Giorgia Meloni (Depositphotos)

di Giuseppe Colombo

Innanzitutto farsi vedere. Su Facebook, dove compare alle nove e mezza di mattina seduto alla scrivania del ministero, intento a sfogliare una pila di documenti. Qualche ora dopo al tavolo con l'ammiraglio Nicola Carlone, il comandante generale della Guardia costiera. E lo storytelling non si ferma qui. Ancora, nell'ufficio romano della Lega, con una statuetta da Alberto da Giussano sullo sfondo, lui al centro e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti di lato. In tv, nel salotto di Porta a Porta. I luoghi dell'onnipresente Matteo Salvini non vengono scelti a caso. Ognuno è funzionale all'operazione premier in ombra. Condotta con meticolosità quando sono passate appena ventiquattro ore dall'investimento di Giorgia Meloni, sancito dal passaggio della campanella con cui Mario Draghi le ha ceduto il posto di comando. Mentre la neo premier resta chiusa tutto il giorno a palazzo Chigi per scrivere il discorso programmatico con cui martedì chiederà la fiducia alla Camera, il leader della Lega incasella una raffica di luoghi e di dichiarazioni che marcano la volontà di arrivare primo su tutto. La lista è lunga, va dai porti alle pensioni. C'è anche spazio e volontà per rilanciare il Ponte sullo Stretto, l'opera seppellita e risorta così tante volte da diventare il simbolo di una certa politica che ha fatto delle infrastrutture il feticcio del consenso sul territorio. È il Salvini one man show.

Non è solo una questione di indicare la direzione di marcia del governo, il che è una questione rilevante di per sé considerando che la premier deve ancora fissare la sua, di rotta, davanti alle aule del Parlamento. Già questo suscita un certo fastidio a palazzo Chigi perché il non detto del messaggio che viene diramato in serata, quando l'assolo di Salvini si completa, è che non è questo il governo delle fughe in avanti, né quello dei progetti faraonici acchiappa-consenso. "L'intenzione del presidente del Consiglio - si legge nella nota diffusa alla stampa - è quella di tracciare un manifesto programmatico che ambisce ad essere la base di lavoro di un'intera legislatura, a conferma della natura fortemente politica del Governo e con l'obiettivo di dare seguito concreto e attuazione agli impegni assunti con i cittadini italiani in campagna elettorale". I toni sono quelli di una visione di lungo periodo, da legislatura, non il tutto e subito che il leader della Lega rivendica come metodo e come sostanza quando Bruno Vespa lo incalza sulle cose da fare. Il manifesto programmatico di Meloni risponde all'idea di un perimetro che va fissato con responsabilità, non per questo annacquato e infatti il messaggio fa riferimento alla campagna elettorale. Solo che la campagna elettorale di Fratelli d'Italia è stata decisamente differente da quella del Carroccio. Di fatto draghiana, dall'atlantismo alla flat tax solo in versione incrementale. E le prime scelte confermano la volontà di dare forma a questa intenzione. Lo si evince chiaramente dalla decisione di portare Roberto Cingolani a palazzo Chigi come consulente per l'energia: il tecnico scelto da Draghi sarà l'uomo chiave per scavallare l'inverno dal punto di vista della sicurezza energetica. E poco conta l'irritazione di alcuni ambienti della destra sovranista, per Meloni vale molto di più tenere botta alla crisi del gas con gli uomini migliori a disposizione.

Alla costruzione di questo quadro ordinato, dove il termine politico è funzionale anche a parare i colpi dei giudizi sul governo di basso profilo, Salvini oppone una traccia disordinata. Il primo tassello è non farsi scippare la delega sui porti. La foto con il comandante generale della Guardia costiera serve a dire che quella delega se l'è autoassegnata. Il contenuto chiude il cerchio perché "il lungo e proficuo incontro" ha riguardato l'immigrazione e la sottolineatura che sostanzia l'autointestazione è quando si fa cenno alle due imbarcazioni Ong che hanno a bordo 118 persone soccorse al largo della Libia e che nelle prossime ore potrebbero chiedere un porto di sbarco alle autorità italiane. Salvini fa il ministro dell'Interno e a Porta a Porta - anche qui il primo degli esponenti del governo a partecipare - dice che si tornerà "a far rispettare i confini".

L'altro elemento che rompe il quadro della programmazione responsabile è l'economia. Avere Giorgetti al Tesoro è tutto tranne che una rassicurazione per Salvini. Anche qui la traccia per il leader del Carroccio è quello dei titoli roboanti, da quota 41 per le pensioni senza penalizzazioni (l'idea che piace a Meloni comporta invece un taglio importante dell'assegno) a una moratoria sui distacchi per i negozi e le botteghe che non riescono a pagare le bollette della luce. Il menù è ricco e i toni sono quelli della campagna elettorale perché dentro c'è la flat tax al 15% alla pace fiscale. Poi c'è un altro Salvini. Quello che al tavolo con i responsabili economici della Lega deve misurarsi con un principio di realtà più forte delle bandierine. Giorgetti è al tavolo a ricordare che i margini di spesa sono stretti e che la priorità è il contenimento del costo delle bollette. Su questo Salvini è d'accordo, anche se all'esterno consegna sempre un messaggio che guarda ai cavalli di battaglia, al superamento della legge Fornero. I componenti della squadra economica presentano le prime simulazioni su quota 41, ancorata però a un paletto anagrafico, parlano di una flat tax da estendere solo alle partite Iva, insomma invocano prudenza. Uno dei partecipanti al tavolo la mette giù così: "Si è parlato di più di quello che non si può fare rispetto a quello che si poteva fare". Il leader della Lega accetta la mitigazione, raccoglie l'invito a guardare ai cinque anni, non ai prossimi tre mesi. Ma è una valutazione che resta in una stanza di un ufficio romano. Fuori è tutta un'altra storia. Passano poche ore dalla riunione ed è da Vespa a elencare una lista massimalista. È l'atto finale dell'azione di disturbo a Giorgia Meloni.