"Più che un cambiamento politico, la prima preoccupazione per i cubani in questo momento è trovare qualcosa da mangiare". Lo dice Antonella Mori, Head dell'ISPI per l'area latino americana. Da domenica  proteste contro il governo di Miguel Díaz-Canel. L'accentuarsi della crisi economica sta negando la possibilità di accedere ai beni di prima necessità a gran parte della popolazione, senza cibo né medicinali e molto spesso avvolta nel buio causato dai blackout elettrici. Certo, l'eccezionalità degli eventi è chiara: raramente si sono viste manifestazioni di tale portata nell'isola, probabilmente paragonabili solo a quelle del 1994 dopo la caduta dell'alleato su cui contava di più Fidel Castro, quell'Urss che al tempo aveva già cambiato nome.

Ma rispetto a trent'anni fa, la crisi economica morde con più ferocia per via di una pandemia che ha reso ancor più isolato uno Stato che può contare, in tempi normali, su un sostegno limitato a causa dell'embargo che pende sulla sua testa da sessant'anni. A esporsi nel chiederne la revoca è Pechino, che vede nell'embargo la causa dell'insofferenza della popolazione cubana. Una misura a cui andrebbe posto fine, fa sapere anche il senatore democratico Bernie Sanders, e che "non solo colpisce il popolo cubano ma non lo ha nemmeno aiutato". Allo stesso modo, l'ex candidato alla presidenza ha chiesto al governo di Díaz di "rispettare i diritti dell'opposizione e ad astenersi dalla violenza". Anche se, ad ascoltare la notizia dell'arresto della giornalista del quotidiano spagnolo Abc, accusata di crimini contro la sicurezza di Stato, non sembrerebbe.

La blogger dissidente Yoani Sanchez su Twitter denuncia come "ci sono morti, feriti, arrestati e desaparecidos. Non sappiamo con precisione quanti e dove perché la sospensione di Internet e delle linee telefoniche è generalizzata a Cuba". E allora si muove la politica, con l'interrogazione presentata al vice presidente della Commissione europea, Josep Borrell, dagli eurodeputati italiani e spagnoli del Ppe che chiedono l'intervento dell'Ue. La condanna europea arriva con le parole di Peter Stano, portavoce della Commissione per gli Affari Esteri, che ha definito gli arresti "inaccettabili" e chiede l'immediato rilascio. All'Europa fa eco il Segretario di Stato americano Antony Blinken, il quale sottolinea come "l'amministrazione Biden-Harris è al fianco del popolo cubano" e respinge le accuse di complottismo lanciate da Diaz: "Sarebbe un grave errore per il regime cubano interpretare le proteste nel Paese come il prodotto di qualcosa che gli Stati Uniti hanno fatto".

Insomma, cosa sta accadendo a Cuba?

Non è ancora chiaro se siamo di fronte a manifestazioni dell'opposizione o se la vera spinta è la disastrosa crisi economica. Le proteste si sono diffuse anche nelle zone rurale, dove solitamente il partito ha sempre avuto un buon appoggio. Il paese sta vivendo una crisi tremenda per la pandemia che ha azzerato il turismo internazionale, il vero motore di entrate e di risorse del paese. I dollari che arrivano da questo settore sono la prima fonte di risorse per il governo, che li riutilizza anche per le importazioni. Ad oggi mancano quindi le risorse essenziali sull'isola e non si riescono a far arrivare da fuori. A questo si deve aggiungere la pandemia, ovviamente. Il sistema sanitario cubano è molto buono, non a caso sta sviluppando quattro vaccini di cui uno sembrerebbe avere un'efficacia elevata. Ma la campagna vaccinale è iniziata solamente da poco, con una parte ancora minima dei cubani (il 15%) che ha concluso il ciclo vaccinale.

Come si è arrivati a questa situazione?

A pesare su tutto è l'embargo. Alcune aperture con Obama c'erano state, per esempio sulla maggiore flessibilità per i viaggi e sulle rimesse, fonte essenziale per le famiglie cubane. Ma, successivamente, Trump non solo ha compiuto dei passi indietro rispetto al predecessore, ma ha preso iniziative come nessuno mai. Oltre a bloccare l'invio di denaro, l'ex presidente ha offerto la possibilità ai proprietari cubani possessori di immobili o terreni e che avevano subito un esproprio con la rivoluzione di far causa al governo socialista nei tribunali statunitensi. Nessun presidente, né repubblicano né tantomeno democratico, aveva mai dato il via a una misura simile, seppur lecita sulla carta.

