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di David Lazzari

Quanti film o libri ricordiamo che ci propongono in mille varianti la fine del mondo? Penso al più recente Don't Look Up, dove l'umanità e i governi non riescono a reagire a una minaccia incombente che finisce infatti per colpire la terra. Una metafora sul riscaldamento globale che mette a rischio il pianeta e sull'indifferenza dei governi che inseguono sempre altre priorità mentre il tempo passa.

Questa dimensione definita appunto "apocalittica" dal testo biblico attribuito all'apostolo Giovanni non è certo nuova, basta pensare all'aspettativa dell'anno mille o, più recentemente, a quella del 2000 legata all'ipotesi di un bug generalizzato dei computer con effetti imprevedibili e incontrollabili. Potremmo citare la fine del mondo attribuita al calendario Maya e molti altri esempi.

Anche se il messaggio più profondo di molti di questi testi è quello di un cambiamento (Apocalisse in greco vuol dire "rivelazione" e non fine del mondo) essi in genere vengono interpretati come annuncio della fine dei tempi.

Oggi viviamo immersi in una dimensione che torna a essere "apocalittica": la pandemiaancora dietro l'angolo, il clima che ci offre esempi e situazioni sempre più estreme e la guerra che incombe e che minaccia una deriva nucleare. Sembra d'avvero che l'umanità e i governi che la gestiscono siano come gli apprendisti stregoni che hanno scatenato forze potenzialmente e terribilmente distruttrici e non sappiano come controllarle.

Molti studiosi, come Paul Beauchamp, sostengono che in realtà la letteratura apocalittica nasce nella storia per dare speranza, per raccontare che il male sarà, alla fine, sconfitto. Però l'idea che si è diffusa è che il cambiamento, la vittoria del bene, deve passare attraverso una catastrofe collettiva, materialmente intesa.

Guardandoci intorno i sentimenti più diffusi sembrano quelli di onnipotenza da un lato e di impotenza dall'altro. L'onnipotenza è una illusione alimentata oggi da tanti fattori, compresa la realtà virtuale dove si può morire centinaia di volte senza farsi male, ma è falsa. E nessuno si salva da solo. Ma anche l'impotenza è un sentimento sbagliato, una convinzione indotta dalla vita che ci rende prigionieri dei nostri timori.

Tanti vorrebbero un mondo diverso, si rendono conto che c'è bisogno di cambiamenti. Ma non dobbiamo per forza passare da una catastrofe collettiva per imboccare questo cammino.

Vediamo intorno tante ansie e paure da queste emergenze che si sommano e sembrano così ineluttabili da creare una "sindrome dell'apocalisse", il sentimento di una fine che ci attende e che non si può evitare o l'illusione che la cosa magicamente riguarderà tutti meno che noi.

Probabilmente questo è il nome più vicino a forme di disagio e disturbi sempre più diffuse che hanno ulteriormente amplificato i numeri del malessere psicologico dettati dalla pandemia. Recenti indagini hanno documentato come il cambiamento climatico, la guerra e timori di una escalation nucleare stanno alimentando un vero e proprio boom di disturbi.

Questa sindrome dell'apocalisse si combatte evitando la rassegnazione, la negazione dei problemi o l'illusione di farla franca, ma facendo tesoro di un messaggio profondo di tutte le "rivelazioni" apocalittiche: ci sono tempi che richiedono un cambiamento di rotta, la fine di una storia e l'inizio di un'altra. Che non passa per catastrofi fisiche o ambientali ma per cambiamenti nella cultura, nella società, nel modo di vedere e affrontare le cose. Cambiamento che passa da ognuno di noi, dalla nostra consapevolezza, dalla voglia di costruire un futuro possibile, da quanto vogliamo fare perché i nostri figli lo abbiano.

Non siamo numeri, siamo persone e ognuno di noi può fare la differenza. Non esistono soluzioni magiche né scorciatoie catastrofiche che risolvono distruggendo, esiste una comunità che può rivendicare il diritto al futuro, che è qualcosa che si costruisce a partire dal presente, cominciando col rifiutare l'ineluttabilità della catastrofe, qualsiasi nome essa abbia, e assumendosi collettivamente le responsabilità verso la vita e il pianeta che ci ospita.