di Silvana Mangione

...panacea salvifica di tutti i brogli nelle elezioni degli italiani all'estero. Quando non si vuole sanare un problema con interventi concreti, fra cui quelli che citavamo nell'articolo uscito giovedì 7 novembre, la tendenza di alcuni tuttologi è quella di inventare, a seconda dei casi, una favola urbana, un miraggio, un mito come quello, appunto, dell'immediata sostituzione del voto per corrispondenza con il voto elettronico.

"Lo fanno altri paesi", garantiscono gli affabulatori, guardandosi bene dal farne l'elenco. Sì, perché, una volta conosciuti i loro nomi, saremmo in grado di confrontare il numero dei loro elettori con quello, enorme, di circa 5 milioni di cittadini italiani maggiorenni, residenti all'estero e chiamati alle nostre urne fuori dai confini. È chiaro che, per arrivarci, ci vogliono studi, definizione di piattaforme, procedure di riconoscimento degli aventi diritto, convalida della ricezione del voto espresso dal singolo elettore, conferma che la scelta sia stata registrata, anche in forma cartacea, per consentire la raccolta della documentazione per il controllo e la futura memoria.

Un'impresa titanica, la cui predisposizione costerebbe o costerà più di quanto si spende per amministrare le votazioni per corrispondenza. Quasi dieci anni fa, l'allora sottosegretario agli esteri con delega per gli italiani all'estero, On. Mario Giro, sottomise al CGIE, per l'emissione del parere obbligatorio, una bozza della potenziale applicazione del voto elettronico alle consultazioni all'estero, predisposta dai tecnici dei Ministeri competenti. All'epoca si erano appena avviati i lavori per la definizione dello SPID - Sistema Pubblico di Identità, quindi la proposta prevedeva un iter di registrazione del cittadino elettore davvero bizantino e inapplicabile. Ogni persona doveva recarsi fisicamente alla sede diplomatico-consolare di riferimento per ritirare la prima parte della password, che avrebbe consentito l'accesso al voto. La seconda parte gli sarebbe stata spedita a casa. Facilissimo a farsi nel Liechtenstein, dove uno esce di casa, fa una bella passeggiata e arriva in Consolato, un po' meno in una Nazione di dimensioni sterminate come Australia, Brasile, Canada, Russia e altre, dove il Consolato si raggiunge con qualche ora di aereo e magari anche di fuso. Non basta. Il progetto vietava l'uso dello stesso computer per inviare il voto di più persone. Questo tagliava fuori la corposa fascia di cittadini che, ancora oggi, non possiedono un PC o non sanno nemmeno usare un computer a disposizione del pubblico nei Consolati, in sedi sociali o biblioteche cittadine. Pur giustificata dall'esigenza di evitare l'incetta e la falsificazione dei voti da parte dei soliti capibastone, che si offrono agli ignari per "aiutarli a votare", queste norme sull'identificazione di ogni avente diritto convinsero il CGIE a dare parere negativo, anche perché i fondi stanziati per la costruzione del nuovo sistema erano irrisori. Poco prima di questa proposta, nel marzo 2013 si erano avviati i lavori per la creazione dello SPID, su suggerimento dell'allora deputato Stefano Quintarelli (Scelta Civica per l'Italia). I primi rilasci dello SPID sono datati 15 marzo 2016.

Ci sono dunque voluti tre anni per mettere a disposizione dei cittadini quello che viene erogato dall'Agenzia per l'Italia Digitale – AGID presso il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ora guidato dal sottosegretario Alessio Butti, senatore di Fratelli d'Italia. Nei siti ufficiali lo SPID è definito: "la chiave di accesso semplice, veloce e sicura ai servizi digitali delle amministrazioni locali e centrali. Un'unica credenziale (username e password) che rappresenta l'identità digitale e personale di ogni cittadino, con cui è riconosciuto dalla Pubblica Amministrazione per utilizzare in maniera personalizzata e sicura i servizi digitali".

E così sia! E continua: "Con il Sistema di accesso su cui si basa SPID, la Pubblica Amministrazione è ancora più vicina ai cittadini". Se ci riferiamo agli italiani all'estero vorremmo capire per che cosa è più vicina? O come? O quando? Qualcuno ce lo dovrà spiegare, dato anche che la legge di bilancio presentata dal nuovo Governo al Parlamento taglia a dismisura i già miseri fondi concessi al Ministero degli esteri, praticamente ridicoli se li paragoniamo a quelli erogati dai maggiori Paesi dell'Unione europea. Il taglio è aggravato dal fatto che, secondo alcuni calcoli da confermare, oltre l'80% di tale dotazione finanziaria è già destinato a spese obbligatorie per il personale, i diplomatici, le sedi, i trattati internazionali e così via. Cosa rimane per gli italiani all'estero? Lo scopriremo. Per quanto ne sappiamo, né il Parlamento né la Presidenza del Consiglio hanno ancora "avviato i lavori" per disegnare il sistema dedicato all'esercizio del voto elettronico degli italiani all'estero. Non sono stati garantiti i fondi realmente necessari per costruire un meccanismo semplice, agibile anche ai dinosauri elettronici e, prima di tutto, a prova di hacker. Il nostro quotidiano è stato bloccato più volte da attacchi di hackeraggio.

Candidati senza scrupoli e dotati di budget elettorali consistenti avrebbero la vita facile nel farsi eleggere usando i maghi della digitalizzazione per trasformare in vittoria la propria sconfitta di maggiore offerente. Già si deve lottare per impedire che molte nuove ditte al servizio degli eligendi garantiscano e mantengano la promessa di procurare centinaia di preferenze a pagamento. La nostra unica speranza è che, come al solito, ai boatos post elettorali dei parlamentari, nonché di giornali, candidati eletti e perdenti, non segua alcuna azione di abborracciamento di un vulnerabile voto elettronico. Il nostro sconforto nasce dal fatto che nessun problema del voto per corrispondenza verrà affrontato e risolto prima delle elezioni del 2027. Sic transit gloria mundi, ahinoi!