Con l'arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca è giusto aspettarsi un cambio di rotta rispetto al passato?

Per una ragione di politica interna, Biden non ha fatto nulla ancora e non ci possiamo aspettare dei grandi cambiamenti, anche se si tratta del vice di Obama. Sta prendendo tempo, ma non può permettersi di perdere consenso elettorale. Certo, delle differenze con Trump ci saranno: non sarà un guardiano ma possiamo aspettarci poco dagli Usa. Per le famiglie cubane saranno essenziali le rimesse che arriveranno sull'isola (in media, tra i 100 e i 200 dollari, ndr). La Cina potrebbe giocare un ruolo più attivo, ma dipende da quanta voglia abbia Pechino di andare a pestare i piedi così vicino a Washington. L'appoggio è arrivato dai Paesi dell'area limitrofa, con i governi di Argentina e Messico che hanno ribadito la richiesta di porre fine all'embargo, ma attualmente non è un'alternativa da poter prendere in considerazione, non nel breve termine. Il Messico si è anche detto disposto a mandare aiuti, così come l'Ue: di questo, si può ipotizzare che Joe Biden ne sia contento ma non può dichiararlo ufficialmente. Il Venezuela, invece, non è nelle condizioni di poter aiutare di aiutare il suo alleato.

 Il presidente Mario Díaz-Canel è il primo dell'era post castrista, terminata ad aprile con l'addio di Raul. Ma è dal 2018 che Díaz-Canel governa e ha provato a far uscire Cuba dall'isolamento attraverso le riforme. In che direzione sta andando Cuba? Sta maturando un cambiamento?

È difficile delineare un futuro chiaro per l'isola, gli scenari sono tanti ma non mi sembra che ci siano le condizioni. Il governo potrebbe cercare di mantenere lo spirito rivoluzionario e un'economia socialista, ma l'embargo pesa. Davanti alle aperture economiche e al ragionevole rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali, gli Stati Uniti potrebbero allentare le misure, di quanto non è possibile dirlo. Anche quando si è passati da Fidel a Raul sembrava una svolta storica per Cuba, e in parte lo è stato se pensiamo alla proprietà privata e all'apertura agli investimenti stranieri. Ma sono piccoli cambiamenti. L'unica possibilità per il presidente Díaz-Canel è di non usare la mano dura, perché alienerebbe qualsiasi possibilità di aiuto. Può mobilitare quella parte di popolazione che ancora è dalla sua, senza procedere ad arresti e un soffocamento dell'opposizione. Anzi, consentire le manifestazioni potrebbe essere il primo passo verso una strada democratica.

L'eccezionalità delle proteste porta, però, a domandarsi perché proprio adesso.

Nella grandezza delle proteste, non va sottovalutato il ruolo che hanno giocato i social network in questo frangente. Non soltanto hanno permesso di testimoniare quanto stava accadendo, ma hanno fatto sì che decine di città si muovessero insieme. Ma attenzione, non c'è un atteggiamento più contrario nei confronti del governo rispetto al passato. A Cuba c'è da sempre una crisi economica, solo che adesso è molto più forte, questo sì. Piuttosto che un cambiamento politico, la prima preoccupazione per i cubani è quella di avere da mangiare.

Nel gioco delle parti, L'Avana e Washington si rimbalzano le responsabilità a vicenda. Che ruolo hanno gli Stati Uniti nelle proteste?

Tenderei ad escludere un coinvolgimento esterno. Mi sorprenderebbe un po' che gli stati Uniti rischino per una questione del genere. L'amministrazione Biden non ne trarrebbe alcun vantaggio nel fomentare le proteste, anzi. Che poi ci sia qualche privato che possa aver favorito le manifestazioni, potrebbe essere sicuramente più realistico rispetto a un complotto di Stato: non è detto che sia così, ma avrebbe un peso differente.