Il 17 marzo 1891 un disastro navale nel porto di Gibilterra vide affondare il piroscafo "Utopia", con il suo carico di emigranti in massima parte del Sud Italia che sognava di arrivare in America. Partita da Trieste, dopo uno scalo a Napoli (e a Genova) dove aveva caricato tantissimi disperati meridionali, affondò dopo un incidente nel porto di Gibilterra, e per quasi tutti quelli a bordo il sogno di raggiungere New York finì sul fondo del mare. Un triste destino che oggi ricorda quello che vengono definiti "migranti economici", ma che in realtà sono costretti a sfuggire a fame, guerre e carestie, e che finiscono per morire nella traversata del Mediterraneo, più breve di quella oceanica ma non per questo meno rischiosa. E che a cavallo del Novecento annoverava, tra le sue vittime, tantissimi italiani provenienti dalle più disparate regioni italiane, molte delle quali nel Sud Italia.

La "Utopia", il piroscafo gioiellino dei britannici

La "Utopia" era un piroscafo appartenente ai britannici della "Anchor Line", ed era stata costruita a Glasgow nel 1874 dalla "Robert Duncan & Co", che aveva costruito anche le gemelle "Elysia" ed "Alsatia". Varata il 14 febbraio dello stesso anno, era un piroscafo lungo 110 metri e largo 11, con un'altezza alla prua di 9 metri, un motore da 678 cavalli per una velocità massima di 13 nodi (poco più di 24 chilometri orari), uno scafo in ferro ed una stazza lorda di 2371 tonnellate. Insomma, un piccolo gioiellino capace di trasportare 120 passeggeri di prima classe, 60 di seconda e ben 600 emigranti. Nel 1890 era stato anche ri-ammodernato per garantire maggiore velocità e capienza.

Il disastro del 17 marzo 1891

Il piroscafo "Utopia" era partito il 25 febbraio del 1891 da Trieste, all'epoca principale porto dell'Impero di Austria-Ungheria e, come Trento, città italiana che era rimasta (temporaneamente) fuori dal processo di Riunificazione, e come quasi tutte le navi che facevano rotta verso New York faceva scalo a Genova e Napoli, dove si riempivano di emigranti che sognavano l'America. Gibilterra, invece, era un passaggio obbligato per le navi, ultima base di rifornimento prima di attraversare l'Oceano Atlantico. E proprio al largo di Gibilterra si trovava quel 17 marzo del 1891, giorno in cui imperversava una furiosa tempesta. Il capitano John McKeague diede ordine di entrare nel porto, ma non si accorse della presenza di navi da guerra britanniche, e in particolare le corazzate "Anson" e "Rodney", che occupavano il posto dove normalmente l'aliscafo attraccava. A questo si aggiunse anche il faro della prima, che avrebbe abbagliato l'aliscafo durante le manovre.

Una serie di fatalità, dunque, a cui si unirono anche le pessime condizioni meteorologiche. La "Utopia" finì così, alle 18.36, contro la corazzata "Anson" stessa: lo squarcio, di circa cinque metri, fece immediatamente imbarcare acqua. Lo spegnimento dei motori, assieme all'inclinazione a cui l'aliscafo era già sottoposto, diede il colpo di grazia: a centinaia morirono, impossibilitati a calarsi con le scialuppe. Venti minuti bastarono per vedere colare a picco la "Utopia", e con lei 526 persone tra emigranti e membri dell'equipaggio. I corpi dei naufraghi furono recuperati in condizioni terribili. Quelli che avevano lasciato l'Italia per sognare un futuro migliore morirono così, al largo di Gibilterra, l'ultimo bastione d'Europa prima dell'Oceano Atlantico. Non furono gli unici, in quegli anni, a morire nelle acque del Mediterraneo. Precursori di coloro che oggi continuano, loro malgrado, a morire nelle acque del "mare nostrum".