di Gabriella Cerami

Pensava al disegno perfetto e ha scoperto che il quadro è un pasticcio. Giuseppe Conte è alla ricerca affannosa di alleati e di uno spazio – e io dove mi metto? E io speriamo che me la cavo ma come? - dove collocarsi alle prossime elezioni in una corsa contro il tempo che non gioca a suo favore. Pensava – quando ha avviato la crisi - di avere sei mesi a disposizione, immaginava di piazzarsi all'opposizione del governo Draghi e da qui far volare i 5 Stelle chissà verso quali percentuali incalzando l'esecutivo, posizionandosi in uno spazio esterno e combat come quello di Giorgia Meloni e rivaleggiando con lei nella caccia ai voti anti-sistema.

Ma il suo progetto è fallito, portando con sé anche la rabbia di tutti quei parlamentari che torneranno a casa prima del previsto. Per non parlare di quelli del secondo mandato che con ogni probabilità non godranno della deroga. Ora all'ex premier non resta che attaccarsi al telefono dalla sede M5s di via di Campo Marzio. Crede di essere il Jean-Luc Mélenchon italiano e vorrebbe fare il federatore della versione nostrana della sinistra-sinistra che in Francia ha ottenuto ottimi risultati alle elezioni. Ma l'ex inquilino di Palazzo Chigi non è Mélenchon, anzi è quanto di più lontano possa esistere sia da punto di vista personale, sia politico, sia antropologico rispetto al leader della sinistra radicale francese che piaccia o non piaccia è a contatto da una parte con il popolo delle banlieue e dall'altra con tutta l'intelligenzia ultra gauchista, quella di cui vorrebbero essere portavoce caserecci i De Masi e i Santoro.

Il paradosso è che Conte, l'ex presidente del Consiglio in pochette e divisa avvocatizia, stia provando a coinvolgere nel suo progetto sinistrorso – ma quanto è di sinistra Conte? Davvero lo è o il suo è un posizionamento tattico sulla base della convinzione che da quella parte c'è spazio? - i partiti che, nel bene e nel male e magari in forme anche caricaturali e infinitesimali, provengono dalla storia della sinistra. Sta inseguendo tutti l'ex avvocato del popolo, fa telefonate di qua e di là, promette alleanze e percorsi comuni, disegna scenari nei quali una Cosa rossa o rossa-green o eco-progressista-di-sinistra farebbe sfracelli. Insiste, secondo la dottrina del suo amico Domenico De Masi e di altri consiglieri, sul paragone tra la Francia e Italia dicendo di non riuscire a capire come mai nel Paese vicino c'è tanta voglia di sinistra e qui invece non c'è o meglio ci sarà appena "noi questa sinistra la faremo".

Ma non trova molto credito. Conte quattro giorni fa chiama Angelo Bonelli, il leader dei Verdi: "Realizziamo insieme una cosa rossa italiana". Ma dall'altra parte del telefono viene respinto. "Gli ho spiegato – dice Bonelli - che questo tipo di operazione è sbagliata perché stiamo consegnando l'Italia a Giorgia Meloni. Io sono per costruire un fronte democratico largo. Non condivido la sua posizione di rottura, noi stiamo lavorando con Sinistra italiana e siamo gli unici che stiamo tentando, se ci sono le condizioni, di costruire un fronte democratico". A proposito di Sinistra Italiana, Conte ha contattato anche Stefano Fassina: "Ci siamo sentiti spesso – dice – ma io non mi presenterò alle elezioni".

Dalla parte di Conte potrebbe esserci invece il giornalista Michele Santoro: "Da osservatore penso che manchi la sinistra in Italia", afferma qualche settimana fa il giornalista intervistato dal Foglio, "e non è un mistero. Ma non ho intenzione di sfruttare la mia popolarità per un blitz elettorale che non va da nessuna parte, ho una storia e la tutelo. Però se Giuseppe Conte decidesse di fare politica, e non tattica, allora sarei anche disposto a dare una mano".

Il Movimento 5 Stelle candiderebbe Michele Santoro? "Parleremo sicuramente anche con lui. Ma voglio evitare operazioni a tavolino. Siamo aperti a chi vuole condividere il nostro progetto, ma l'importante è che tutti i nostri sostenitori condividano la non negoziabilità dei nostri principi", così afferma Conte. E Alessandro Di Battista? "Con lui il discorso è un po' diverso. Ha dato un forte contributo alla storia del Movimento, poi si è allontanato. Se ritorna troverà un nuovo corso. Non sarà più come all'inizio, senza una struttura. Dovrà accettare nuove regole statutarie". Il che è una mezza porta chiusa in faccia al Che Guevara di Roma Nord.

In questa strana storia del Conte che non vuole il Pd ma che non sa fare a meno del Pd, e che si è incartato in una crisi che non ha saputo gestire e che lo ha precipitato in elezioni da lui non previste e come s'è visto finora difficili da maneggiare, lui torna a rivolgersi ai dem in modalità subalterna anche se fa la voce grossa: "Un dialogo col Pd non lo escludiamo, saranno le premesse solo se il Pd vorra' schierarsi a favore dei piu' deboli, del lavoro, dei piu' giovani, delle donne".

Si tratta di un leader finito vittima delle sue presunte macchinazioni. Gli resta solo de Magistris. L'ex sindaco masaniello è l'unico che sembra disponibile a fare sponda con Giuseppe. Il quale è alle prese con una brutta grana. I suoi pasdaran, forse mossi da lui stesso, non fanno che dire di volersi liberarsi perfino di Grillo. Accusato prima di aver propiziato l'accordo con Draghi rivelatosi un disastro per il Movimento, e ora imputato di non volere il terzo mandato per i parlamentari grillini e neppure le deroghe: il che significa quasi azzerare il gruppo dirigente – vedi Taverna, Fico, Bonafede – che di cui si è circondato Conte. Che adesso più che mai è solo nella sua sede signorile in un bel palazzo nel cuore di Roma, da cui pensa di rifondare la sinistra di popolo anche se la location non parrebbe la più adatta per scatenare questa strana operazione Mélenchon.