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Caro direttore,

quando arrivai a Montevideo nel novembre del 1965, avevo 12 anni appena compiuti e per me era tutto nuovo. Un paese dove si parlava una lingua diversa dalla mia, non avevo mai preso lezioni di Spagnolo, ma, a quella etá, é tutto piú facile, anche perché, imparare lingue, per me, non è tanto difficile!

Primo destino: la Scuola Italiana di Montevideo perché, in Italia avevo finito la Prima Media e mio padre Luigi, aveva un contratto per 3 anni in Uruguay, dopo di che, dovevamo tornare in Italia. Alla Scuola Italiana della Via Magallanes (ancora la sede non era stata trasferita a Carrasco), entrai nel cosiddetto 1o Liceo ed avevo alcune lezioni diverse ai miei compagni. In ogni caso, il mio Karma erano il Latino e la Matematica. Proprio negato, anche se, non sono stato rimandato, eccetto nel quarto liceo, proprio in Latino e fu l'unico esame che feci, eccetto quello di Maturità a Buenos Aires e quelli universitari. 

Ricordo che mio padre aveva visto in me il giornalista e chiese ad un suo amico, Tullio Guiglia, che conduceva un programma che si chiamava LA VOCE D'ITALIA, di farmi cominciare a leggere le notizie del giornale radio. Avevo 15 anni e fu appunto nel 1968 che feci i miei primi passi nel giornalismo. 

Fu il quel momento che cominciai a scoprire una comunità italiana molto affiatata, piena di associazioni, di club, di italiani nati in Italia e discendenti, che, a migliaia, tutte le settimane, si riunivano nelle loro sedi e realizzavano riunioni moltidudinarie, come la Giornata degli Italiani. Ques'ultima era una vera e propria Kermesse, dove migliaia di italiani (un anno ricordo che eravamo oltre 10.000 simultaneamente) ci riunivamo, mangiavamo, bevevamo, organizzavamo balletti regionali, canti e si potevano degustare i nostri migliori piatti, da quelli siciliani a quelli calabresi, dai piemontesi ai lombardi, dagli abruzzesi ai liguri, insomma, quasi tutte le regioni erano rappresentate.

C'era il Comitato Consolare, una specie di COMITES, ovviamente molto più attivo e pieno di iniziative, formato dagli ultimi BIG della nostra collettività, come Muzi, Costanzelli, Paolini, Benini, Bravin, Monciotti, Del Duca, Cario e tanti altri.......tutti nati in Italia ed estremamente attivi.  

In quell'epoca non era facile fare l'Ambasciatore o il Console che, in ogni caso, non mancavano a nessuna attività ed erano amici di tutti noi, anche se, in realtá, la categoria di Consolato, fu sempre con alti e bassi. È anche vero che la comunità era formata, nel 1968, da non piú di 12.000 persone con le rispettive cittadinanze.

Nel 1986, grazie all'insistenza di tutte le comunità italiane del mondo, lo Stato, o meglio, il Parlamento, creó il COMITES (Comitato Italiani all'Estero) e il primo Presidente fu il compianto Franco Magno, una specie di tuttofare calabrese che non poteva stare mai fermo. 

Anche con il COEMIT le attività erano tante, si continuava a fare la Giornata degli Italiani, preferentemente in occasione del 2 Giugno. Dopo alcuni anni, ci fu la grande "esplosione" delle richieste di cittadinanza. La dittatura e le  diverse crisi economiche spinsero decine di migliaia di discendenti, a chiedere la cittadinanza italiana, un fenomeno che si moltiplicó anno dopo anno per raggiungere, nei primi anni del ventunesimo secolo, un ritmo che, oggi giorno, ha portato il numero di passaporti dai 12.000 del 1965 ai 130.000 di oggi, esistendo in Uruguay, quasi il doppio chedi passaporti spagnoli.

Tutte le epoche sono differenti, su questo non ci piove, ma, con la corsa al passaporto italiano, é nato anche un altro fenomeno. Piú italiani, meno italianità. Di questi 130.000 "connazionali" il 95% non parla la nostra lingua e si è presa la nostra nazionalità, come qualcosa di accessorio, ci ridono anche sopra. Quante volte ho sentito: "Ahhh sos italiano? Bueno, yo también, igual que tu!" - con un sorrisetto da presa in giro. Sono gli stessi che non ricordano neanche da dove provengono: "Me hice italiano porque mi suegra logró la ciudadanía y se la pasó a mi mujer y mi mujer me la pasó a mi! Ni idea de donde era el bisabuelo de mi esposa".

Quanto volte abbiamo ascoltato frasi del genere? E queste persone, arrivano a Fiumicino con il passaporto comunitario, ma quando un carabiniere chiede qualcosa rispondono: "Yo no hablo italiano" mentre il carabiniere li guarda con sospetto e pensa: "Ma come? Questo dice di essere italiano e non sa dire neanche una parola?".

Tutto è cambiato, tutto è diverso. ma in questo costante allontanamento dalle nostre radici, un gruppuscolo di connazionali, ovviamente oggi si tratta di nipoti o pronipoti, assieme a noi di GENTE D'ITALIA, continuiamo a coltivare ancora le nostre tradizioni e i nostri costumi.

È duro e molto triste raccontare tutto questo processo, in un momento che, alle elezioni del COMITES attuale, di 98.000 aventi diritto, hanno votato appena 3000 persone. Molte volte tutti noi, da giornalisti, a dirigenti di associazioni, da rappresentati regionali a Consultori (dei pochissimi che rimangono) pensiamo: "Ma chi ce lo faffá?"!!!

Intanto noi ci sentiamo molto orgogliosi di essere gli ultimi bastioni di italianità e se non ci fossimo.......l'Italia, come concetto, come patria, come tradizione....sarebbe solo un ricordo!

 

STEFANO CASINI