Matteo Renzi (foto depositphotos)

di Giampiero Mughini

Il fatto è che nella politica reale una cosa è il linguaggio dei numeri nudi e crudi, altra cosa la valorizzazione ideale delle rispettive identità di ciascun partito o raggruppamento. Quanto alla forza dei numeri è del tutto ovvio che il patto intercorso tra Enrico Letta e Carlo Calenda li rende entrambi più forti nello scontro numerico con un centro-destra che appare non lontano dal guadagnarsi il 50 per cento dei consensi elettorali. Più forti intendo di quanto non sarebbe stato se fossero andati a quel confronto distinti e separati. E questo stando alla legge elettorale italiana che in alcuni collegi funziona in senso maggioritario, ovvero vince e si porta via a casa tutto chi ha un voto in più. Fossi stato al posto di Calenda avrei ragionato come ha ragionato lui, avrei detto sì all’accordo con Letta, il quale del resto ha prezzato  non poco tale accordo e tale alleanza. I numeri in politica, cappello.

Naturalmente è anche vero che la lista di Calenda avrebbe attratto a sé più voti se loro avessero combattuto elettoralmente da soli. Una quota non infima del suo elettorato potenziale non trova accettabile l’appoggio a una coalizione di cui fanno parte alcune chiassose schegge sinistroidi. Quando Calenda ha preso quella caterva di voti alle elezioni per il sindaco di Roma, quei voti – a cominciare dal mio – li ha presi perché correva da solo e tutto del suo programma politico era farina del suo sacco. Voti che sono sì rimasti al modo di una testimonianza, ma che razza di testimonianza. Una testimonianza che ha gridato alto al cielo il fatto che l’aut/aut tra centro-destra e l’attuale e un tantino insapore Pd non è una punizione divina alla quale è impossibile non sottostare. No, assolutamente no.

C’è uno spazio eccome per noi “moderati”, un termine di cui Guido Ceronetti diceva che è un termine positivo in tutti i campi della vita fuorché in quello della politica; per noi liberali che ci vantiamo di volere delle riforme possibili e non più che questo; per noi paladini del nucleare pulito; per noi nemici delle tasse che umiliano il merito e il lavoro di qualità e che beninteso paghiamo sino all’ultimo centesimo le tasse dovute; per noi ai quali si rizzano i capelli ogni volta che sentiamo la parola “gente” che non vuol dire assolutamente nulla di nulla e meno che mai nella frastagliatissima Italia; per noi che non dimentichiamo un solo minuto della giornata quanto sia minaccioso il debito pubblico italiano – il secondo al mondo – e che è da suicidi  aumentarlo ancora a costo di caricarlo sui vostri figli e sui vostri nipoti (io non ne ho); per noi che con la libidine della diade avversativa fascismo/antifascismo ci puliamo le ciabatte dato che il fascismo italiano è morto innanzi al muretto di Dongo il 28 aprile 1945, tra non molto sarà un secolo.

Resta fuori dal nostro ragionamento un piccolo particolare che tanto piccolo non è. Un nome. Il nome di Matteo Renzi, di uno che finora non rientra in alcuna intesa pre-elettorale e che i sondaggi dicono sgraditissimo a mezzo mondo, innanzitutto agli elettori del Pd che pure accettano quel Carlo Calenda che di Renzi è un cugino di primo grado. Un caso che per me resta umanamente e politicamente incomprensibile, dato che se c’è uno che ha dato lustro alle convinzioni che ho contrassegnato prima è lui, e questo fin da quando era il sindaco di Firenze. Uno che abbia al suo attivo la terza elementare lo vede a distanza che Renzi se ne mangia dieci degli attuali politici. Il discorso che lui ha pronunziato in Senato poco prima che Mario Draghi venisse decapitato era ai miei occhi e alle mie orecchie risonante. Del resto era stato lui, tutto solo, ad apprestare il sentiero politico che ha portato Draghi a capo del nostro governo nel bel mezzo della tregenda. Perché Renzi è talmente odiato, forse il più odiato di tutti, quel che era già successo a Bettino Craxi e di cui sono in tanti oggi a fare ammenda? Di sicuro era stato da parte sua un errore clamoroso quello di intestare a sé e alla sua persona quel referendum abrogativo del Senato che faceva acqua e orrore da tutte le parti e che pure era salutare nelle sue intenzioni di fondo. Un errore, com’è inevitabile in chi giostra la prima linea della politica. Chi non ne ha fatti?

Mi direte pure che non era il caso di usare quelle parole celebrative del leader arabo di cui era ospite, un leader che c’entrava senz’altro con il martirio di un giornalista trucidato a sangue freddo. Non mi pare però che quando c’è andato recentemente Emmanuel Macron da quel tal signore, abbia usato parole diverse o abbia tenuto un atteggiamento meno dialogante e amicale. Chi fa politica non ha solo a che fare con poeti e apostoli, e non è che Macron sia uno qualsiasi. E allora perché tanta acredine nei confronti di Renzi? Che cos’è che lo rende infetto a tanti di quelli che lo circondano, a cominciare dagli aderenti al partito cui lui aveva fatto toccare il 40 per cento dei consensi elettorali?

Fatti loro. Ebbene, io che pure non dimentico mai che in politica una cosa sono i numeri e tutt’altra cosa le identità politiche alle prossime elezioni voterò Renzi ove si presentasse da solo e gli fosse preclusa qualsiasi altra intesa politica. Non che il mio voto sarebbe un voto di stizza contro questo o quello, per carità. Sarebbe solo una testimonianza, un voto di verità. La mia verità. Quella cui tengo più di ogni altra cosa al mondo.