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di Cristofaro Sola

Nessuno pensa che i russi abbiano avuto ragione ad aggredire l'Ucraina. Il ricorso alla forza, in teatri complessi come l'Europa, è profondamente sbagliato e gli ucraini impegnati a difendere la propria Patria meritano ammirazione e rispetto. Punto. Tuttavia, tra il riconoscere l'errore gravissimo commesso da Mosca e applaudire acriticamente alla reazione isterica dei Paesi del Blocco occidentale, corre un abisso. A bendarsi gli occhi in presenza di colossali stupidaggini che a Bruxelles, a Washington e nelle principali capitali europee si stanno compiendo, non ci renderà più liberi ma solo complici di un immane disastro. Che qualcuno pagherà più degli altri. Cassandra non c'entra, bisogna guardare in faccia la realtà.

Dall'accelerazione delle iniziative sanzionatorie prese nelle ultime ore appare chiaro che i governi dell'Unione europea stiano puntando sulla caduta di Vladimir Putin e all'implosione del suo potere autocratico. Una convinzione che si alimenta quotidianamente di suggestioni non verificabili e che ha fornito certezze, che tali non sono, ai decisori politici europei. La prima. La forza d'invasione non è riuscita a prendere la capitale Kiev e le principali città ucraine nei sei giorni dall'inizio delle operazioni belliche, ergo: la blitzkrieg voluta da Putin è fallita. Domanda: da quando una guerra lampo, per essere classificata tale, deve risolversi all'annientamento della resistenza nemica in meno di una settimana? La seconda. L'ondata di sanzioni economiche che si stanno abbattendo sulla Russia porterà al default della nazione, al quale seguirà la crisi degli approvvigionamenti di generi di prima necessità e, subito dopo, la ribellione delle masse depauperate. Domanda: quali elementi di certezza hanno in mano i capoccioni europei per asserire l'impossibilità del Governo russo di reggere l'impatto delle sanzioni? La terza. Gli oligarchi della sfera del presidente Putin, di fronte al sequestro dei loro immensi patrimoni, depositati nelle banche dell'Ovest europeo, potrebbero ordire una congiura di palazzo per eliminare l'ormai scomodo "benefattore". Domanda: Vladimir Putin, cresciuto professionalmente nel Kgb ai tempi dell'Unione sovietica, in grado di eliminare fisicamente i suoi oppositori – cosa di cui l'Occidente da anni lo accusa – sarebbe tanto sprovveduto da esporsi alle trame dei congiurati senza prevenirle? E poi, ammesso che le cose vadano come auspicato dall'Alleanza occidentale, chi ci assicura che il successore di Putin sia democratico e liberale e non, invece, un eurasista ancora più tetragono nei confronti dei Paesi dell'Unione europea e degli Stati Uniti d'America? La quarta. La più fantasiosa. Putin è malato. Nelle apparizioni televisive appare stanco, ha lo sguardo annebbiato e il volto gonfio da abuso di farmaci, si mostra irascibile con i suoi collaboratori, si trincera dietro una solitudine paranoica. Domanda: da quando le diagnosi sulla salute di un individuo, e ancor più sul suo stato mentale, le fanno gli esperti di prossemica e di comunicazione, osservando il soggetto studiato attraverso uno schermo televisivo?

Se questi sono i presupposti sui quali i leader occidentali hanno preso le loro decisioni, c'è da temere che nell'angolo non sia finito Putin ma tutti noi. Sono consapevoli questi nostri fenomeni che aver portato il livello di scontro prossimo al punto di non ritorno rischia di essere devastante per il futuro dell'Occidente? Già, perché aver deciso di fornire armi pesanti ai resistenti ucraini e aver autorizzato i cittadini dei propri Paesi ad arruolarsi nella brigata internazionale che si sta allestendo in Ucraina, per combattere sul campo i russi, è una dichiarazione implicita di entrata in guerra. Si sono chiesti i leader europei cosa accadrebbe se Mosca dovesse portare a compimento l'invasione? La sconfitta non sarebbe solo di quel popolo e del suo Governo ma ricadrebbe anche sugli alleati occidentali. Comunque, nessuno più di noi è convinto che le battaglie in cui si crede debbano essere combattute sempre e non soltanto quando si ha la certezza della vittoria: è questione d'onore. Perciò, se il nostro Governo ha schierato l'Italia da una parte del campo contro l'altro, chiunque sia convintamente di destra non può fare altro che accettarlo. My country, right or wrong: è il mio Paese, giusto o sbagliato. L'avessimo ricordato in altre circostanze, saremmo stati più rispettati fuori dai confini. Ma tant'è. Però, se dobbiamo sacrificarci, il Governo non deve raccontarci balle per tenersi una scappatoia nel caso le cose dovessero andare male. É bene che le persone, che oggi sono in ansia per la sorte degli ucraini, sappiano cosa ci attende da domani. Le scelte sanzionatorie contro la Russia le pagheremo molto più degli altri partner europei e statunitensi. Non è solo questione di costo della bolletta energetica che sta sfondando tutti i tetti finora immaginati. Le sanzioni varate comporteranno una rottura nei rapporti economici con la Russia che ha numeri precisi.

