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L'OSSERVATORIO ITALIANO di Anonimo Napoletano. San Gennaro è candidato a diventare patrimonio immateriale dell'umanità tutelato dall'Unesco. L'iniziativa parte ovviamente da Napoli, la città di cui Gennaro è il santo patrono e dove, nel Duomo, sono custodite le sue spoglie e le reliquie, tra le quali l'ampolla con il sangue che si liquefa due volte l'anno, nel corso di affollatissime cerimonie religiose. Da santo protettore a santo "protetto" dall'Unesco, dunque.

È quanto chiedono la Regione Campania e una pletora di enti pubblici e privati che sponsorizzano la candidatura, presentata lo scorso 26 novembre nel Complesso Monumentale di Donnaregina, alla presenza dell'Arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia, del cardinale emerito Crescenzio Sepe e del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (anche lui napoletano doc, che del Santo porta pure il nome di battesimo). Nel movimento per il riconoscimento ci sarà alla guida Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, che è anche presidente della Deputazione della Real Cappella di San Gennaro, dove viene custodito il sangue del santo. Nel comitato figurano pure Clemente Mastella, sindaco di Benevento, città che diede i natali al santo e dove Gennaro fu a lungo vescovo fino al martirio, e Luigi Manzoni, sindaco di Pozzuoli, la città dove Gennaro morì decapitato e dove si venera una pietra (la tradizione vuole che si tratti di quella del martirio) bagnata di una sostanza scura che, prodigiosamente, ogni 19 settembre si arrossa in contemporanea alla liquefazione del sangue nel Duomo.

Ma tra i principali sponsor dell'iniziativa c' anche la laica Università degli studi Federico II. «Il culto di San Gennaro - spiega il rettore Matteo Lorito - unisce religione e città, Napoli è resa unica da questo. In San Gennaro c'è cultura e storia ma anche umanità e noi vogliamo che la sua storia continui arrivando al riconoscimento dell'Unesco di un patrimonio dell'umanità che già esiste».

L'arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia aggiunge: «San Gennaro rappresenta la risonanza culturale e popolare a Napoli e nel mondo che scorre attraverso il suo sangue». Infatti il riconoscimento di patrimonio immateriale Unesco sarebbe dedicato, letteralmente, al "Culto e devozione di San Gennaro a Napoli e nel Mondo". Perché è un culto che travalica i confini regionali e nazionali, "esportato" in ogni angolo del mondo dai milioni di partenopei che nell'ultimo secolo sono emigrati ovunque, portando con sé la tradizione che oggi vive tra gli altri posti anche a New York, dove il 19 settembre si tiene ogni anno una enorme festa nelle strade, come in Germania, in Francia, Canada, Gran Bretagna, Spagna, Brasile. È stato calcolato che siano circa 20 milioni i fedeli di San Gennaro nei vari Paesi. E alla annuale diretta web della cerimonia dello scioglimento del sangue assistono oltre 275.000 persone collegate dall'estero in diretta streaming.

Come ha sottolineato il ministro della Cultura Sangiuliano, «San Gennaro è simbolo della tradizione partenopea, è un'entità che in tutto il mondo viene ascoltata, per questo mettiamo massima attenzione alla candidatura per l'inserimento nel patrimonio dell'Unesco. Chi dice Napoli dice San Gennaro e chi dice San Gennaro dice Napoli».

Il presidente del Comitato Promotore è monsignor Adolfo Russo, direttore del Museo Diocesano: «Presentiamo la candidatura di tutto ciò che si muove attorno a San Gennaro: la cultura napoletana, il costume napoletano, la devozione. L'identità dei napoletani si è costruita attorno a questa figura e i napoletani sentono che è uno di famiglia portandolo in tutto in mondo».

Più laica la visione di Marino Niola, antropologo e docente di Antropologia dei Simboli all'Università Suor Orsola Benincasa: «Il grande acquisto di questa candidatura è il riconoscimento di Napoli. Un eventuale riconoscimento da parte dell'Unesco avrebbe una ricaduta positiva sulla città vesuviana, in termini di fama e conseguente crescita del "Soft Power". Come succede ai Paesi che ospitano patrimoni Unesco. Non solo religione dunque. Perché i miracoli li fa anche l'economia».

