di Anonimo Napoletano

Ci sono anche un sacerdote e un finanziere "infedele" tra le 49 persone arrestate giovedì scorso nella retata che ha colpito le cosche di 'ndrangheta Molè e Piromallo. A testimoniare, se ce ne fosse bisogno, la pervasività raggiunta dalla mala organizzata nella società calabrese. Che viene ancor di più in evidenza anche in un altro episodio ricostruito dall'inchiesta denominata "Hybris" condotta da carabinieri e magistrati della Procura di Reggio Calabria nella piana di Gioia Tauro: il titolare di un'azienda di pesca, vittima di un attentato a scopo estorsivo, invece di rivolgersi allo Stato per ottenere giustizia, si rivolge alla cosca opposta, e paga per essere difeso. Ma l'elemento forse più rilevante delle indagini culminate nella retata di questa settimana sta in una intercettazione che ricostruisce come le cosche di 'ndrangheta avessero aderito alla decisione della mafia siciliana di inaugurare la stagione delle stragi contro lo Stato italiano per ottenere la fine del regime di carcere duro, il tanto temuto 41bis. È un argomento che esula dall'operazione "Hybris", in ci gli investigatori si imbattono per caso, ma che rafforza le accuse sostenute, anche grazie ai pentiti, in un altro processo in corso in corte d'appello proprio in questi giorni sulle stragi degli anni '90 sulla direttrice Palermo-Roma-Firenze.

In un'intercettazione registrata il 17 gennaio 2021 dai carabinieri emerge come il boss Pino Piromalli detto "Facciazza" «aveva composto la "commissione" costituitasi per decidere se la 'ndrangheta calabrese avrebbe dovuto partecipare o meno alle stragi di Stato attuate dalla mafia siciliana» nel corso della quale il boss votò, attraverso Nino Pesce detto "Testuni", a favore delle stragi. A parlare nella conversazione intercettata è Francesco Adornato, 72 anni, detto "Ciccio u biondu", non indagato nell'operazione di giovedì ma captato mentre conversa con uno degli arrestati dell'operazione "Hybris", Giuseppe Ferraro, 50 anni. Adornato è considerato, scrive il gip, un «navigato esponente della 'ndrangheta», condannato in via definitiva per mafia negli anni Novanta e «dunque proprio nel periodo di attuazione della cosiddetta strategia stragista». Nel corso dell'intercettazione, si ricordano i rapporti tra gli esponenti di Cosa nostra siciliana e quelli della 'ndrangheta calabrese nel corso di oltre trent'anni di storia criminale e che apre un ulteriore scorcio sulle alleanze tra le diverse matrici mafiose nei primi anni Novanta. A tale proposito, Adornato ad un certo punto rivela che «la commissione si era riunita presso il resort "Saionara" sito a Nicotera e che era presente Pesce mentre era assente Pino Piromalli ma che quest'ultimo aveva conferito a Pesce il mandato a rappresentarlo». Sempre nella stessa conversazione, Adornato aggiunge che «Pesce, in proprio ed in nome e per conto di Piromalli, aveva votato a favore della partecipazione alle stragi anche da parte della 'ndrangheta». Il boss di Limbadi Luigi Mancuso, invece, «avrebbe votato contro» le stragi che «erano dirette all'eliminazione del regime di carcere duro». Stando al riassunto di quell'intercettazione tra Adornato e Ferraro, all'epoca, «si progettava di arrivare ad assassinare un ministro e fare un colpo di Stato». 

Ma le solide alleanze e la cooperazione tra mafie di diverse regioni italiane continua anche oggi e ben dopo la stagione stragista. Il gip dell'operazione "Hybris" lo evidenzia affermando che «in due diverse circostanze gli indagati hanno avuto la necessità di operare fuori dalla Calabria e lo hanno fatto rivolgendosi agli omologhi esponenti criminali del posto, inseriti rispettivamente nei consessi di criminalità organizzata pugliese e siciliana. Un ambito nel quale sono state rilevate le alleanze trasversali tra le organizzazioni. In entrambe le circostanze gli esponenti dei Piromalli hanno fatto leva sull'intimidazione dei criminali che potevano esercitare il loro potere mafioso nella zona di interesse».

Ma il cuore dell'indagine che ha portato ai 49 arresti dello scorso giorno non è questo. Riguarda il controllo delle cosche Molè e Piromallo dell'intera Piana di Gioia Tauro e di tutte le attività economiche della zona, anche e soprattutto attraverso l'attività estorsiva, oltre al monopolio del traffico di stupefacenti che la 'ndrangheta si procurava in Sud America. L'inchiesta ha anche permesso di appurare che le due consorterie criminali, dopo un periodo di frizioni e litigi, si sono riappacificate, con lo scopo di fare meglio gli interessi di "Casa Madre", ovvero per massimizzare i proventi delle attività criminali e ripartirli poi tra le due "famiglie" malavitose.

E l'episodio che ha fatto riavvicinare i due clan è stato proprio un attentato di matrice estorsiva ai danni di un peschereccio, dato alle fiamme alla tonnara di Palmi, nell'ottobre del 2020. Il rogo fu appiccato dai Molè perché il proprietario dell'imbarcazione non aveva conferito il pescato al mercato ittico di Gioia Tauro, disattendendo le imposizioni mafiose relative alla gestione dell'intero settore. La distruzione del peschereccio ha innescato una dinamica criminale ritenuta di estremo interesse dagli investigatori, in quanto la vittima, invece di rivolgersi allo Stato, ha preferito cercare la copertura mafiosa dei componenti della cosca Piromalli, che in quel periodo si opponeva ai Molè. Una richiesta che dietro lauti compensi è stata concessa dai vertici della consorteria. In buona sostanza, una dinamica trasversale che ha reso necessario un dialogo tra le due anime criminali della piana. E per appianare la faccenda i vertici delle due cosche si incontrarono in un summit che si svolse all'interno del cimitero di Gioia Tauro nel corso del quale si è anche discusso degli equilibri mafiosi e della ripartizione dei proventi delle estorsioni, e si è arrivati quindi a una nuova pax mafiosa dopo 15 anni di contrasti per far rifiorire le attività economiche della 'ndrangheta di nuovo unita.

Attività economiche a cui ora la retata con 49 arresti dovrebbe aver dato una "mazzata" non indifferente, se si considera che molti dei vertici delle due cosche e i loro più stretti familiari sono finiti in carcere  e sono anche stati sequestrati beni per un milione di euro. Ma tra gli arrestati, come accennato all'inizio, ci sono anche degli insospettabili. Si tratta in particolare di un agente della Guardia di Finanza, Salvatore Tosto, di 49 anni, e della moglie, entrambi finiti ai domiciliari, accusati di aver rivelato a Cosimo Romagnosi, ritenuto esponente della cosca Piromalli, l'esistenza di un'indagine a suo carico. Ancora più eclatante, poi gli arresti domiciliari disposti per un prete, don Giovanni Madafferi, parroco della chiesa "Santa Maria Assunta" di Castellace. Secondo gli inquirenti, il sacerdote avrebbe fornito ad un esponente della 'ndrangheta false attestazioni, tramite  certificati destinati a essere prodotti all'autorità giudiziaria, per dimostrare «qualità personali, rapporti di lavori in essere o da instaurare relativi ad un soggetto imputato che avrebbe in tal modo dovuto beneficiare dell'affidamento in prova». Quando si dice che "non c'è più religione...".