di Francesco Ferrini

Il nostro pianeta non finisce mai di sorprenderci. Accanto alla scoperta di nuove specie animali e vegetali, la ricerca moderna ci consente di indagare aspetti finora poco studiati e, di conseguenza, poco conosciuti. Uno di questi è la longevità degli alberi.

Come scrivono Piovesan e Biondi in un articolo su New Phytologist, i grandi alberi sono il simbolo della vita che si allunga nei secoli. Ma cosa è che permette a certi alberi di essere così longevi rispetto ad altre specie? Ad esempio, l'animale più anziano vivente oggi sul pianeta, una tartaruga di 183 anni, potrebbe essere definito un ragazzino al confronto degli alberi millenari.

Le ricerche pubblicate suggeriscono che gli alberi non muoiono a causa della senescenza geneticamente programmata ma i processi che la regolano non sono completamente chiari in questo tipo di piante come lo sono negli animali e nelle piante annuali. La lunga durata della vita degli alberi è consentita da combinazioni specifiche all'interno di nicchie che supportano la resistenza ad agenti esterni e a disturbi ambientali.

Un altro requisito per raggiungere la massima longevità è la crescita sostenuta per lunghi periodi di tempo o almeno la capacità di aumentare i tassi di crescita quando le condizioni lo consentono. La plasticità di crescita e la modularità degli alberi possono quindi essere viste come un vantaggio evolutivo che consente loro di sopravvivere e riprodursi per secoli e millenni.

Ma sappiamo quali sono gli alberi più vecchi presenti sul pianeta? Fino al 2013, il singolo albero più antico del mondo era considerato Matusalemme (Methuselah), un Pinus longeva di 4.845 anni sulle White Mountains della California. Ma in quell’anno i ricercatori del Rocky Mountain Tree-Ring Research Group annunciarono un’età superiore - pari a 5.062 anni – di un altro individuo della stessa specie situato sulle stesse montagne. Poi, colpo di scena, a quest’ultimo individuo, ancora senza nome, fu revocato nel 2017 lo status di albero più vecchio del pianeta dopo che il campione di legno originale non fu più ritrovato all’interno del laboratorio e quindi non poteva esservi conferma ufficiale dell'età.

Una disputa che appare superata dalla notizia arrivata qualche settimana fa. Un gruppo di scienziati cileni ha scoperto un cipresso della Patagonia (nominato Alerce milenario) che potrebbe essere l'albero vivente più antico sul pianeta con un’età stimata pari a 5.484 anni. L’albero, se confermata la sua età, potrebbe essere già stato presente nelle montagne costiere dell'attuale Cile all'incirca nel periodo in cui Stonehenge era in fase di realizzazione, le piramidi di Giza stavano per essere costruite e il primo sistema di scrittura veniva inventato dai Sumeri.

L’esemplare, che appartiene alla specie Fitzroya cupressoides (una conifera minacciata di estinzione tanto che la Iucn la considera specie in pericolo), cresce riparato in un burrone fresco e umido, ha evitato incendi e disboscamento che hanno fatto scomparire molti altri del suo genere, ed è cresciuto fino a diventare un gigante di oltre 4 metri di diametro. Gran parte del tronco è morto, parte della chioma è caduta. L'albero è ricoperto di muschi, licheni e su di esso crescono persino altri alberi che hanno messo radici nelle sue fessure.

I ricercatori hanno prelevato un campione dell’albero, ma lo strumento che hanno utilizzato non è stato in grado di raggiungere la parte centrale del tronco. Hanno quindi utilizzato modelli computerizzati per tenere conto dei fattori ambientali e delle variazioni casuali per individuarne l'età. Poiché un conteggio completo dei suoi anelli di crescita non è stato ancora effettuato, la ricerca non è stata ancora pubblicata formalmente su una rivista per cui i dati non sono stati validati dalla comunità scientifica.

Pur essendo sia Alerce milenario, sia Matusalemme campioni assoluti di longevità nella categoria dei singoli alberi più antichi del mondo, non possono essere definiti in modo assoluto come i più antichi organismi arborei viventi, perché esistono diverse colonie clonali (costituite da alberi geneticamente identici collegati da un unico sistema radicale e quindi derivanti dalla propagazione di un solo individuo) che sono molto più antiche.

Ad esempio Pando, una colonia composta da oltre 40.000 alberi di pioppo tremulo americano (Populus tremuloides), situata in una foresta nazionale nello Utah centro-meridionale che si stima risalga a 80.000 anni fa. O come Old Tjikko, un abete rosso norvegese (Picea excelsa) di 9.550 anni situato nelle montagne Fulufjället in Svezia. Secondo i ricercatori dell'Università di Umeå, il vecchio Tjikko è probabilmente l'unico tronco vivente di un'antica colonia clonale come lo è il Pando.

Ma gli alberi monumentali non sono solo importanti testimoni storici (dallo spessore delle cerchie annuali si possono ricavare importanti informazioni sul clima e su sconvolgimenti naturali avvenuti nel passato), ma costituiscono anche un habitat vario brulicante di insetti, funghi, licheni, uccelli e piccoli mammiferi e forniscono cibo e riparo essenziali per migliaia di specie di invertebrati.

Purtroppo, uno dopo l'altro, gli alberi secolari che conosciamo stanno morendo e non ce ne sono abbastanza pronti per sostituirli. Non perdiamo solo loro. Nel contesto della crisi globale della biodiversità, con molte specie in forte declino, gli intricati mondi all'interno di alberi secolari potrebbero sembrare un piccolo pezzo del puzzle. Ma senza gli habitat unici forniti dagli alberi secolari, la salute dell'ecosistema forestale più ampio, dai funghi agli insetti fino all’uomo, potrebbe essere compromessa.

Per questo dobbiamo prenderci cura degli alberi che abbiamo ora, per dare loro la possibilità di diventare antichi. Gli alberi sono fabbriche chimiche fragili e complesse e importanti centri per la biodiversità. Senza di loro, molte specie, incluso la nostra, non sopravviveranno.