Barack Obama (Depositphotos)

di GIORGIO OLDOINI

La fine dell’occidente: 30 anni di errori americani, la deviazione della sinistra, una classe politica avulsa dai problemi dei cittadini ci hanno portato sulla soglia del baratro.

Il terrorismo condiziona la vita pacifica delle nazioni, le navi dei paesi occidentali sono attaccate con missili, lo stato di Israele è messo a rischio nella sua stessa esistenza, i palestinesi subiscono un genocidio, in America saranno tenute a breve elezioni che vedono contrapposte due visioni diverse del mondo, la Cina conquista ogni giorno nuovi spazi vitali.

Gli unici paesi rispettati sono quelli che dispongono di armi di distruzione di massa. A fronte di un rischio oggettivo di terza guerra mondiale, di cosa stanno discutendo le nostre televisioni, i media, i social e gli esponenti dei partiti?

Della questione giustizia che risale al 1992, degli arresti ad orologeria di esponenti politici, della libertà sessuale e di genere, del confronto televisivo tra la Meloni e la Schlein, del saluto romano di gruppetti isolati, dell’esito di elezioni locali nelle quali vince l’astensionismo.

Discutere della magistratura, di autonomia di poteri e di leggi contro la corruzione, è roba da super elites, è inutile e non riguarda le masse.

Nessun governo italiano potrà mai modernizzare la Magistratura, ormai sotto il controllo permanente di gruppi togati che pensano agli interessi di una categoria di intoccabili, al di sopra di governi e parlamento.

Si può dire che l’Italia è il paese europeo e forse mondiale con il maggior numero di leggi penali, tanto che l’italiano è afflitto da un senso di oppressione. La presenza di leggi repressive non ha mai risolto il problema della corruzione: la via giudiziaria per moralizzare il paese è del tutto fallita.

La gente è interessata ai fenomeni di immigrazione fuori controllo, alla chiusura continua di stabilimenti industriali, alla conseguente disoccupazione, all’inflazione e alla perdita del potere d’acquisto dei beni di prima necessità, alle pensioni anticipate. Il dibattito su tutto il resto è questione di confronto tra èlites ormai obsolete, lontane dai bisogni reali della gente.

Questo enorme distacco tra paese legale e paese reale riguarda anche gli Usa, dove si sta verificando una lotta senza quartiere tra i democratici guidati da Biden, un leader che spera di recuperare il gap dei sondaggi grazie a iniziative giudiziarie contro l’avversario (come ha sempre fatto la sinistra nel mondo occidentale) e Trump, un imprenditore prestato alla politica che mostra una grinta di governo di cui gli americani sentono il bisogno per affrontare i problemi dell’immigrazione e della disoccupazione e per richiamare in patria le multinazionali  trasferite all’estero. Esattamente come avviene in Italia.

L’Europa non è percepita come entità sovranazionale e i burocrati che la guidano pensano ai tassi di interesse, alla dimensione dei piselli e delle vongole ma lasciano i singoli paesi membri a risolvere i problemi sostanziali della politica, degli armamenti e dell’occupazione.

La vera questione sul tappeto è la mappa geopolitica, dal momento che la divisione del mondo uscita dalla guerra mondiale è messa in discussione.

Stanno venendo fuori tutti gli errori dei governi Usa negli ultimi trent’anni.

In Iran si era scelto di mandare via una monarchia laica, alla quale è subentrato un regime religioso a cultura antioccidentale.

La Russia era a un passo dall’entrare in Europa, come aveva auspicato Berlusconi, ma la Nato non se la sentiva di aggregare un paese a tradizione comunista. L’Europa aveva interesse a consolidare gli scambi energetici con la Russia come alternativa a quelli con gli instabili paesi arabi: la titanica costruzione di oleodotti faceva pensare ad un progetto di unificazione economica.

Russi ed europei avevano da tempo avviato su solide basi una nuova epoca di commerci e di scambi culturali e sociali; i rapporti della Russia con Israele erano ottimi. Il risultato della politica Usa è stato che Putin si aggrega alla Cina, dichiara guerra all’Ucraina per questioni di “sicurezza” e fomenta le sommosse dei paesi musulmani che ricorrono alla strategia del terrore.

A sua volta, la Cina è diventata un paese ad economia liberista che sta conquistando l’Africa e le sue materie prime, a suon di investimenti.

L’eliminazione del regime di Saddam Hussein voluto da Bush, ha generato bande armate impiegate nel terrorismo globale.

L’uccisione di Gheddafi, decisa da Obama e dal francese Nicolas Sarkozy, ha creato una situazione di instabilità in Libia e nelle zone limitrofe, ormai senza via di uscita.

La rivoluzione democratica (la primavera araba) dei paesi nord africani è stata un fallimento. L’idea che i paesi sottosviluppati o sotto il giogo delle teocrazie, possano adottare metodi democratici nel breve periodo, dimostra un’ingenua incomprensione dell’ambiente culturale ed economico che devono precedere la creazione di un paese moderno.

Alla base di tutto questo sta l’incapacità dell’Europa a svolgere una politica estera unitaria, in grado di scegliere strategie autonome di lungo periodo.

Per molti anni abbiamo creduto che un sistema economico può reggersi solamente sulle libertà tradizionali di matrice occidentale e sul mercato globale.

Vi sono problemi particolari che non possono essere lasciati alla sola forza naturale del mercato. Fra questi il problema della sicurezza. Tale problema è il più difficile da risolvere perché il desiderio della sicurezza supera quello della libertà e perché tale desiderio confligge con l’obbiettivo del singolo a migliorare la propria situazione.

Bisogna riconoscere che, per i due terzi del pianeta, il desiderio di libertà viene dopo il conseguimento dei mezzi di sussistenza.

Lo Stato è penetrato dovunque, come Stato-amministratore, Stato-legislatore, Stato-giudice. Questa profonda infiltrazione nella vita sociale dei paesi europei ha rafforzato l’esecutivo.

Non sempre le soluzioni si possono trovare per via legislativa: l’esecutivo diventa sempre più il centro della nostra democrazia. Le prossime elezioni europee, saranno una sorpresa per la sinistra, che ha tradito le sue radici ed è rimasta ancorata alla difesa dei diritti individuali di sparute minoranze.