Foto di repertorio (Depositphotos)

… si leggeva nella scritta, firmata dall’UDI, su un cavalcavia dell’autostrada Roma Napoli. La lapidaria risposta, firmata da un “un benpensante” era: “Il c…. è mio e lo gestisce chi vuole”.  La sapida battutaccia, ispirata dalla meravigliosa capacità napoletana di nascondere la saggezza sotto il sorriso, nel suo rigoglio tradizional-maschilista riconosceva tuttavia le differenze nei comportamenti e nella protezione dei reciproci diritti e facoltà. Eravamo a cavallo fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ‘80. Il 22 maggio 1978, l’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, aveva firmato la legge n. 194, intitolata: “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, proposta da Vincenzo Balzamo (PSI) e sostenuta da PCI, PSI, PSDI, PRI e PLI, immediatamente ribattezzata legge sull’aborto. Violentemente contrari furono la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano, che promossero un referendum abrogativo. Lo scioglimento anticipato delle camere, tuttavia, ne impedì la celebrazione.  L’Italia si era adeguata a quanto già deciso in molti Paesi, inclusi gli Stati Uniti. È infatti del 1973 la famosa decisione della Corte Suprema americana sull’aborto, emessa al termine di una discussione, durata due anni, della causa intentata da Norma McConvay, sotto lo pseudonimo di Jane Roe, contro Henry Wade, District Attorney di Dallas, in Texas. Il dibattito si basava sui princìpi introdotti dal 14th Amendament alla Costituzione americana, entrato in vigore nel 1868, che stabilisce, fra l’altro: “…nessuno Stato può approvare o implementare alcuna legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti, nessuno Stato può privare alcuna persona della vita, della libertà o delle proprietà senza aver seguito il corretto procedimento di legge né può negare ad alcuna persona sotto la sua giurisdizione l’uguale protezione della legge”. In Roe v. Wade, la Corte suprema scrisse una sentenza a favore della querelante facendo valere il “diritto alla privacy” incluso nei citati privilegi e immunità garantiti ai cittadini degli USA, con il correttivo che affida la “protezione del potenziale della vita umana” alla valutazione dei singoli Stati. A tale dizione si sono appigliate da 50 anni a questa parte le forze antiabortiste, più volte ricorse perfino all’omicidio dei medici che praticavano aborti legali o alla devastazione delle cliniche che li consentivano. Il 22 giugno scorso, la decisione del 1973 è stata ribaltata con un testo elaborato dal Giudice Samuel Alito, approvato in toto dai 3 nominati da Trump e da Clarence Thomas, insediato da Bush padre. Ha fato il placet con riserva sulle conseguenze, considerate eccessive , anche il Presidente della Corte, John Roberts.  Questa è la storia. Le implicazioni sono terribili. Ne abbiamo avuto un esempio eclatante nel caso della turista americana a Malta che, dopo un aborto naturale, si è vista negare le cure ospedaliere, rischiando di morire di setticemia, perché Malta non ammette l’aborto e non fa distinzione fra  miscarriage (aborto naturale) e abortion (l’aborto volontario), malgrado la lingua locale sia l’inglese. Al di là della norma, applicata negli stessi USA per molto tempo,  che nel tragico caso in cui uno dei due non possa sopravvivere bisogna salvare la madre, il ribaltamento di Roe v. Wade introduce tre concetti inaccettabili. Primo: la donna non ha alcun diritto sul proprio corpo, perché la sua unica ragione di esistere è quella di “fattrice” di figli per propagare la specie, al pari di tutti gli animali femmine presenti nella fauna mondiale. Secondo: la donna che ritiene necessario un aborto dovrà, da ora in poi, nella maggioranza degli Stati USA, consegnarsi alle mammane con grave rischio di morte. Terzo: chiunque può denunciare la donna che cerca di ottenere un aborto nonché tutti coloro che la assistono. D’altra parte, la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America recita: “Riteniamo evidenti queste verità, che tutti gli uomini [Men] sono creati uguali fra loro, che il Creatore li ha dotati di alcuni diritti inalienabili fra i quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità”. E non ci vengano a dire che, nella mente di chi ha scritto questo bellissimo documento, il termine “Men” includesse anche le donne, dato che nella Costituzione americana il principio di parità uomo-donna non esiste. Ai due tentativi falliti – per colpa principalmente degli Stati del Sud e del Midwest – di introdurre un emendamento in questo senso, pur passato dal Congresso nel 1920 e di nuovo nel 1972, si è aggiunta il 17 marzo 2021 una risoluzione votata dalla Camera dei deputati che cancella la scadenza entro cui deve essere approvato l’emendamento che elimina la discriminazione basata sul sesso. Il Senato, a maggioranza repubblicana, non ha ancora discusso la stessa risoluzione e la Corte Suprema, a maggioranza repubblicana di 6 su 9, ha mandato il preciso segnale di no pasaran rigettando Roe v. Wade. In particolare, nella cosiddetta Bible Belt, la Cintura della Bibbia negli Stati del Sud, questi maschi ipermoralisti dovrebbero rileggere con attenzione il verso 18 del Libro della Genesi che, nell’edizione di Papa Francesco, è tradotto come segue: “Il Signore Dio disse: ‘Non è bene che l’uomo sia solo. Gli voglio dare un aiuto degno di lui. [….] Il Signore Dio, dalla costola che aveva tolto all’uomo, formò la donna, poi la condusse all’uomo. [….] Per questo l’uomo abbandona suo padre e sua madre e si unisce alla sua donna, e i due diventano una sola carne”.  Un’ultima nota, che viene dalle donne del Gruppo Cattaneo. La decisione di abortire non è mai facile né semplice. È tragica e dolorosa. La donne ne porta le ferite psicologiche per tutta la vita. Le ragioni sono tante. Dallo stupro, il cui frutto non può e non deve essere imposto alla donna violentata, all’impossibilità di curare il figlio, in particolare negli Stati nei quali l’assistenza pubblica è limitata se non inesistente per ragioni di razza, falso puritanesimo (i sepolcri imbiancati di cui parla il Vangelo), maschilismo distruttore di ogni minimo rispetto per i diritti e le libertà delle donne. Come ha scritto recentemente un grande giornalista italiano, le donne ricche troveranno sempre chi si occupa del loro aborto in cliniche costose e sicure in qualunque Paese. Le donne povere, cui troppi diritti sono già negati per ragioni razziali, etniche o addirittura di schieramento di partito, ne pagheranno le conseguenze più gravi, anche con la morte.  

(CARLO CATTANEO)