Il presidente della repubblica rappresenta la massima carica istituzionale del nostro paese. Per questo motivo, la procedura per la sua elezione è particolarmente complessa. In base all’articolo 83 della costituzione infatti, il capo dello stato viene eletto dal parlamento in seduta comune a cui si aggiungono 3 delegati per ogni regione (scelti dai rispettivi consigli regionali), fatta eccezione per la Valle d’Aosta che ne esprime uno solo.

Fintanto che non sarà eletto il nuovo parlamento con numeri ridotti a seguito della riforma costituzionale approvata nel settembre 2020, l’assemblea che elegge il presidente della repubblica è quindi composta da 1009 membri: 630 deputati, 321 senatori (inclusi i senatori a vita) e 58 delegati regionali.

Lo stesso articolo della costituzione stabilisce inoltre che il voto sia segreto e che il nuovo presidente sia eletto con una maggioranza qualificata dei due terzi dell’assemblea. Se tale maggioranza non viene raggiunta, si procede ad una nuova votazione. Dopo i primi tre scrutini se ancora non si riesce ad eleggere un candidato, diventa sufficiente la maggioranza assoluta (la metà più uno dei votanti).

Durante la seduta comune non sono ammessi interventi volti a proporre candidature o a esprimere dichiarazioni di voto. Lo scrutinio avviene in seduta pubblica. Allo spoglio procede il presidente della camera (in quanto presidente del parlamento in seduta comune) che da lettura di tutte le schede tranne quelle identificabili come nulle. Per prassi si considerano “dispersi” i voti ai quei candidati che raccolgano un numero di preferenze inferiore a due.

La seduta per l’elezione del presidente della repubblica è unica. Ciò significa che finché non viene eletto il successore al Quirinale l’assemblea non si scioglie. Ma tra una votazione e l’altra sono previste delle interruzioni. Ciò anche per favorire il dialogo tra i partecipanti al voto e trovare un accordo su un possibile candidato. La durata media di ciascuno scrutinio è pari a circa quattro ore e mezzo secondo i dati della camera.

I presidenti della repubblica sinora sono stati 12. L’unico ad essere stato eletto per un secondo mandato è stato Giorgio Napolitano nel 2013 (poi dimessosi due anni più tardi). La necessità di raggiungere una maggioranza dei due terzi ha determinato il fatto che raramente si sia riusciti ad eleggere il nuovo presidente nei primi tre scrutini. Gli unici due casi di questo tipo sono stati Francesco Cossiga nel 1985 e Carlo Azeglio Ciampi nel 1999. L’elezione più complessa è stata invece quella di Giovanni Leone nel 1971 che ha richiesto ben 23 votazioni.

A conferma di come le elezioni del 1971 siano state forse le più difficili, Giovanni Leone risulta essere anche il presidente della repubblica eletto con la maggioranza più ristretta (52%). Il presidente che ha raccolto più consensi è stato invece Sandro Pertini che nel 1978 fu eletto con l'83,6% delle preferenze ma dopo ben 16 scrutini. Da notare che Enrico De Nicola, che vanta la più alta percentuale di preferenze a suo favore, è stato eletto nell'ambito dell'assemblea costituente ed è rimasto in carica solo per pochi mesi, fino all'elezione di Luigi Einaudi da parte del primo parlamento repubblicano.

In base all’articolo 83 della costituzione, il presidente della repubblica è eletto dal parlamento in seduta comune a cui si aggiungono 58 delegati regionali. La votazione avviene con scrutinio segreto ed richiesta la maggioranza dei due terzi. Qualora, dopo tre votazioni, non si sia ancora riusciti ad eleggere il nuovo capo dello stato è sufficiente la maggioranza semplice.

Alcuni studiosi, definiscono il ruolo del presidente della repubblica come di “estrema garanzia”. Egli infatti ha il compito di ripristinare l’ordine costituzionale violato o minacciato da indebite alterazioni. L'inquilino del Quirinale svolge quindi un fondamentale ruolo di controllo sull'operato delle altre istituzioni e di tutela nei confronti dei cittadini.

Per svolgere questo ruolo il presidente della repubblica dispone di poteri sia formali che sostanziali. Solo per citarne alcuni, nomina il presidente del consiglio dei ministri (che dovrà poi ricevere la fiducia da parte del parlamento) ed un terzo dei membri della corte costituzionale. Può anche rinviare una legge alle camere con messaggio motivato per chiedere una nuova deliberazione. Può inoltre rifiutarsi di firmare un decreto legge che non presenti le caratteristiche di necessità e di urgenza. Infine presiede il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio supremo di difesa.

È anche per questi motivi che per l'elezione del capo dello stato è stata adottata una procedura così complessa. L'attuale assetto costituzionale tuttavia presenta alcune criticità. Con la riforma della costituzione entrata definitivamente in vigore nel 2020 infatti il parlamento sarà ridotto a 600 membri complessivi. La riforma però non ha intaccato il numero dei rappresentanti regionali. Se nell'attuale parlamento il "peso" dei delegati rappresenta meno del 6% dei voti, con i nuovi numeri si avvicinerebbe al 10%.

