DI GIORGIO OLDOINI

 

Tassa di successione, pura demagogia. Un diversivo per eludere le vere riforme che danneggerebbero i parassiti dei partiti, Pd in testa.

 

Il Segretario PD Letta ha cominciato a dire “cose di sinistra” proponendo di elevare il livello di tassazione dei patrimoni superiori al milione, fino al limite massimo del 20% a partire dai 5 milioni. L’aumento darebbe un gettito molto modesto, destinato ai diciottenni per avviarli al lavoro.

 

Letta ha rilevato che così fanno molti Paesi europei e gli Stati Uniti. Negli Usa, la tasse mortuarie le pagano i patrimoni superiori a 11 milioni di dollari. In effetti, la tassa di successione è un prodotto del liberalismo, che considera la ricchezza ereditaria una fonte di privilegio. Occorre evitare che singoli individui possano accumulare grandi patrimoni invece di immetterli nel circuito produttivo. E creare nuova ricchezza e occupazione.​

 

Tuttavia, è molto raro che i ricchissimi americani paghino imposte di successione: Bill Gates e tutti i magnati ricorrono alle Fondazioni, esenti da imposte.

 

E stabiliscono le strategie delle erogazioni senza l’intervento dello Stato. Secondo i principi del liberalismo, nessun ente pubblico o privato potrebbe prevedere erogazioni a fondo perduto ai diciottenni. Quando il patrimonio non è abbastanza elevato da giustificare la creazione di una fondazione, le classi medie trasferiscono i soldi all’estero.

 

Il presidente Obama è dovuto andare con il cappello in mano nei paradisi fiscali come la Svizzera per ottenere i rientri in patria dei capitali, peraltro con scarsi risultati.​

 

Un altro caposaldo del liberalismo è la libera circolazione dei capitali, ma il nostro legislatore considera reato il trasferimento di fondi all’estero e combatte l’uso del contante.

 

Tutti vorremmo che i frutti del capitale fossero assoggettati alle aliquote massime, ma quando queste aliquote aumentano, gli investitori scappano. Lo Stato perde in termini di gettito molto più di quanto ha guadagnato tassando i percipienti della rendita. Ciò si verifica perché la credibilità economica e finanziaria del nostro Paese è vicina allo zero.L’altro tabù della sinistra italiana è la progressività dell’imposta, secondo la previsione dei padri costituenti che sono vissuti 75 anni fa. Da allora è successo che negli stessi Paesi occidentali, il requisito più importante di un buon sistema fiscale è di riconoscere l’importanza delle imposte come incentivi all’economia.

 

A questo fine, la tassa ideale dovrebbe essere neutrale senza alcuna discriminazione circa le fonti del reddito. La progressività deve cioè riguardare nella stessa misura lavoratori dipendenti, professionisti e imprenditori.

 

Per attrarre capitali, la concorrenza globale si avvale di ogni mezzo. E i vari Paesi sono preferiti in quanto offrono agevolazioni fiscali, una burocrazia collaborativa, una Giustizia veloce, un ragionevole costo del fattore lavoro.

 

Per capire l’ideologia classica della sinistra, basterà ricordare che le cooperative sarebbero diverse dalle imprese ordinarie, perché agiscono “senza fini di speculazione privata” (cosi l’art. 45 Cost.). Nell’immaginario collettivo impersonato anche dai 5 stelle, colui che organizza un’impresa e che esplica una funzione vitale per il sistema economico, è considerato un egoista, motivato solo dall’interesse personale.

 

Anni fa, era bastata la dichiarazione di un ministro della sinistra storica che segnalava l’esigenza di pubblicizzare le farmacie, per limitarne drasticamente il valore di mercato. Il referendum sulla pubblicizzazione dell’acqua aveva messo a rischio (poi rientrato) le società che erano subentrate alle Aziende in house dimostratesi inadeguate.

 

La riduzione del valore aziendale può anche dipendere dalla presenza di organizzazioni del lavoro di tipo fortemente corporativo. I più modesti sindacati di base che occupano i gangli vitali dei servizi pubblici, sono in grado di tenere sotto scacco l’intero Paese e sono ingovernabili. In questo caso non è possibile il risanamento (nessun sindaco potrà rendere efficienti le aziende romane che si occupano di rifiuti e di trasporti, come ha dichiarato la stessa Virginia Raggi).

 

Per fare un esempio del modo in cui il decisore pubblico non dovrebbe comportarsi, basterà ricordare il caso delle imprese immobiliari. La tassazione degli immobili, reddituale e patrimoniale, è sempre stata la più ricorrente per la facilità di riscossione. I beni immobili sono “al sole”, mentre il capitale è mobile e si mimetizza con relativa facilità.

 

A motivo del livello di tassazione, per via di aliquote, di tasse ipotecarie e catastali, di aumento delle rendite, per i limiti legali al mercato dei canoni, per i continui investimenti obbligati e per le corvée burocratiche richieste ai proprietari di immobili. Si è innescata una spirale che ha portato a diffuse perdite di valore di questo comparto.

 

Il soggetto che ha subìto i maggiori danni da questa politica è stato proprio l’Erario nella qualità di proprietario. Si calcola che il vantaggio dello Stato in termini di gettito, durante gli ultimi vent’anni, sia stato molto inferiore alla perdita di valore del patrimonio immobiliare pubblico. I prezzi-base degli immobili sono scesi al minimo, al punto da far sospendere le aste indette dal ministero, dalle Regioni e dai Comuni.

 

I tentativi di fare cassa per questa via, sono quasi tutti falliti. L’investitore privato che invece di tenersi i soldi liquidi ha investito in immobili, ha perso il 40/50% dei suoi risparmi. Mentre le stesse banche si sono trovate nella situazione di “negative equity” (debito ipotecario maggiore al valore corrente della proprietà).

 

Del resto, i grandi proprietari di immobili sono diventati i fondi di investimento che hanno perso gran parte del capitale. Ai danni dell’operaio o dell’impiegato che vi hanno investito i risparmi di una vita.

 

Letta chiede ora che quanti hanno accumulato un patrimonio allo scopo di passarlo ai figli, avendone perso la metà per via delle politiche governative, siano assoggettati alla tassa di successione. Che in pratica riguarderà solo gli immobili.

 

Infatti i titoli e i liquidi, possono essere trasferiti in vita con relativa facilità. Letta rileva che si tratta solo di patrimoni dei ricchi. In tal modo, facendo leva sugli elevati indici italici di invidia sociale, ottiene l’applauso delle masse.

 

Solo che i nuovi ricchi del Paese non si trovano più nella fascia dei risparmiatori che hanno investito in immobili. A questa categoria dei ricchi appartengono ormai gli amministratori delle società pubbliche e i grand commis delle burocrazie statali. Che percepiscono compensi e pensioni da capogiro e detengono la rendita di posizione del vecchio feudo.

 

Per queste ragioni, la proposta di Letta mostra i suoi limiti, mira a distrarre l’opinione pubblica dai problemi reali, ha natura strumentale per arraffare qualche voto, non è certamente di sinistra. In una parola, ha natura demagogica.

 

Il problema vero è che Letta non affronta i problemi reali perché le riforme più illuminate richiederebbero interventi ai danni dei principali centri parassitari del Paese, nei quali la sinistra occupa un posto di prima fila.