di Fabio Martini

Dietro i fumogeni di un Regolamento barocco e labirintico, nel Pd stanno finalmente accadendo cose. Alcune (poche) sotto gli occhi di tutti, altre (tante) si muovono dietro le quinte e sono altrettanto interessanti. Ha fatto conoscere la sua disponibilità a correre da leader del partito, Elly Schlein, la battagliera trentaseienne di cittadinanza svizzero-americana, che come prima mossa ha annunciato l'intenzione di iscriversi al Pd. Si può sorridere, ma è un fatto: la prima (dopo Paola De Micheli) che si dice pronta a guidarlo, sinora è stata estranea a quel partito.

È il segno che il Pd e la sua possibile resurrezione emanano un appeal sinora incomprensibile ai più? O forse per capire la scena, occorre far più luce nel retropalco? Davvero curioso è il primo dato: nelle ultime settimane chi più incoraggiato una donna anticonformista come Schlein, è il più palatino dei notabili, Dario Franceschini. Di lui – sperimentato e capace ministro della Cultura – oramai da anni è proverbiale il dono di sapersi posizionare in anticipo, proprio là dove sta per spostarsi la maggioranza dei suoi sodali. Un rabdomante del potere che verrà? Il più moderno dei dorotei?

Di certo Franceschini, da giovane, si è formato nella Democrazia cristiana, alla quale si iscrisse 47 anni fa e nello stesso partito si è fatto le ossa l'altro sponsor di Elly: Enrico Letta. È lui che l'ha voluta sul palco di piazza del Popolo per la chiusura della campagna elettorale del Pd, è lui che non l'ha scoraggiata in queste settimane. In sintesi: due ex Dc, con una cultura politica così diversa da Elly, sono quelli che la stanno incoraggiando. E i notabili di sinistra del Pd, quelli che sulla carta sono più vicini a lei? Personaggi come Andrea Orlando, Goffredo Bettini, Giuseppe Provenzano e gli altri capofila della sinistra dem? Dietro le quinte hanno fatto capire di non gradire l'ascesa di una donna "ingombrante" e fuori dagli apparati come Schlein, che finirebbe per oscurarli, renderli ininfluenti

Una doccia fredda per la sinistra Pd che si preparava ad irrobustirsi grazie all'ingresso nel partito dei compagni di Articolo Uno. Un ingresso consumato a fari spenti, deliberato dalla Direzione del piccolo partito di Roberto Speranza e Pierluigi Bersani, decisione assunta col silenziatore: della delibera non si trova traccia neppure sul sito di Articolo Uno. Ma la decisione di aderire al Pd è il risultato di una precedente e meticolosa trattativa con i vertici Dem, che aveva portato ad un accordo dietro le quinte: gli iscritti di Articolo Uno potranno votare nell'imminente congresso Dem. Dunque oltre a Speranza e Bersani, anche D' Alema voterà e tornerà a "casa"? Lo sapremo soltanto vivendo. Per ora quelli di Articolo Uno hanno realizzato l'ennesimo miracolo della loro breve storia d'apparato di qualità: in quattro anni, senza mai aver messo alla prova neppure una volta il proprio simbolo, alle recenti Politiche sono riusciti ad ottenere cinque posti sicuri nelle liste Pd, eleggendo altrettanti deputati.

E dunque Elly Schein si porta dietro un paradosso: è una donna di sinistra, spinta da due ex Dc e osteggiata dai notabili gauchistes, che invece si confermano assai sapienti nei dosaggi di Palazzo. E allora tutti questi segnali portano dritti al punto: è iniziata nel Pd l'ultima battaglia dei "gattopardi". Notabili pronti a cambiar lo strato più esterno della propria pelle purché tutto resti com'era, almeno per ciò che li riguarda.

Ed esattamente questo è anche lo spirito che informa tutto il regolamento congressuale del congresso costituente del Pd. È vero che nei documenti si invoca la partecipazione della società civile raccolta nelle associazioni o espressa individualmente da singoli cittadini. Ma il Regolamento è attento a non favorire la partecipazione attiva degli (eventuali) battitori liberi e semmai a guidarla dall'alto. Esemplare le modalità previste per la scrittura del "Manifesto dei valori e dei princìpi del nuovo Pd". Anziché essere il punto conclusivo dell'eventuale processo costituente, le correnti hanno deciso di inserirlo a monte: sarà infatti l'attuale Assemblea nazionale del Pd (destinata presto a dissolversi a favore di una futura Assemblea costituente) ad eleggere "un Comitato composto da personalità iscritte e non iscritte al Pd".

Un accordo tra le correnti che inevitabilmente trova punti di dissenso nello stesso segretario pro-tempore. Ecco perché Enrico Letta, in una riunione a porte chiuse della Segreteria, ha fatto due proposte assai innovative rispetto al percorso già deliberato. La prima: sottoporre agli iscritti un questionario stringente su alcune questioni politiche rilevanti. A cominciare da una particolarmente delicata: credete che il nome e il simbolo del Pd si debbano tenere o si devono cambiare? Seconda proposta: il Manifesto dei valori sia scritto da personalità non strettamente di partito, facendo salva la possibilità per i futuri organi di partito di modificarne il testo. Due proposte che hanno spiazzato la sinistra del partito, che ha preso tempo.

Ecco perché la (legittima) battaglia dei "gattopardi" delle correnti, è destinata a scontrarsi con tante variabili. A cominciare dalla più grande di tutte: Elly Schlein - ma anche Stefano Bonaccini, il presidente della Regione Emilia-Romagna, destinato a scendere presto in campo – pur vantando simpatia e appoggi da parte di alcuni notabili del partito – non hanno stretto per ora accordi vincolanti con i capi-corrente. E dunque, i candidati più accreditati a sfidarsi sono portatori di una certa carica di discontinuità rispetto all'apparato esistente. Certo, Palmiro Togliatti fu sempre restio ad affidare ruoli di comando nel partito ai compagni emiliani e naturalmente certi interdetti sono fatti apposta per essere smentiti. E d'altra parte Stefano Bonaccini, nato in quel di Campogalliano, è emiliano della provincia, mentre Elly Schlein vive a Bologna, ma è nata a Lugano. La possibilità per il Pd di rinnovarsi per davvero, almeno per ora, è affidato a due emiliani anomali.