Depositphotos

di Livia Paccariè

Nel 2021 la povertà assoluta conferma i suoi massimi storici toccati nel 2020, anno di inizio della pandemia. Le famiglie in povertà assoluta in Italia sono 1 milione 960mila, pari a 5.571.000 persone, il 9,4% della popolazione residente nel nostro Paese. L'incidenza è più alta nel Mezzogiorno (10% dal 9,4% del 2020) mentre scende al Nord, in particolare nel Nord-Ovest (6,7% da 7,9%). I dati emergono dal XXI Rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale dal titolo "L'anello debole", diffuso in occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà. La povertà assoluta inoltre, avverte il rapporto, non riesce a trovare risposte nelle misure attuate dal governo. La misura di contrasto alla povertà esistente nel nostro Paese, il Reddito di Cittadinanza (RdC), è stata finora percepita da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%). E quello che preoccupa di più, denuncia la Caritas, sono i poveri "ereditari", coloro per cui la povertà morde da generazioni, è quasi una condanna, senza che avvenga un cambiamento legato ad aiuti e solidarietà. Il testo prende in esame le statistiche sulla povertà e i dati di fonte Caritas, provenienti da quasi 2.800 Centri di Ascolto Caritas su tutto il territorio nazionale.

La disuguaglianza sociale cresce. In Italia, ultima tra i Paesi europei più industriali per mobilità sociale, l'ascensore non funziona, si muove di più solo per chi proviene da famiglie di classe media e superiore. Per chi proviene da un contesto familiare di fragilità il rischio è di rimanere attaccati al pavimento appiccicoso - lo "sticky grounds", come lo definiscono gli autori dello studio - della vulnerabilità economica. I casi di povertà intergenerazionale pesano per il 59%. Nelle Isole e nel Centro il dato risulta ancora più marcato, pari rispettivamente al 65,9% e al 64,4%, il nord-Est e il Sud risultano le macro-aree con la più alta incidenza di poveri di prima generazione.Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per la maggior parte da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o analfabeti, oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare. E sono proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere prima il loro percorso di studi, al contrario tra i figli di persone con un titolo di laurea, oltre la metà arriva ad un diploma di scuola media superiore o alla stessa laurea.

In riferimento all'età, scrivono gli autori del report, "i livelli di povertà continuano ad essere inversamente proporzionali". La percentuale di poveri assoluti si attesta al 14,2% fra i minori (quasi 1,4 milioni bambini e i ragazzi poveri), all'11,4% fra i giovani di 18-34 anni, all'11,1% per la classe 35-64 anni e al 5,3% per gli over 65 (valore sotto la media nazionale). "Tra il 2020 e il 2021 l'incidenza della povertà è cresciuta più della media per le famiglie con almeno quattro persone, le famiglie con persona di riferimento di età tra 35 e 55 anni, i bambini di 4-6 anni, le famiglie degli stranieri e quelle con almeno un reddito da lavoro. È cresciuta meno della media invece per le famiglie piccole, con anziani e composte da soli italiani".

La povertà italiana non riesce a essere contrastata dalle misure previste dal governo, non trova un suo contraltare. Il Reddito di Cittadinanza, introdotto tre anni fa in Italia, avverte la Caritas, "esclude una quota consistente di poveri assoluti", coloro che non riescono ad assicurarsi beni e servizi essenziali, e va a coprire anche i poveri "relativi". Li esclude, è spiegato, per i criteri di legge, a partire dalle soglie di reddito e patrimonio, ai 10 anni di residenza in Italia chiesti agli stranieri. Gli importi poi sono "unici in tutto il Paese, mentre le soglie di povertà usate dall'Istat per stimare il numero dei poveri sono maggiori al Nord, riflettendo il maggiore livello medio dei prezzi". I vincoli amministrativi e di gestione "sono troppi" e "impediscono alla seconda gamba del reddito, quella dell'assistenza sociale, di compiersi adeguatamente". Sarebbe quindi "opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti". I poveri "relativi", a rischio di indigenza ed esclusione sociale, potrebbero essere supportati da "molte altre politiche di welfare pubblico, più adatte", si legge nel report, e che riguardano soprattutto l'occupazione e un reddito dignitoso. Accanto alla componente economica dell'aiuto, dice Caritas, "vanno garantiti adeguati processi di inclusione sociale. Ma al momento una serie di vincoli amministrativi e di gestione ostacolano tale aspetto". Il rapporto offre alcune proposte, di rafforzamento della capacità di presa in carico dei Comuni, anche attraverso il potenziamento delle risorse umane e finanziarie a disposizione e un miglior coordinamento delle azioni. Particolare attenzione va data ai nuovi progetti programmi in partenza, finanziati dal Pnrr, tra cui GOL (Garanzia Occupabilità Lavoratori), un programma pensato per rafforzare i percorsi di occupabilità di disoccupati, lavoratori poveri o fragili/vulnerabili (NEET, giovani, maturi), beneficiari di RdC e di ammortizzatori sociali in costanza o assenza di rapporti di lavoro. "Si tratta di 3 milioni di persone da formare o riqualificare entro il 2025, di cui il 75% saranno donne, disoccupati di lunga durata, giovani under 30, over 55. Per il tipo di profilo definiti, questo programma interesserà senz'altro persone che si rivolgono ai centri e servizi Caritas". Sullo stesso tema del Reddito di Cittadinanza è intervenuto il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico: "Continuiamo a dire che il 65% del reddito di cittadinanza va al Sud, ma dimentichiamo di dire che il 70% delle prestazioni Covid sono andate al Nord. Anche per un fattore di onestà nei confronti di tanti cittadini del Sud bisogna guardare alla spesa nel suo complesso e non ai 7,6 miliardi che all'anno si spendono per il reddito di cittadinanza".

Nel 2021 gli interventi della rete Caritas sono stati numerosi e vari. Risultano erogati quasi 1 milione 500 mila interventi, una media di 6,5 interventi per ciascun assistito, considerate anche le prestazioni di ascolto. In particolare: il 74,7% ha riguardato l'erogazione di beni e servizi materiali (mense/empori, distribuzione pacchi viveri, buoni ticket, prodotti di igiene personale, docce, ecc.), il 7,5% le attività di ascolto, semplice o con discernimento; il 7,4% gli interventi di accoglienza, a lungo o breve termine; il 4,6% l'erogazione di sussidi economici (per il pagamento di affitti e bollette), il 2,2% il sostegno socio assistenziale e l'1,5% interventi sanitari. L'analisi della conversione degli interventi in euro mette in luce, tuttavia, che le erogazioni di sussidi economici pur rappresentando solo il 4,6% degli interventi assorbono oltre il 76% delle spese. A margine della presentazione del Rapporto Caritas, il presidente di Caritas italiana, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, ha affermato che "più del 70 per cento delle richieste sono di carattere economico" e che sono "drammaticamente aumentate le richieste di aiuto per far fronte al pagamento delle bollette".