di Teodoro Klitsche de la Grange

 

È diventato un esercizio normale, già da alcuni mesi prima delle elezioni politiche, prendersela con il segretario Enrico Letta, per il prevedibilissimo esito (disastroso) per il Partito Democratico, puntualmente verificatosi. Intendiamoci: Letta ci ha messo del suo. Dalla proposta di aumento dell’imposta di successione per la “dote” ai giovani, al campo largo, che invece era, come prevedibile, stretto. Tuttavia, farne carico al segretario appare viziato da un errore di valutazione, sul quale è opportuno spendere qualche riga.

Partiamo da una considerazione: vi sono due modi estremi e opposti di valutare gli eventi storici. Il primo è farne una conseguenza di fattori non individuali né dipendenti da scelte soggettive. Un esempio classico è la Filosofia della storia di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, per il quale questa è l’attuazione del piano della provvidenza. Lo spirito del mondo genera la storia; il ruolo dell’azione umana è secondario, i protagonisti hanno successo in quanto attuano il piano della provvidenza. In questo senso, il pensiero di Hegel è il tipo ideale della concezione “determinista”. L’altro è rapportare gli eventi a cause per lo più consistenti in attività (e passioni) umane. Così è stato interpretato, come causa principale della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il contrasto tra Ezio e Bonifacio e la conseguente perdita dell’Africa romana.

In termini mediani, come nel pensiero di Niccolò Machiavelli, si può pensare che se da una parte c’è l’influenza della fortuna (quindi non riconducibile a una volontà di coloro che la subiscono), dall’altra c’è la virtù con la quale si limitano e s’indirizzano (almeno in parte) gli eventi causati dalla fortuna. E proprio quando la fortuna è avversa, occorre che i governanti siano più dotati di virtù.

A servirsi di tali strumenti interpretativi, la tesi della scarsa fortuna del Pd come dipendente dalla “colpa” di Letta non regge o regge come concausa limitata: un po’ perché tutti i suoi recenti predecessori, quali segretari, hanno fatto altrettanti buchi nell’acqua; un po’ perché, anche da questo, è confortata l’opinione opposta che siano la proposta politica del Pd e i relativi mezzi a essere inadeguati e contrari alla “corrente” della storia contemporanea.

Come mi è capitato di scrivere più volte, con il crollo del comunismo è venuta meno la contrapposizione borghesia/proletariato con i relativi sentimenti politici. La cui conseguenza è stata l’eclissarsi del senso politico(cioè dell’opposizione amico-nemico) e della funzione politica delle conseguenti istituzioni anche economiche e sociali. Come i Partiti Comunisti, i quali o scompaiono e/o si mimetizzano o cambiano radicalmente (come quello cinese); o anche di istituzioni come la Nato e il Patto di Varsavia (logicamente sciolto): sicuramente, a comunismo imploso, non hanno la funzione di prima.

Tuttavia, il sentimento politico – in primo luogo la percezione del nemico (anche come differenza etica) – è un elemento necessario non solo della guerra (Carl von Clausewitz) ma anche della politica (Carl Schmitt). Senza di quello la politica (e il rapporto tra vertice e base) perde di tensione. Ed è progressivamente sostituito da un’altra contrapposizione amico-nemico: quella vecchia viene neutralizzata e ne diminuisce, così, la capacità di suscitare opposizioni decisive e primarie; tutt’al più, conserva quella di suscitare conflitti relativi e secondari. E chi lo interpreta ne subisce la sorte: dal ruolo di protagonista decade a quello di comparsa.

La risposta del Pd (e degli antecedenti) a questa cesura storica è stata quella di cambiare nome (anzi, nomi): escamotage poco remunerativo, perché da una parte i dirigenti erano gli stessi (quindi poco credibili), dall’altra gli elementi della vecchia opposizione erano conservati, soprattutto i più utili per tenersi il potere. Dato, però, che un nemico era necessario, così come le idee da sventolare in sostituzione delle vecchie o almeno di alcune (l’antifascismo ha resistito alla rottamazione), il nemico è diventato chi si oppone all’ideologia gender e alla famiglia nouvelle vague, oppure chi è convinto delle radici giudaico-cristiane dell’Europa. Rispetto al vecchio nemico, cioè l’imperialismo capitalistico, il minimo che si possa dire è che è un po’ poco: più che mettere paura, spesso fa ridere. Ovvero, come l’antifascismo (e l’anticomunismo) è depotenziato in sé.

Tale situazione dipende dalla storia e gli uomini, in particolare i dirigenti italiani di sinistra, l’hanno subita e non causata. In relazione alla quale poco si può fare. Anche se il Pd fosse stato guidato non da Piero FassinoEnrico Letta o Pier Luigi Bersani ma da Camillo Benso conte di Cavour o da Otto von Bismarck (o come scriveva Hegel, da Cesare o da Napoleone), l’esito difficilmente sarebbe stato diverso. Perché, come sostiene il filosofo, il carattere distintivo degli individui cosmico-storici è di attuare lo spirito del mondo: è questo a renderli differenti dagli altri e capaci di padroneggiare i cambiamenti.