di MIMMO CARRATELLI

Settembre nero, settembre azzurro. Il Napoli giù, il Napoli su. Non ci sono più le belle situazioni di una volta. Sfiorisce la bellezza, ceduto il predominio.
Il Napoli campione d'Italia è un pensiero triste che si balla. Ma quando sembra perso, si rialza. A lezione di francese il Napoli prima balbetta, poi esplode. Come una volta.
In attesa della riscossa, dal giradischi di Castelvolturno una voce imita Lucio Battisti, chissà, chissà chi sei, chissà chi sarai, chissà che sarà di noi, lo scopriremo solo vincendo.
È la voce un po' flané dell'eccellentissimo Aurelio De Laurentiis che insegue il pregiatissimo Rudi Garcia impegnato sui campi di allenamento del litorale domizio, il famoso Konami Training Center in omaggio ai videogiochi giapponesi (il Napoli di Spalletti era tutto un videogioco).
Il tecnico francese, in eterna camicia bianca, immacolata concezione del gioco del calcio, sussurra a mezza voce con chitarra ne me quitte pas, il faut oublier, non mi lasciare, bisogna dimenticare (con riferimento poco sottinteso a Spalletti, il passerotto che è andato via).
Sui social, il poeta Gabriele D'Annunzio posta settembre, andiamo, è tempo di migrare raccogliendo l'immediato sostegno del gruppo eversivo #GarciaOut.
Ugo Foscolo, altro poeta benemerito, sottolinea sulla sua piattaforma imbiancata la corresponsione di amorosi dissensi in questo nuovo inizio di campionato del Napoli e del ventesimo anno aureliano. Tra De Laurentiis e Garcia Je t'aime, moi non plus. Non c'è amore.
C'è poco da aggiungere nel golfo dopo la scomparsa della muraglia coreana Kim ci sarà dopo di te e la migrazione nazional-sabatica del toscano maledetto di Certaldo. Ma Rudi Garcia è lui o non è lui, è un passator cortese che ha rapinato la grande bellezza dello scudetto o è addirittura il dottor Frankenstein, creatore di un mostro sublime, il Napoli al centro del villaggio dissestato di Castelvolturno.
'O fatto è niro, niro comm'a a che, e chello ca se vede nun se crede, nun se crede. Si ritiene che, annunciato a Castelvolturno l'arrivo di Garcia, nelle sembianze del francese sia giunto proprio il dottor Victor Frankenstein, creatore di una squadra-mostro.
Il dottore ha eliminato Lobotka dal centro di gravità permanente, ha costretto Anguissa a giocare a fari spenti nella nebbia del nuovo modulo tattico, ha bloccate le pale dell'elicottero nigeriano Osimhen, ha smontato il martello pneumatico Kvaratskhelia, ha disorientato Raspadori con un uso improprio del talento bolognese e ha cancellato il DNA del 4-3-3 di beltà e successo.
Solo un dottor Frankenstein può essere stato capace di questo.
Infatti non è credibile che una persona di apparenza mite e ragionevole, un signor Garcia in carne e ossa dell'Ile-de-France, diciamo pure Parigi, sia venuto al Napoli per fare la rivoluzione francese due secoli dopo quella originale, anziché adagiarsi sulle virtù dello scudetto, cambiare niente, cambiare poco e ritoccare in seguito evitando di fare la fine di Napoleone alla Beresina.
Il Napoli si allena sulla sponda sinistra del Volturno, che non è la Beresina, ma se le cose non si aggiustano (viene in mente Ajuste) per Napoleone-Garcia finirà peggio che sul fiume bielorusso.
Improvvisamente, il Napoli si rialza frantumando l'Udinese e il Lecce. Le partite della riscossa. Allora Garcia è buono?
Mentre volteggiano nel cielo di Napoli le sette lettere presidenziali di fuoco, cazzate, Aurelio De Laurentiis, senza più Spalletti e Giuntoli, è un re nudo, non bello a vedersi, ed è il deus in macchina che corre verso il Konani Training Center per sistemare le cose.
Unico e solo maestro concertatore e direttore di orchestra del club padronale deve evitare che la grande orchestra dello scudetto si trasformi, come si dice a Napoli, in una banda di musica.
Aurelio. Aurelio. Le belle passeggiate a Dimaro fra i tifosi acclamanti, la pancia in fuori, presidente tricolore, il sorriso soddisfatto del trionfo personale, in panchina a Castel di Sangro allenatore-ombra aiutando Garcia a capire la squadra e la squadra a capire Garcia, mentre gli infortuni a catena erano già segnali nefasti e l'andirivieni di Roberto Calenda di Nigeria Viva per siglare il contratto di Osimhen accresceva l'incertezza di una stagione incerta, dileguatisi Spalletti, Giuntoli e i loro addetti.
Ma proprio questo era il bello nell'imperiale solitudine del nuovo corso, Aurelio unico e solo vessillo del Napoli campione e Globe Trotters, squadra-spettacolo di un presidente cinematografico,
Aurelio unico artefice magico senza più il contraltare di un allenatore scoppiettante e di un direttore sportivo seducente a sminuirne il successo.
No, non è la gelosia, ma è la passione mia, quando ti applaudono gli altri io fremo perché, io tutto il merito lo voglio solo per me. È il tango di Aurelio.
Tempo addietro, a una platea che gli contestava una debole campagna acquisti invocando il ritorno di Cavani, il presidente proclamò vindice e senza limiti: "Sono io il vostro Cavani".
Annuncio di una monarchia assoluta. Ci mancò poco che citasse Leopardi: qua l'armi, io solo combatterò, evitando di aggiungere procomberò sol io per altissima autostima e adeguata scaramanzia.
Ecco l'uomo che discende dal suo primo film, Manuale d'amore, innamoramenti, crisi, tradimenti, abbandoni, prodotto nel 2004 all'inizio dell'avventura col Napoli, da correggere in Manuale d'umoreperché l'umore di Aurelio è tutto, splende e si adombra, rifulge e fulmina, prende e lascia, monta e smonta al centro della scena, l'unica cosa che conta, novello marchese del Grillo davanti al popolo grullo, io sono io e voi non siete un cazzo, la filosofia di un padreterno che chiede duecento milioni per un solo piede di Osimhen.
Oggi più che mai il Napoli è De Laurentiis, solo De Laurentiis, predominante sulla figura grigio-perla di Garcia, un allenatore che non fa ombra neanche a se stesso, figuriamoci Mauro Meluso, il nuovo direttore sportivo, curiusu Meluso miette 'a capa 'int''a 'o pertuso, Aurelio Re Solo, dittatore incazzoso (l'astio piglia-tutto) e sovrano che si illumina d'incenso.
È emerso da crisi memorabili, Ancelotti, Gattuso, e non ha paura di ricominciare, perché sembra proprio un nuovo inizio dopo Spalletti, un nuovo Napoli oltre Garcia e Osimhen, una nuova avventura.
Salverà questa stagione iniziata malissimo. Come suggerisce Mina dal 1975,  l'importante è finire. Tra le prime quattro.