di Sara Gentile

Spenta la bagarre elettorale, lo strascico dei commenti, il lamento delle piangitrici col velo nero, di tutti i bravi filistei e il sorriso sardonico di quelli che "io l'avevo detto", le lezioni di morale e politica sono sparse dovunque con sicumera e il processo alla sinistra perdente e al suo principale partito, il Pd è appena iniziato e non si concluderà in tempi brevi. Sono molte le colpe attribuite al Pd, e al suo segretario Enrico Letta, dopo molto silenzio nel tempo, da quando il partito è nato, accogliendo in sé due anime e culture diverse, alle sue evoluzioni, disavventure, tentennamenti che ne hanno logorato identità, capacità di decisione, rapporto con la società in mutamento.

Adesso invece con zelo si è messo su un processo come ne Il processo di Kafka, dove il procuratore di banca Josef K. viene una mattina avvisato di un processo a suo carico per reati di cui non si conosce la natura e che egli non conoscerà mai, misteriosi, vaghi, infondati, ma tuttavia tali da incriminarlo. E il luogo del processo è uno squallido condominio di un quartiere di Praga che egli stenta a trovare, preso in un labirinto di porte e portoni. La dimensione onirica e simbolica del romanzo è molto forte, la denuncia di una società piena di incertezze ,ipocrisie e pericoli agli inizi del '900, con la guerra alle porte, con i personaggi più strani che si muovono, agiscono, tramano per condannare il malcapitato banchiere e fare giustizia.

La nostra realtà oggi non è dissimile poiché anche in essa vi sono crisi, guerra e si affollano i personaggi più disparati, tutti convinti di avere la soluzione e trovare il colpevole di una disfatta annunciata, paventata ma mai analizzata nelle sue radici, per costruire sulle sue rovine un piccolo o meno piccolo avamposto, un trampolino di lancio a proprio profitto.

Cominciamo per ordine. Da dove viene questa crisi del Pd? Essa viene da lontano se diamo uno sguardo alla nascita e formazione dei primi partiti di sinistra, a partire dalla SPD tedesca, primo partito socialista europeo, nato nel 1876. Essa infatti sin dai suoi inizi era lacerata da una contraddizione cruciale: voler rappresentare gli interessi del movimento operaio,ai suoi primi passi, ed il suo integrarsi nel contempo come partito nel sistema parlamentare. Insomma da una parte l'azione di classe, la sua vocazione a dar voce alla classe operaia e alle classi più svantaggiate, dall'altra la scelta di far parte degli istituti rappresentativi per rafforzarsi e avere un peso politico, con tutto ciò che questo comportava. La consapevolezza di ciò ed il dibattito che ne seguì non sciolse tale nodo.

Lo stesso vale per il PS francese (che conosce la sua stagione d'oro con Mitterrand) ma che viene risucchiato anch'esso in questo implacabile imbuto fino al disfacimento recente. Lo stesso è avvenuto per vari partiti socialisti nel resto del Sud europeo, in Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, dove con percorsi e caratteristiche differenti si è evidenziata la stessa contraddizione sia pure con alterne vicende. Il problema vero è la crisi del socialismo europeo in una dimensione di tempo lungo.

L'Italia ha una sua specificità che parte dalla scissione di Livorno (1921) in cui dal PS, nello scontro fra riformisti e rivoluzionari, per semplificare, si stacca una costola, quella di sinistra, che formerà il Partito comunista d'Italia (poi PCI), in ossequio alle indicazioni della II Internazionale, contro il riformismo gradualista di Turati. Questo per dire, molto in sintesi, la tensione costante che ha abitato il DNA della sinistra storicamente, mantenendola in un dilemma irrisolto che ne ha segnato il cammino.

Arrivando all'oggi, il Pd viene da diverse trasformazioni e passaggi noti, con una costante: assenza di una strategia adeguata che sconta anni di non decisioni, di omissioni, di politiche appiattite sul presente, quindi di vista corta poiché si è allontanato dalle sue classi tradizionali di riferimento; esso ha privilegiato politiche centriste rispetto a quelle che possiamo definire socialdemocratiche, a scapito di una tradizione di forte impegno sociale e militante, non è riuscito a leggere una società in mutamento, in bilico instabile su una corda scivolosa in cui essere partito delle istituzioni lo ha estraniato a politiche veramente e radicalmente riformatrici, un partito che ora deve ritrovare i suoi legami con la società, le città, i territori.

Eterogenesi dei fini, una oligarchia di partito che impone la sua legge ferrea mettendo la sordina ai suoi militanti (o a ciò che resta di essi) come Michels affermava più di un secolo fa? C'è un grano di verità oggi in tutto ciò, ma ci sono anche elementi diversi: un contesto internazionale mutato e complesso; un mutamento che ha investito tutti i partiti indebolendone le funzioni loro proprie di raccoglitori delle domande del sociale, intermediari capaci ed incisivi presso le istituzioni; una trasformazione della forma democratica pressata da molte sfide e, non ultimo, la mancanza di una leadership adeguata con tratti e qualità che occorre ritrovare e predisporre poiché i singoli individui e le loro capacità non sono variabili secondarie nei processi storici.

Ciò che conta comunque, e non va disperso, è un patrimonio concreto e simbolico che questo partito ha rappresentato nella storia politica italiana del secondo dopoguerra, favorendo, sia pure fra pause, traversie ed errori, un processo di democratizzazione, affermazione di alcuni diritti, allargamento della partecipazione per una cittadinanza non monca. Resta tantissimo da fare, ma non recidendo le radici, sciogliendo questo partito, buttandolo via come alcuni suggeriscono, in uno sconsiderato istinto di cancellazione, non con una corsa narcisistica ad auto candidature prima del suo Congresso che, come tale e soprattutto in una fase costituente, è il solo soggetto e strumento nel quale dibattere, scegliere, decidere! Poiché a forza di tagliare le radici rischieremmo di restare senza gli arti.