'arte agli appalti nel settore aerospaziale, dalla costruzione della linea ferroviaria ad Alta Velocità fino allo smaltimento degli olii usati, i settori su cui allunga i suoi tentacoli la piovra della camorra sono i più vari e disparati. Lo hanno dimostrato in questa settimana tre diverse inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che hanno portato ad una raffica di arresti e sequestri di beni e allo stop agli affari criminali che si espandevano dalla Campania al Lazio e alla Puglia.

L'ultima, in ordine di tempo, è partita da un misterioso furto di un quadro di enorme valore, il “Cristo Benedicente”, dipinto del XVI secolo attribuito a Girolamo Alibrandi, conosciuto come Raffaello da Messina, trafugato alla fine del 2020 dalla basilica di San Domenico Maggiore, una delle chiese più importanti di Napoli. La tavola, copia del “Salvator Mundi” di Leonardo da Vinci (quotato 450 milioni di dollari), fu ritrovata pochi mesi dopo in un modesto appartamento di periferia il cui proprietario non aveva mai avuto problemi con la giustizia. Ma le indagini sono continuate fino a far scattare l'arresto dei due ladri, dei tre chi si stavano occupando di riciclare il dipinto sul mercato nero dell'arte, e del basista, l'insospettabile che aveva permesso il “colpo”, ovvero un operaio che svolgeva lavori di manutenzione nella chiesa ed aveva perciò libero accesso alla sala degli arredi sacri della basilica, dove era custodita l'opera. Le indagini sono state svolte dalla Dda, anche perché sul famoso quadro si erano allungate le mire della camorra, e in particolare del clan Licciardi, a cui i tre ricettatori sono ritenuti contigui. Tant'è che dalle intercettazioni telefoniche e ambientali è emerso che è proprio a Maria Licciardi, “madrina” di una delle più importanti famiglie malavitose napoletane, che i tre si rivolsero affinché si interessasse a piazzare la refurtiva preziosa. La boss in gonnella promise il suo impegno ma l'affare non andò in porto perché l'opera d'arte fu ritrovata dalla polizia. Ma la vicenda testimonia di quanto gli interessi della camorra siano estesi anche a settori insospettabili dell'economia, persino al mercato dell'arte antica.

Lo stesso giorno degli arresti dei ladri d'arte a Napoli, pochi chilometri più a Nord, in provincia di Caserta, la Direzione antimafia ha messo le manette ai polsi a un gruppo di imprenditori collusi con il clan dei Casalesi, che grazie ad un giro di mazzette aveva messo le mani sugli appalti del Cira, il “Centro italiano di ricerche aerospaziali” con sede a Capua, fiore all'occhiello dell'innovazione tecnologica made in Campania. La mente dell'organizzazione, secondo l'accusa, sarebbe una vecchia conoscenza degli investigatori casertani: Sergio Orsi, già condannato per lo scandalo dell'Eco 4, un consorzio di smaltimento rifiuti che drenava soldi pubblici per conto dei Casalesi. Stavolta, Orsi e i suoi complici, attraverso imprese intestate a terzi, si aggiudicavano appalti e subappalti versando a funzionari corrotti il 10% del valore dei lavori. A svelare il meccanismo è stato un ex assessore comunale passato a collaborare con la giustizia. Dalle sue rivelazioni, sono  partite le intercettazioni che hanno permesso di ricostruire ruoli e modus operandi del gruppo.

Ma il “pezzo forte” della settimana è stato certamente il blitz dell'antimafia contro uno dei clan più potenti economicamente dell'intera Campania: i Moccia di Afragola. Ben 57 misure cautelari per capi, gregari e “colletti bianchi”, sequestri di beni per un valore di 150 milioni di euro, che hanno decapitato quella che a buon diritto è stata definita la “camorra imprenditrice”. Niente droga, niente scommesse clandestine, niente “pizzo”, roba d'altri tempi, da piccoli delinquenti. “Questa è camorra pulita”, dice uno dei principali indagati, senza sapere di essere intercettato dalle microspie della Dda. I Moccia, secondo gli investigatori e i magistrati inquirenti, costituivano una holding con interessi ramificati estesa su ben tre regioni. Uno degli arrestati, intercettato in auto mentre parla con un complice, dice chiaramente: “Il clan a Roma siamo noi”. Anche se la base restava salda ad Afragola, la cittadina a Nord di Napoli, di dove è originaria la famiglia Moccia. Le imprese legate ai Moccia avevano messo gli occhi sugli appalti per la costruzione della stazione dell'Alta Velocità ad Afragola, progettata dall'archistar anglo-irachena Zaha Hadid. Agli arresti domiciliari sono finiti anche due dipendenti di “Rete ferroviaria italiana”. Sotto la lente degli investigatori  un viaggio a Dubai del capoclan Angelo Moccia con un dipendente di un'azienda appaltatrice dei lavori assieme alle rispettive mogli. Hanno alloggiato al Waldorf Astoria Dubai Palace, in due suite che costano ciascuna quattromila dollari a notte. Secondo gli investigatori, l'uomo sarebbe il tramite tra i Moccia e i dipendenti infedeli della stazione appaltante. Ma gli affari della cosca si stavano estendendo anche in Puglia dove, alleandosi con il clan Parisi, egemone a Bari e provincia, stavano cercando di avere appalti nel settore del riciclo di olii esausti attraverso una società da loro controllata, la “Soloil Italia”. I Parisi avrebbero fornito ai Moccia contatti con un ex vicepresidente del consiglio comunale di Bari e con esponenti malavitosi di Foggia e Lecce, ed avrebbero fatto pressioni su sindaci e assessori comunali per ottenere gli appalti.