di Massimo Adinolfi

La verità è che stiamo scalando la classifica, risalendo posizioni su posizioni. Solo nell'ultimo anno abbiamo guadagnato tre preziosi punticini e agguantato la Polonia, ma ora guardiamo dall'alto in basso anche la Repubblica Ceca, Malta e la Slovacchia (per rimanere in Europa). E non vi dico Grecia, Ungheria o Bielorussia: tutte ormai parecchio distanziate, grazie ai 14 punti guadagnati in 10 anni. Ovviamente sul podio non ci arriveremo mai, del club delle nazioni più virtuose al mondo non faremo mai parte, Danimarca Nuova Zelanda e Finlandia con il loro inflessibile rigore morale rimangano inavvicinabili, ma ci siamo comunque tolti la maglia nera di nazione più corrotta d'Europa, e questa è una gran bella soddisfazione.

Sarà per questo che, in questi primi giorni di campagna elettorale, non si parla di corruzione, nessuno grida nelle piazze: "Onestà! Onestà! Onesta!", nessuna sventola cappi in Parlamento o lancia monetine davanti a qualche albergo romano?

Quando, a inizio d'anno, Transparency international ha pubblicato il consueto rapporto sull'indice della corruzione percepita, persino Il Fatto quotidiano ha dovuto registrare i progressi dell'Italia, non mancando tuttavia di sottolineare che rimaniamo ancora troppo vicini alla soglia critica, sotto la quale si rischiano pesanti arretramenti nella tutela dei diritti umani e nella libertà di espressione. Ma un momento: se il baratro è comunque a un passo, se basta veramente poco per scivolare nuovamente nella lista dei paesi canaglia, a cosa si deve questo generale disinteresse per le malefatte di politici e pubblici amministratori, per mazzette e tangenti e traffici variamente assortiti? Davvero la pubblica opinione e i partiti vogliono regalarci una campagna elettorale senza gettarsi tra i piedi inchieste giudiziarie e arresti eccellenti, senza rinfacciarsi l'un l'altro responsabilità e connivenze e collusioni, senza tirate morali sul più pulito che ha la rogna?

Ovviamente, non ho idea di cosa stiano cucinando le procure, e mentre uso questa espressione sono consapevole che lascio trasparire un malevolo pregiudizio del quale faccio subito ammenda. Perciò mi correggo: non so se vi siano filoni di indagine pronti ad emergere in superficie (cioè sui giornali, mica nelle aule di giustizia, delle quali non importa nulla a nessuno). Non so nemmeno se sarò smentito di qui a poco, e magari avremo presto gli uni pronti a protestare contro la giustizia a orologeria e gli altri altrettanto lesti nel replicare che c'è l'obbligatorietà dell'azione penale e mica si possono tenere i provvedimenti nel cassetto – e tutti, tutti immancabilmente a confermare con il massimo di ipocrisia che comunque hanno piena fiducia nella magistratura –: davvero, non ne ho la più pallida idea.

Constato solo che per il momento questo infame teatrino ci viene per fortuna risparmiato, ed in mezzo a una campagna elettorale che si annuncia terribilmente buffa, spero di poter dare la buona novella: gli italiani si sono stufati. Perché francamente non riesco a mettere in stretta correlazione questa insolita bonaccia con l'indice di corruzione di Transparency e i dieci punti guadagnati e la Spazzacorrotti dell'allora ministro Alfonso Bonafede (en passant: siamo passati dal vedere Bonafede Guardasigilli al non sapere se lo rivedremo nel prossimo Parlamento. Che fantastica storia è la vita, canterebbe Venditti). E allora cosa? Da cosa dipende questa pace improvvisa? Com'è possibile che dalla pietanza elettorale ci venga tolto l'ingrediente principale degli ultimi trent'anni?

Azzardo un paio di ipotesi, ma con largo beneficio di inventario. La prima è che gli scandali che hanno investito anche la magistratura (vedi Palamara e dintorni) non si può dire che abbiano prodotto chissà quale riforma dell'ordinamento – non me ne voglia il ministro Cartabia, ma di decisivo non hanno prodotto praticamente nulla –  però qualche credibilità alle campagne moralizzatrici affidate a, o fiancheggiate da, provvedimenti dell'autorità giudiziaria l'hanno tolta. La seconda è che è cambiata l'aria, che prevalgono preoccupazioni di altro tipo, più immediatamente esistenziali – la guerra e le bollette, l'inflazione e il caro energia – e troppa voglia di moraleggiare non c'è.

Ma forse è più giusto dire che gli italiani si sono davvero stufati, che una legislatura con i Cinque Stelle all'opposizione a indignarsi contro la piovra democratica e lo psiconano, e un'altra con i Cinque Stelle al governo a progressivamente rinculare, mostrando tutto il velleitarismo delle precedenti sguaiataggini, possono bastare, sono anche troppo. Se così fosse, vorrebbe forse dire non che il populismo è morto, non dico tanto, ma che la sua tambureggiante versione, quella che furoreggiava a colpi di Vaffa day, è oggi un po' meno aggressiva di ieri.

O forse non vuol dire nulla del genere: chissà. Ma non sta scritto da nessuna parte che per ogni fenomeno si debba trovare una spiegazione. Va così, e il resto della partita prosegue pur sempre as usual: il centrosinistra e il complicato quadro delle alleanze, il centrodestra e la muscolare competizione sulla leadership. Le madonne di Salvini, le sparate di Berlusconi, i dispetti fra Letta Renzi e Calenda e i patrioti della Meloni. Però il tema della corruzione, lo scandalo della corruzione, la vergogna della corruzione non appassiona più. E allora lasciatemelo dire: forse un punto lo abbiamo segnato.