DI PIETRO SALVATORI

È stata una biografia esistenziale applicata al governo". Camera dei deputati, esterno giorno. Il neo ministro all'Agricoltura Francesco Lollobrigida è in cortile, come lui sciamano i suoi colleghi di governo, tutti ben disposti a farsi rubare una dichiarazione e a commentare l'ora di discorso che Giorgia Meloni ha appena concluso in uno scroscio di applausi. Se ne conteranno oltre 70 a cadenzare il suo intervento. Lollobrigida con Meloni è cresciuto, è all'apice della parabola politica di un gruppetto di ragazzi che "vent'anni fa si riuniva a casa di qualcuno per seguire la sorte di questo o di quel candidato, e poi spesso non veniva eletto", commenta un parlamentare. E ora eccoli al governo, ecco spiegata l'analisi quasi mistica del discorso appena concluso.

La presidente del Consiglio esce da Palazzo Chigi e fa il suo ingresso a Montecitorio, inciampa appena su un tacco, tailleur nero e camicetta bianca. Parla per settantacinque minuti, dopo trenta si fa portare un bicchiere d'acqua. Ha un po' di tosse, ai suoi confessa che "ho fumato troppo, ho fumato anche stanotte". È tesa, anche un po' emozionata, il suo discorso ha un passo lento e misurato, non raggiunge mai il climax spesso anche urlato dell'oratoria a cui ha abituato.

Accanto a lei Matteo Salvini da un lato, Antonio Tajani dall'altro, sembra quasi di rivedere Giuseppe Conte con i suoi vicepremier a marcarlo a uomo, che si sa poi come è andata a finire. Vice che non sembrano felicissimi quando declama stentorea che è "pronta a fare quello che va fatto per il Paese, a costo di non essere rieletta", mentre qualche banco più in là Guido Crosetto e Giancarlo Giorgetti annuiscono platealmente, paradigma delle dinamiche che verranno. 

C'è tutto il governo schierato sui banchi sotto la presidenza, manca solo Gilberto Pichetto Fratin, impegnato in un vertice in Lussemburgo. "E meno male" sibila un onorevole meloniano, riferendosi all'articolo del quotidiano Domani che ha scovato l'omaggio che rese nel 2016 alla fantomatica rappresentanza della Repubblica separatista di Donetsk: "Pensa chi abbiamo messo a occuparsi di energia". La politica estera sarà un problema non da poco, avvisaglie si colgono anche in Aula quando una robusta parte del gruppo leghista tiene ostinatamente le braccia conserte quando parte l'applauso sul sostegno all'Ucraina, faticando poco dopo a unirsi a quelli per le critiche agli oligarchi. Meloni ribadisce fermamente la linea atlantista, manda messaggi in bottiglia ai riottosi alleati anche sui vincoli di bilancio, è accortissima a non nominare mai direttamente la Cina – da sempre identificata da Fratelli d'Italia come il pericolo principale sullo scenario internazionale – dopo aver omaggiato in campagna elettorale la rappresentanza di Taiwan recandosi in visita nella sua sede romana.

Serpeggia nervosismo anche per l'attivismo di Salvini, per la sua contro-agenda squadernata ieri prima ancora che la premier delineasse le priorità del governo, c'è tutto un chiacchiericcio su un presunto incontro tra Lollobrigida e il forzista Alessandro Battilocchio, che nei boatos di Palazzo avrebbe avuto al centro la sofferenza degli azzurri governisti e un loro eventuale transito nel gruppo di Noi moderati.

Il discorso di Meloni mette per una mattina tutti d'accordo, berlusconiani e leghisti, pronti a sfoderare di nuovo i coltelli già dal pomeriggio, coinvolti nel turbine dell'accelerazione su viceministri e sottosegretari che la capa del governo vorrebbe ratificare in un Consiglio dei ministri previsto già per questa settimana, venerdì probabilmente, o addirittura giovedì sera.

"Non sostituiremo un sistema di potere con un altro", dice Meloni suscitando uno delle decine di applausi di una maggioranza percorsa da un afflato liberatorio, la prima volta della destra al governo. È un continuo battere le mani, sono diverse le standing ovation, qualche applauso lo strappa anche dai banchi dell'opposizione quando cita Mattarella, il Papa, il personale sanitario in prima linea nel combattere il Covid, le forze dell'ordine, i caduti per mafia. Ma i battimani arrivano soprattutto dai suoi, com'è naturale che sia, a decine, al punto che per più volte stende la mano per fermarli (inviti recepiti a velocità supersonica da tutto il gruppo di Fdi), nel microfono entra la battuta che rivolge a Salvini: "Così finiamo alle tre...".

Previsione pessimistica, poco dopo mezzogiorno chiude l'intervento, scatta la processione per andarla a omaggiare, i ministri le stringono la mano, i parlamentari fanno la fila per salutarla. Poco più in là Crosetto sembra voler tessere già un filo di rapporto con le opposizioni, saluta calorosamente Roberto Giachetti, un paio di battute e un sorriso perfino con Conte. "Un discorso bellissimo, è tornata la politica", commenta il fedelissimo Federico Mollicone. Esistenziale, aggiungerebbe qualcuno.