di Ugo Magri

Non succederà, si spera. Ma se dovesse accadere? Prendiamo il “semestre bianco”, che inizia dal prossimo 3 agosto: fino a quel dì Sergio Mattarella potrà sciogliere le Camere o minacciare di farlo, tenendo a bada le intemperanze dei partiti; dopodiché gli verrà impedito per un bizzarro scrupolo dei nostri padri costituenti. Ai quali 75 anni fa era venuto il dubbio che qualche presidente della Repubblica particolarmente perfido, pur di farsi rieleggere, potesse arrivare al punto di esercitare pressioni sul Parlamento e addirittura mandarlo a casa nella speranza che quello nuovo fosse a lui più amico.

Sembrano contorsioni mentali, anzi lo sono. Tanto che già nei primi anni Sessanta l’allora presidente Antonio Segni aveva lanciato una proposta di buonsenso: chiariamo nella Costituzione che un presidente non può essere eletto una seconda volta, però perlomeno lasciamogli la facoltà di sciogliere le Camere nello sciagurato caso di una crisi senza sbocco.

Al vecchio Segni nessuno diede retta (la politica ha sempre cose più urgenti cui dedicarsi). Cosicché a partire dal 3 agosto ci ritroveremo in una situazione rischiosa: se qualcuno facesse cadere Mario Draghi, per esempio Matteo Salvini, e non si formasse una maggioranza alternativa, come assicurano nel Pd, a Sergio Mattarella non resterebbe che allargare le braccia. Impotente quanto potrebbe essere un prof nell’ora della ricreazione e per giunta in una classe di ripetenti. Per sbloccare l’impasse dovremmo attendere l’elezione del suo successore; nel frattempo resteremmo mesi e mesi senza governo, col Parlamento bloccato, nell’impossibilità di approvare leggi o riforme e, dunque, con tanti saluti ai miliardi europei. Una catastrofe per colpa di quel dannatissimo articolo 88 comma 2 della nostra amata Costituzione.

Purtroppo, non è l’unica stravaganza di questa corsa al Colle. Per esempio, nemmeno si sa esattamente quando verrà eletto il tredicesimo presidente. La data è ballerina perché la norma fu scritta coi piedi. L’articolo 85 si limita a stabilire che “trenta giorni prima” della scadenza il presidente della Camera “convoca” il Parlamento in seduta comune e, in aggiunta, i delegati regionali. Tutti insieme eleggeranno il nuovo capo dello Stato. Dopodiché non è chiaro se nei trenta giorni antecedenti la fine del settennato le Camere dovranno per forza riunirsi o sarà sufficiente che Roberto Fico imbuchi la lettera di convocazione. A sentire alcuni giuristi (come al solito in disaccordo tra loro: confrontare al riguardo l’ottimo commentario della Costituzione pubblicato dal Mulino a cura, tra gli altri, di Francesco Clementi) basterà la seconda delle due. Così perlomeno si è fatto l’ultima volta, nel 2015. Prendiamo allora in mano il calendario. Mattarella giurò il 3 febbraio, ergo la convocazione dovrà partire entro martedì 4 gennaio 2022. Per dare tempo alle Regioni di scegliersi i rappresentanti, passeranno almeno una decina di giorni; dunque la prima votazione sul successore di Mattarella verrà a cadere verso la metà di gennaio. Ma potrebbe arrivare con due settimane di anticipo se Fico, interpretando in senso più restrittivo la Costituzione, spedisse la lettera alla vigilia di Natale e convocasse i “grandi elettori” prima della Befana.

Uno potrebbe chiedersi: che fretta c’è? Quindici giorni in più o in meno non cambiano il mondo, l’importante è che i partiti facciano la scelta giusta. Vero. Però non potranno nemmeno tirarla troppo per le lunghe con un interminabile rosario di votazioni a vuoto, in quanto c’è un’altra scadenza da tenere a mente: la sera del 2 febbraio 2022 Mattarella concluderà il mandato. Se nel frattempo il successore non fosse stato eletto - per colpa delle liti politiche, dei “franchi tiratori” o quant’altro - nessuno ha la più pallida idea di cosa diavolo potrebbe accadere. Anche qui la Costituzione fa acqua, anzi non dice niente. Per cui, in presenza del “buco nero”, qualcuno ipotizza che Mattarella resterebbe provvisoriamente al suo posto in regime di “prorogatio”; altri lo escludono nella maniera più assoluta e ritengono che a controfirmare eventuali decreti legge o altri provvedimenti urgenti dovrebbe essere Elisabetta Casellati, presidente del Senato e seconda carica dello Stato. Nella patria degli azzeccagarbugli c’è addirittura chi ipotizza un intervento della Corte costituzionale per sciogliere il nodo.

In compenso, la legge non lascia dubbi su cosa potrebbe accadere qualora al Quirinale venisse eletto l’attuale premier Mario Draghi. In attesa di conoscere la sorte del suo governo, al posto del presidente del Consiglio andrebbe il vice. Ma dal momento che di vice-premier non ce ne sono, la poltrona di presidente del Consiglio verrebbe occupata dal ministro più anziano. E chi è, nel governo in carica, il ministro più avanti con gli anni? Sorpresa: Renato Brunetta, che il 26 maggio spegnerà 71 candeline. Insomma, se Draghi vincesse la corsa al Colle, potremmo ritrovarci Brunetta alla guida del governo. Non succederà. Ma se accadesse…