È scomparso all’Ospedale San Raffaele di Milano, colpito da coronavirus, contratto nell’ultimo viaggio in America, l’uomo delle grandi mostre: Germano Celant, nato a Genova nel 1940, critico d’arte e organizzatore di eventi espositivi in Italia e all’estero. A lui si deve la definizione di "arte povera" per designare un gruppo di artisti che avrebbe segnato l’arte del Novecento: Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali ed Emilio Prini. Fu proprio lui a proporre una prima mostra nella neonata corrente alla Galleria "La Bertesca" di Genova. Mancava Michelangelo Pistoletto in quel gruppo che già negli anni Sessanta raggiunse un grande successo internazionale. In quel periodo lavorò al primo festival di cinema latino-americano e iniziò a frequentare un giro di pittori e a scrivere su riviste di settore. Nella stessa occasione, sempre alla Bertesca di Genova, presentò in contemporanea "Im-Spazio", una collettiva di Bignardi, Ceroli, Icaro, Mambor, Mattiacci, Tacchi.

Questi artisti, secondo la presentazione del critico nel catalogo, operavano in una "nuova dimensione progettuale che Germano Celant mira a intendere lo spazio dell'immagine, non più come contenitore ma come campo di forze spazio-visuali. Le loro opere presentano una strutturazione aperta di frammenti visivi, formano imspazio a circolo aperto, a tempo reale che agisce con e sullo spettatore". Alle mostre Calent aggiunse anche un supporto ideologico attraverso scritti come "Conceptual Art", "Arte Povera" e "Land Art" del 1970. Il movimento si affermò in aperta polemica con l’arte tradizionale, di cui rifiutava tecniche e supporti per fare ricorso, appunto, a materiali "poveri" come terra, legno, ferro, stracci, plastica, scarti industriali con l'intento di evocare le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea dopo averne corroso abitudini e conformismi semantici.

Un'altra caratteristica del lavoro degli artisti del movimento era il ricorso alla forma dell'installazione, come luogo della relazione tra opera e ambiente, e alla performance. Il cambiamento fu talmente epocale che Celant riuscì ad entrare al Museo Guggenheim di New York, del quale divenne in seguito senior curator. È rimasta agli annali del Guggenheim la mostra "Italian Metamorphosis 1943-1968", allestita nel 1994, nel tentativo di avvicinare l’arte della penisola alla cultura statunitense. L'intendimento di internazionalizzare l'arte italiana aveva già caratterizzato le mostre al Centre Pompidou di Parigi nel 1981, a Londra nel 1989 e a Palazzo Grassi a Venezia nello stesso anno. In contemporanea Celant incominciò a far conoscere in Italia il mondo della conceptual art americana. Nel 1996 curò la prima edizione della Biennale di Firenze Arte e Moda, evidenziando un concetto di arte in costante evoluzione, strettamente connesso con la cultura contemporanea intesa come espressione dinamica di una creatività globale. Nel 1997 venne nominato direttore della 47ª Biennale d'Arte di Venezia.

Collaboratore di note riviste fra le quali "L'Espresso", su cui curava una propria rubrica, nel nuovo millennio realizzò a Genova la grande mostra "Arti & Architettura" nel 2004, prima di diventare direttore della Fondazione Prada, trasformando la struttura in punto di ricerca d’avanguardia, e curatore della Fondazione Vedova a Venezia. Inoltre organizzò la mostra Art & Food alla Triennale di Milano, in occasione di Expo 2015 che lo portò al centro delle cronache per il cospicuo ingaggio di 750mila euro: il critico d'arte Demetrio Paparoni si appellò infatti al sindaco di Milano Giuliano Pisapia contro la cifra spropositata, considerando che il compenso destinato al direttore dell'ultima Biennale di Arti visive, Massimiliano Gioni, nonché il suo successore Okwui Enwezor sarebbe stato di 120mila euro. Dall’accusa Celant si difese asserendo che il totale della cifra avrebbe incluso anche la retribuzione del general contractor dell'intera iniziativa, lo staff e le tasse dal momento che l'Expo mancava di una sua struttura interna organizzativa.

Fautore del motto "i soldi sanno creare il bello", venne definito "critico faraone" per compensi monstre che hanno scatenato diverse polemiche. Celant fu il primo "critico artista": non era un artista, ma senza di lui gli artisti dell’Arte Povera non sarebbero forse esistiti. Germano Celant lascia il mondo dell’arte da rocker: sempre con lo stesso stile, sempre con lo stesso nero addosso, legato a un repertorio che lo ha reso famoso nel mondo e che lo ha costantemente portato in tournée a organizzare mostre. Senza mai dimenticare la sua città natale: lui era figlio di quella Genova creativa degli anni Sessanta, compagno di scuola di Fabrizio De André, frequentava Paoli e Bindi, un mondo scomparso di cui si sente tanta nostalgia.

Marco Ferrari