Se l'onore non ha prezzo, gli affari e gli scambi commerciali sì. Allora che si conosca quanto costerà questo sussulto, nobilissimo, d'orgoglio per la difesa della libertà degli ucraini. Un report interno, circolato giorni orsono in Confindustria, documenta che "la Russia accoglie il 2,4 per cento dello stock italiano di capitali investiti nel mondo. I capitali italiani hanno realizzato 442 sussidiarie che occupano circa 34,7 mila addetti e producono un fatturato pari a 7,4 miliardi di euro, crescendo mediamente del +7,5 per cento negli ultimi sei anni, molto più di quanto accaduto alle controllate nei Paesi extra-Ue (+2,2 per cento nello stesso periodo) e negli Stati Uniti (+5,2 per cento), primo Paese extra-Ue per presenza delle multinazionali italiane".

Lo scambio commerciale Italia-Russia, al 30 novembre 2021, ha traguardato un export totale per 7 miliardi e 10milioni di euro, contro un import per 12 miliardi e 657milioni di euro. Le categorie merceologiche maggiormente coinvolte nell'esportazione sono state: apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (455,15 milioni di euro); prodotti alimentari (361,29 milioni di euro); articoli di abbigliamento, anche in pelle e in pelliccia (757,8 milioni di euro); prodotti chimici (571,3 milioni di euro); mobili (299,39 milioni di euro). Mentre per l'import: gas e petrolio (5 miliardi e 777 milioni di euro); carbone e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (1 miliardo e 30 milioni di euro); prodotti della metallurgia (1 miliardo e 830 milioni di euro, come indicato da "Elaborazioni Ambasciata d'Italia" sui dati dell'Agenzia Ice di fonte Istat).

Stesso discorso per il grano e il mais. L'Italia, leader mondiale nella produzione di pasta, prodotti della panificazione e dolciari, si approvvigiona per la materia prima in quota significativa dalla Russia e dall'Ucraina oltre che, nell'area, dal Kazakistan. L'Italia importa ogni anno circa 120 milioni di chili di grano dall'Ucraina e altri 100 milioni dalla Russia. La guerra, in base alle stime di Coldiretti, ha provocato un rialzo del 10 per cento del prezzo della materia prima in una sola settimana. C'è il comparto del turismo, già messo in ginocchio da due anni di pandemia. Gli ultimi dati sul turismo dalla Russia risalgono al 2019. Il mercato russo, prima della crisi causa Covid, in Italia generava circa 1,7 milioni di arrivi annui con una capacità di spesa dei turisti russi nelle produzioni e nei servizi italiani superiore a 980 milioni, pari al 2,2 per cento della spesa totale dei viaggiatori stranieri transitati nel nostro Paese nello stesso periodo.

Poi c'è la questione del blocco delle transazioni finanziarie. In base a una stima della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), le esposizioni complessive da prestiti e da finanziamenti in Russia delle banche italiane ammontano a 25,3 miliardi di dollari, con ulteriori 6 miliardi circa di garanzie. Tutti i numeri fin qui snocciolati si traducono in: crisi del sistema produttivo, crollo dell'occupazione e conseguente maggior debito pubblico per sostenere il welfare state. E siamo solo all'inizio. Dobbiamo essere consapevoli che, indipendentemente dalla decisione di Putin di spedirci un ordigno nucleare, la bomba atomica ce la siamo già tirata addosso da soli.