 I GRANDI ELETTORI, LE MAGGIORANZE IN CAMPO...

Ecco quando e come si procederá per la sua elezione

 

La procedura per eleggere il presidente della Repubblica è stabilita dalla Costituzione e da una serie di prassi che si sono stabilizzate nel tempo.

Trenta giorni prima che scada il termine del mandato del Capo dello Stato, recita l'articolo 85 della Costituzione, "il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica". Il mandato di Mattarella scade il 3 febbraio (giurò in quel giorno nel 2015), quindi il 3 gennaio Roberto Fico, convocherà il Parlamento in seduta comune. Per prassi consolidata tale seduta si svolge 15-20 giorni dopo, per permettere ai consigli regionali di eleggere i propri tre delegati.  Quindi il presidente Fico potrebbe convocare la seduta per il 18-20 gennaio. Secondo alcuni osservatori la convocazione potrebbe avvenire per il 22 gennaio, cioè un sabato; questo per concedere un giorno di decantazione se si arrivasse al primo scrutinio senza un nome che abbia la maggioranza assoluta necessaria dal quarto scrutinio.

I 1009 GRANDI ELETTORI, LE MAGGIORANZE IN CAMPO

Saranno 1009 i Grandi Elettori che si riuniranno a gennaio in seduta comune a Montecitorio per eleggere il tredicesimo presidente della Repubblica. Nelle prime 3 votazioni, a scrutinio segreto, serviranno i 2/3 dei voti dell'assemblea, pari a 672, dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, pari a 504. Ai 629 deputati e 320 senatori della XVIII legislatura si aggiungono per comporre il plenum dell'assemblea 58 delegati locali: in ogni Regione saranno scelti due esponenti per la maggioranza e uno per la minoranza, tranne in Valle d'Aosta dove ne sarà scelto soltanto uno. I delegati regionali non sono ancora stati eletti ma, stando a chi ha vinto le elezioni regionali, dovrebbero essere 33 al centrodestra e 25 al centrosinistra. L'elezione del prossimo presidente della Repubblica non si annuncia per niente semplice visto che nessuno dei due schieramenti ha la maggioranza assoluta per eleggere al quarto scrutinio il proprio candidato. E anche perchè questo Parlamento è nato sull'onda della grande vittoria M5S che però negli anni si è sbriciolato: basti pensare che i parlamentari 5s a inizio legislatura erano 338 e ora sono rimasti, tra cambi di casacche e nuovi gruppi, 233. Un gran numero di eletti quindi non risponde ad alcuna indicazione di partito ed è difficile darli per certi in un calcolo di maggioranze. Ed ecco i rapporti di forza, sulla carta, delle varie forze politiche:

CENTRODESTRA: può contare su 450 grandi elettori che fanno riferimento ai partiti dentro la coalizione: 196 sono della Lega (il senatore Paolo Saviane è deceduto e il suo seggio resta vacante), 127 di Fi, 58 di Fdi, 31 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l'Italia, ai quali si aggiungono i 33 delegati regionali.

CENTROSINISTRA CON M5S : Può contare su 420 voti se si esclude Iv, su 463 se si conteggia anche il partito di Renzi (43). Il Pd conta 133 grandi elettori (Gualtieri neo sindaco di Roma dovrà optare e quindi forse il suo seggio sarà vacante al momento dell'elezione del Colle), M5s ne ha 233, Leu 18, Azione-+Europa 5, Centro democratico di Bruno Tabacci ha 6 deputati. A questo blocco si aggiungono i 25 delegati regionali, piu' Gianclaudio Bressa, iscritto al gruppo per le Autonomie ma eletto con il Pd.

SENATORI A VITA: Per questa elezione del presidente della Repubblica sono 6: Giorgio Napolitano, Mario Monti, Liliana Segre, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia.

AUTONOMIE: Il gruppo delle autonomie-minoranze linguistiche conta 4 deputati e 5 senatori, al cui gruppo a Palazzo Madama sono iscritti anche Gianclaudio Bressa (Pd), Pier Ferdinando Casini (Centristi per l'Europa) e i senatori a vita Cattaneo e Napolitano.