Del resto, proprio Niola ricorda che il santo partenopeo è diventato anche un'icona pop internazionale grazie alla moda quando, negli anni Ottanta, il notissimo stilista Moschino realizzò una t-shirt con il volto del patrono di Napoli e la scritta "I love San Gennaro".

Anche l'Arcivescovo partenopeo don Mimmo Battaglia sottolinea gli aspetti sociali che legano il patrono alla sua città: «San Gennaro rappresenta la risonanza culturale e popolare a Napoli e nel mondo. La millenaria vicenda di Napoli e del popolo campano scorre in noi attraverso il suo sangue in cui i napoletani hanno visto negli anni il proprio sangue speso per una lotta di società giusta ed equa, un sangue sparso nella storia qui contro le barbarie e la criminalità organizzata».

Il Patrono in gara con la baguette

L'ultimo riconoscimento Unesco è andato al tipico filoncino di pane francese. Ma sono tanti i premi bizzarri o sconosciuti: patrimonio dell'umanità anche i liutai di Cremona e i suonatori di corno da caccia torinesi, la vite della Pantelleria e i muretti a secco dei paesi del Mediterraneo...

Non ce ne voglia il santo più amato dai napoletani, ma quella dei patrimoni immateriali dell'Unesco sta diventando una lista interminabile di varia umanità (e ora anche varia santità, se la candidatura di San Gennaro sarà accolta). Un coacervo di tradizioni e riti anche alle volte bizzarri e, lo si conceda, al limite della goliardia. Per dirne una, l'ultimo dei patrimoni immateriali accettati dall'Unesco è la baguette. Sì, proprio lei, il tipico sfilatino di pane francese. Che il santo del miracolo dello scioglimento del sangue si trovi a competere per un posto sul podio fianco a fianco alla baguette può anche far sorridere. Ma il tipico pane parigino non è l'unica sorpresa a scorrere l'interminabile elenco di beni immateriali protetti dall'Unesco, ente dell'Onu nato nel 1946 per tutelare "l'Educazione, la Scienza e la Cultura". In realtà è solo dal 2003 che con una apposita Convenzione (ratificata dall'Italia nel 2007) l'Unesco ha lanciato l'iniziativa per salvaguardare "il patrimonio culturale immateriale dell'umanità". E così è cominciata la gara, da ogni angolo del mondo, ad ottenere la tutela del proprio rito di provincia o della propria tradizione localissima e ai più sconosciuta. L'Unesco, dal canto suo, non ha lesinato patenti a destra e a manca. Del resto, la definizione stessa di patrimonio immateriale dell'umanità è quanto mai ampia, per non dire onnicomprensiva. Testualmente, la definizione è la seguente: "Le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale". Praticamente, potrebbe entrarci anche il cortile del mio condominio di periferia.

Ed infatti, nel tempo, sono entrati a far parte del patrimonio tutelato dall'Unesco il "Canto a tenore sardo", come il "Saper fare liutaio di Cremona" (letterale). Questo solo per restare in Italia. Ce ne sono anche di transnazionali. Per esempio, "L'arte musicale dei suonatori di corno da caccia" raggruppa con l'Italia anche Belgio, Francia e Lussemburgo. Alzi la mano chi conosceva quest'arte prima d'ora. Sempre transnazionali sono "L'Arte dei muretti a secco" (riunisce molti paesi mediterranei) o "L'arte della falconeria". Mentre in altri casi riuniscono più riti di diverse parti d'Italia, come per esempio le "Feste delle Grandi Macchine a Spalla" (nell'elenco la Festa dei Gigli di Nola, la Varia di Palmi, la Faradda dei Candelieri di Sassari, il trasporto della Macchina di Santa Rosa a Viterbo). Altri invece sono espressioni più locali, come la nobile "Arte del pizzaiolo napoletano", la "Vite ad alberello di Pantelleria" o "La Perdonanza celestiniana" (per i pochi che non lo sapessero, si tratta di una manifestazione in costume che si tiene annualmente in quel de L'Aquila).

Ma la madre dei patrimoni immateriali Unesco è sempre incinta. Solo in Italia si sono avuti nell'ultimo anno altri due riconoscimenti: "L'arte musicale dei suonatori di corno da caccia dell'equipaggio della Reggia di Venaria" e "L'arte della perla di vetro". Ci manca solo un santo. E chi meglio del napoletano Gennaro per colmare la grave lacuna?