di BRUNO TUCCI

Pioltello è un comune di poco più di 36mila abitanti situato nell’hinterland milanese, non distante quindi dalla metropoli lombarda. A dire il vero pochissimi lo conoscevano prima che il preside di una scuola non ha preso la decisione di chiudere l’istituto per un giorno, esattamente il 10 aprile. La ragione? Per quella data si chiude il Ramadam e poiché l’istituto ha il 40 per cento dei suoi alunni di religione islamica, si è pensato bene di venire incontro ai desideri di quei ragazzi. Il preside non è stato il solo a pronunciarsi per quella vacanza: l’intero consiglio si è detto d’accordo e non ha avuto dubbi su quanto era stato concordato. Così il preside, Alessandro Fanfani, ha potuto informare sopratutto i genitori italiani di quegli studenti che le lezioni avrebbero avuto uno stop di 24 ore.

Apriti cielo: è successo il finimondo: non solo la notizia è finita sulle prime pagine di tutti i giornali, ma è nata una polemica politica che ha diviso (guarda caso) destra e sinistra. Al preside sono arrivati insulti, minacce e per questo motivo non ha più voluto commentare il suo proposito. Come si è detto, il 40 per cento dei ragazzi della scuola “Iqbal Masik” è di religione islamica. Primo interrogativo: perché quel nome? Iqbal è stato un giovanissimo operaio pakistano diventato un simbolo della lotta contro il lavoro infantile. Nulla a che dire, solo un plauso, ma perché intitolargli una scuola italiana? Non ci sono nel nostro Paese personaggi che possono avere l’onore di essere ricordati? Secondo interrogativo: il preside, prima di prendere questa decisione, ha parlato con i rappresentanti di quelle famiglie italiane che rappresentano il 60 per cento degli studenti, cioè la maggioranza? Riteniamo di no, visto il clamore che ha suscitato la notizia. Per carità, la violenza non ha mai scusanti, quindi è deprecabile quel che ha dovuto subire il professor Alessandro Fanfani. Più che con atti intimidatori si poteva chiedere un colloquio al preside e discutere tranquillamente con lui se quella decisione era giusta o no. Indipendentemente da questa infuocata reazione (forse oltre ogni limite) in molti si sono chiesti se la chiusura della scuola era appropriata o meno.

Nei mesi scorsi si è parlato a lungo di alcuni principi religiosi a noi sacrosanti: il crocefisso alla parete di ogni aula, il Natale, il presepe, la Pasqua. E c’è chi ha voluto proporre che tutto doveva essere vietato se non altro per un principio di accoglienza e di inserimento di questa nuova popolazione. D’accordo, ma per quale ragione si doveva imporre ai ragazzi cattolici di ogni istituto o scuola di rinunciare a quelle festività e a quei simboli che sono il credo della nostra religione? Proprio per questo motivo, il preside, insieme con l’intero consiglio di istituto, avrebbero potuto organizzare per il 10 aprile una piccola riunione per quella minoranza di ragazzi felici quindi di poter ricordare una ricorrenza sacra quanto per noi il 25 dicembre.

Invece, si è voluti essere più realisti del re come capita spesso a quei progressisti che progressisti non sono se vogliono cancellare appuntamenti che hanno un vero significato nella grandissima maggioranza degli italiani. Adesso, al dieci di aprile mancano ancora diversi giorni. Le manifestazioni contro la disposizione dell’istituto non si placano, tanto che le proteste hanno raggiunto Roma finendo sul tavolo del ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara che è fra l’altro un milanese doc e conosce alla perfezione il “suo”popolo. Prima di questo vorremmo però porre un interrogativo di non poco conto: se fosse successo ai ragazzi italiani residenti all’estero un simile episodio avrebbero avuto lo stesso trattamento che un istituto lombardo ha creduto opportuno di “regalare” a quei giovanetti di fede islamica? Per dimostrare che nel nostro Paese non è di casa il razzismo il ministro vada alla ricerca di un negoziato che possa placare gli animi: un piccolo “rendez-vous di pochi minuti all’interno della scuola e poi tutti in classe ad ascoltare la parola dei docenti.