GRUPPO MISTO: In questa legislatura il gruppo Misto di Camera e Senato e' lievitato e mutato a secondo della nascita di nuove componenti: il gruppo piu' nutrito e' la pattuglia ex M5s di Alternativa C'e' che per le votazioni del Quirinale ha 19 grandi elettori, Azione-+Europa-Radicali (5), Centro Democratico (6 deputati), Maie (3 deputati, 3 senatori), FacciamoEco (3 deputati), Nci (5 deputati). Nel Misto al Senato c'e' poi LeU (6) e tanti fuoriusciti M5s (24 alla Camera che risultano non iscritti a nessuna componente insieme all'ex Leu Michela Rostan mentre a Palazzo Madama sono nel misto 15 ex M5s, i 3 ex 5s ora Italexit e 1 ex 5s ora Potere al Popolo)

Una volta che il Parlamento e i delegati regionali hanno eletto il Presidente della Repubblica (con i due terzi dei voti nei primi tre scrutini, e con la sola maggioranza assoluta dal quarto), viene redatto il verbale dell'elezioni che il Presidente della Camera, accompagnato dalla presidente del Senato, comunica al neo eletto 

IL DISCORSO DI INSEDIAMENTO, IL BIGLIETTO DA VISITA DEL PRESIDENTE

Sette anni fa Laura Boldrini comunicò a Mattarella la sua elezione presso la Corte Costituzionale, visto che il neo Presidente era giudice della Consulta. A quel punto, per prassi il presidente della Repubblica in carica si dimette, se non si è ancora concluso il suo mandato. Se quest'ultimo è passato, vale il principio generale della "prorogatio", cioè il Presidente rimane in carica fino all'elezione del suo successore. La Costituzione non indica tempi certi tra l' elezione e il giuramento davanti al Parlamento in seduta comune. Si va dai 12 giorni che passarono dall'elezione al giuramento per Giovanni Gronchi, al solo giorno che servì per Sandro Pertini o per Saragat. Matterella fu eletto il 31 gennaio 2015 e giurò il 3 febbraio.

 SE FOSSE UNA DONNA? STORIA DI UNA LUNGA RINCORSA

La mattina più difficile della sua vita, quella in cui le toccò riconoscere la vittoria di Donald Trump, Hillary Clinton parlò così: “A tutte le donne che mi hanno sostenuto, anche se non abbiamo ancora sfondato il più alto e il più duro soffitto di cristallo, so che un giorno qualcuna lo farà”. Non sono le Presidenziali degli Stati Uniti, queste elezioni per il Quirinale. Eppure anche nella corsa per il Colle nessuna donna è mai riuscita a sfondare il tetto di cristallo. E neanche ci è andata vicina, a dire il vero. Quello che oggi è uno scenario possibile, un tempo accendeva addirittura dubbi di interpretazione costituzionale. Il democristiano Giuseppe Fuschini si domandò durante la Costituente: la formula “cittadino” comprende le donne, tra la platea degli italiani over 50 eleggibili? Si chiarì che sì, era possibile. Fino al 1978, comunque, nessun nome di donna fu appuntato nei verbali delle elezioni. Nel frattempo, siamo negli anni Sessanta, le preferenze accordate all’attrice Sophia Loren furono dichiarate nulle. Nel corso delle ultime settimane sono circolati i nomi del ministro della Giustizia Marta Cartabia, della giurista Paola Severino, di Emma Bonino e Rosy Bindi come profili in corsa per il Colle. Tocca ai grandi elettori, adesso, dire se per la prima volta una donna potrà almeno giocare una partita vera ed avere chance di vittoria. Perché altre candidate furono sì votate, ma senza reali margini di riuscita nell’urna. La prima donna entrò in ballo durante l’elezione del Capo provvisorio dello Stato, nel 1946: Ottavia Penna - baronessa Buscemi, una delle 21 costituenti, eletta nelle liste dell’Uomo qualunque - raccolse 32 voti (Enrico De Nicola la spuntò con 396). Bisogna attendere però il 1978, come detto, per trovare quattro voti registrati alla giornalista Camilla Cederna, tre ad Eleonora Moro (vedova di Aldo, la “dolcissima Noretta” nelle lettere dalla prigionia delle Br). Nel 1985, altri otto voti per Cederna e tre per Tina Anselmi, prima donna ministro. La prima a poter contare su un’investitura politica alle spalle fu invece Nilde Iotti nel 1992, sostenuta dal Pds. Detiene ancora oggi il record di voti ottenuti: 256 al quarto scrutinio. Si ritrovò per qualche ora in testa alla corsa, prima di cedere il passo a Oscar Luigi Scalfaro. E sempre nel 1992 Tina Anselmi strappò 18 preferenze, indicata dalle donne della Dc. Due preferenze andarono alla senatrice Aureliana Alberici, moglie all’epoca di Achille Occhetto. La strada resta in salita anche sette anni dopo, nel 1999. Emma Bonino e la popolare Rosa Russo Jervolino entrano in partita, ma ne escono appena schiuse le urne: Carlo Azeglio Ciampi diventa Presidente al primo scrutinio. La radicale, però, è la prima ad avere alle spalle un comitato, “Emma for President”. Nel 2006 un altro comitato, “Tina Anselmi al Quirinale”, anche stavolta senza centrare l’obiettivo. In quell’occasione, ottiene 24 voti Franca Rame, due Lidia Menapace, tre Barbara Palombelli. Altri tre a Linda Giuva, docente universitaria e moglie di Massimo D’Alema. E tre grandi elettori scelgono “Savoia Maria Gabriella”. Nel 2013 si fa spazio Anna Finocchiaro. Sembra un’opzione forte, ma è Matteo Renzi a bruciare in fretta