di ALESSANDRO CAMILLI

Scrivono i giornali di una “trappola”, accreditando in qualche modo un risultato più o meno involontario di una insipienza nel legiferare. Si tratta di questo: ciò che va noto come taglio del cuneo fiscale (da tutti lodato e invocato, anche se alla fine è una talpa che scava gallerie sotto i servizi sociali, pensioni, sanità, scuola…) nella versione governo attuale è congegnato in maniera tale che un lavoratore dipendente dal reddito annuale 35 mila euro lordi più uno (uno inteso come euro) si vede tagliato il vantaggio in busta paga di 1.100 euro su base annua. Quindi un lavoratore dipendente dal reddito annuale 35 mila euro lordi se vuole o gli offrono aumento di stipendio, questo deve essere di almeno duemila euro.

Altrimenti non gli conviene, altrimenti gli conviene stare dove sta perché sotto i duemila euro annui di aumento, tasse e scaglioni del taglio cuneo si mangiano l’aumento di retribuzione. Trappola voluta? Non proprio? Insipienza legislativa? Neanche. Al contrario: lunga e consolidata tradizione, prassi che poggia su fondamenta ideologiche, anzi ormai definibili culturali. Cultura e prassi della ricchezza che comincia sopra i 35 mila euro annui di reddito (lordo).

Falso, falsissimo, eppure vero

Trentacinquemila euro annui di reddito (lordo) sono al netto di tasse e contributi cifra in tasca a fine mese intorno o poco più di duemila euro netti (per 13 mensilità). Quindi è falso, anzi falsissimo che con duemila e duemilacinquecento euro al mese si abiti e viva nella zona agiatezza e confort del reddito percepito. Falso, falsissimo. Eppure in qualche modo vero: il 41 per cento dei contribuenti italiani dichiara di percepire redditi ben al di sotto, tra i 15 e i 20 mila euro annui. Sopra i 35 mila si addensa, si fa per dire, la netta minoranza dei redditi dichiarati. L’Irpef, dati alla mano, c’è un italiano che la paga per quattro. Quello che la paga è un lavoratore dipendente sopra i 35 mila euro annui di reddito, se ne trovano in quel che resta del ceto medio. Gli altri quattro sono lavoratori autonomi sotto i 35 mila euro di reddito dichiarato, se ne trovano moltitudini in quel che è la “gente”.

Dunque il legislatore (mica solo lui, la politica tutta, i sindacati, la burocrazia…) cosa pensa e fa? Traccia un confine al di là del quale comincia l’agiatezza economica. E lo traccia sulla base di una mappa falsa e bugiarda dei redditidichiarati. Quella mappa dice che per i redditi senza ritenuta alla fonte (quelli dichiarati) trentacinquemila annui sono davvero il segnale, il confine. Intere categorie professionali e interi comparti (commercio, servizi alla persona…) dichiarano al Fisco di vivere con 20 mila, 22 mila, massimo 25 mila annui. Chi dichiara sopra i 35 mila deve stare nella realtà ben sopra i 35 mila, alle dichiarazioni dei redditi senza ritenuta alla fonte va con tutta evidenza applicata una, per così dire, maggiorazione di credibilità.

I non molti (in percentuale) redditi dichiarati sopra i 35 mila non da lavoro dipendente o pensione attestano con la loro relativa rarefazione che lì si può fissare un confine, quello oltre il quale benefici fiscali e sostegni di welfare possono cominciare a diminuire o addirittura sparire. Ma un reddito da lavoro dipendente quello è e quello e non altro è: lì davvero 35 mila lordi annui sono duemila netti al mese o poco più. Lì non comincia proprio per nulla l’agiatezza, lì è ipocrita e offensivo e iniquo, sì, iniquo) fissare il confine oltre il quale si paga per se stessi, per il proprio reddito e per gli altri. Lì è sciocco, crudelmente sciocco, che il populismo sia della destra che della sinistra ponga il confine tra ceti disagiati e non, redditi bassi e non.

Oltre al danno, la beffa

Crudele: sotto i 35 mila dichiarati i redditi reali di chi non è sottoposto alla ritenuta alla fonte aprono a facilitazioni, sconti fiscali, welfare di ogni tipo. Sopra i 35 mila annui lordi, quelli veri perché non solo dichiarati ma evidenti in busta paga o pensione, si è additati e fiscalmente puniti come agiati in odor di ricchezza. Far piangere i ricchi con le tasse…Così come lo si fa in Italia sotto ogni governo coloro che di sicuro non versano lacrime (e tasse adeguate) sono i ricchi e i benestanti annidati e imboscati tra la metà (la metà!) dei contribuenti che dichiara di vivere con mille al mese. Coloro che (con mille al mese!) hanno messo sui conti correnti e in ricchezza finanziaria attuale delle famiglie cinquemila! miliardi di euro. Al netto di quanto portato all’estero o nella cassette di sicurezza o sotto il materasso. Al netto dei patrimoni immobiliari.

Centinaia di miliardi ogni anno di evasione fiscale ed economia al nero hanno formato ed alimentano questa ricchezza. Che non piange, non versa una lacrima fiscale. Praticamente da sempre. Anche per loro piangono e pagano tasse gli altri: i “ricchi” da reddito dichiarato sopra i 35 mila lordi annui. Talmente da punire che ora, se gli aumentano lo stipendio di 100 euro al mese ci vanno a rimettere.