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Nella vita degli italiani all’estero esistono importantissime espressioni della madre patria, di cui i cittadini e gli italodiscendenti sanno poco o nulla, quindi non si avvalgono del fatto che esse sono al loro servizio. Parliamo un attimo di una di queste: una realtà fondamentale che consiste negli Istituti Italiani di Cultura – IIC. Tra quattro anni, nel 2026, gli IIC compiranno un secolo di vita, perché furono istituiti nel 1926 dal governo fascista con funzioni principalmente propagandistiche del regime. Le successive modifiche legislative, datate 1940 e 1967, ci hanno portato alla legge vigente, n. 401 del 22 dicembre del 1990, che all’Art. 2 impone agli IIC di soddisfare il seguente interesse dell’Italia: “La Repubblica promuove la diffusione all'estero della cultura e della lingua italiana, per contribuire allo sviluppo della reciproca conoscenza e della cooperazione culturale fra i popoli, nel quadro dei rapporti che l'Italia intrattiene con gli altri Stati”. Una finalità cruciale per il nostro Paese che ha prodotto la lingua e la Costituzione più belle del mondo, insieme a una tale quantità d’arte da sorpassare la somma di un gran numero di Paesi, che sono stati capaci soltanto  di sprazzi di creatività e gloria, limitati nel tempo. Gli IIC sono 85, così distribuiti: 41 in Europa; 17 in Asia; 9 in Africa; 7 in America del Nord e 11 in America Latina, fra cui quello di Montevideo, la capitale dove si produce e si pubblica La Gente d’Italia, unico quotidiano rimasto nel mondo e ottimo diffusore dell’italiano. Gli IIC sono a tutti gli effetti degli organi periferici del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, che però nel suo sito ne cita soltanto 82. Fino a un massimo di dieci IIC possono essere guidati da un Direttore “di chiara fama”, vale a dire un altissimo esponente della cultura e dell’arte dello Stivale, e sono situati nelle maggiori capitali culturali del mondo, fra cui: Berlino, Bruxelles, Londra, Mosca, New York, Parigi, Pechino, Tokyo. Gli altri direttori sono nominati dal MAECI “fra il personale dei livelli IX e VIII appartenente all'area della promozione culturale”. Fra essi c’è anche il Direttore dell’IIC di Montevideo. Sia in un caso che nell’altro, “il melone può uscire bianco” come dicono i napoletani quando il taglio del cocomero rivela una polpa pallida e insipida con grave nocumento e dispiacere di chi aveva già l’acquolina in bocca per consumarselo e goderselo. Gli Istituti hanno compiti di “promozione e diffusione della cultura e della lingua italiane negli Stati nei quali hanno sede; stabiliscono contatti con istituzioni, enti e personalità del mondo culturale e scientifico del paese ospitante; favoriscono le proposte e i progetti per la conoscenza della cultura e della realtà italiane o comunque finalizzati alla collaborazione culturale e scientifica; forniscono la documentazione e l'informazione sulla vita culturale italiana e sulle relative istituzioni; promuovono iniziative, manifestazioni culturali e mostre, eccetera”. Non è poco, anzi, è davvero molto ed è entusiasmante perché concede ampio spazio di interventi. I Direttori degli IIC devono lavorare sodo per attrarre e guadagnare il rispetto per la cultura italiana sia negli ambienti locali che nelle nostre collettività.  C’è anche un'altra funzione basilare dell’IIC, che ci riguarda da vicino, vale a dire: “sostenere iniziative per lo sviluppo culturale delle comunità italiane all'estero, per favorire sia la loro integrazione nel paese ospitante che il rapporto culturale con la patria d'origine”. L’IIC, dunque, deve assistere gli esponenti della nuova mobilità per inserirli nel tessuto locale e, al contempo, deve ricondurre alla conoscenza dell’Italia i discendenti di una lontana emigrazione. In particolare, diciamo noi, nei Paesi latinoamericani in cui la stretta parentela delle due lingue romanze, spagnolo e italiano, ha praticamente spazzato via la conoscenza dell’idioma d’origine. Avete mai sentito parlare di quest’obbligo del vostro IIC? È mai stata esercitata questa funzione dai vostri rispettivi IIC? Non basta. La legge dice che a questo scopo: “presso gli Istituti possono essere costituiti Comitati di collaborazione culturale per contribuire alle attività degli Istituti stessi”. Ne possono far parte a titolo onorario: “esponenti culturali dei paesi ospitanti particolarmente esperti o interessati alla cultura italiana, nonché esponenti qualificati delle comunità di origine italiana. Le proposte per la costituzione dei Comitati, e per la nomina dei loro membri, sono formulate dai direttori degli Istituti e sottoposte all'approvazione delle autorità diplomatiche competenti per territorio”. Ne avete mai sentito parlare? Sono mai stati costituiti dai vostri rispettivi IIC? Nei comuni ricordi del collettivo Carlo Cattaneo, nel corso dei 32 anni che ci separano dall’entrata in vigore della legge 401, questi Comitati sono stati creati in numeri irrisori, per periodi di tempo brevissimi, nei primi anni ‘90, poi sono letteralmente spariti dalla faccia della terra. Non basta ancora. Un altro organismo collegiale, creato dall’Art. 4 della legge 401, è: “La Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana all'estero, presso il MAECI, con i compiti di: “proporre gli indirizzi generali per la promozione e la diffusione all'estero della cultura e della lingua italiane e per lo sviluppo della cooperazione culturale internazionale; esprimere pareri; formulare proposte di iniziative per settori specifici o con riferimento a determinate aree geografiche, in particolare a quelle caratterizzate da una forte presenza delle comunità italiane; e predisporre un rapporto sull'attività svolta”. Di questa folta Commissione abbiamo perso tutte le tracce. Per gli italiani all’estero ne fanno parte anche due Consiglieri del CGIE, scelti obbligatoriamente fra quelli residenti a Roma, perché in passato veniva convocata con breve preavviso per riunioni che duravano poco più di un’ora, al massimo due. Bisognerà indagare per capire se essa c’è ancora formalmente, se vive in regime di prorogatio permanente o se esiste soltanto sulla carta perché, come per l’araba fenice, le si applica il detto: “Che ci sia, ognun lo dice. Dove sia nessun lo sa”. Ma dell’araba fenice si afferma anche che: “…rinasce dalle sue ceneri più bella e più forte che pria”. Impegniamoci, tutti insieme, a raccogliere dati su quanto fanno gli IIC vicini a noi, quali attività e iniziative hanno realizzato, se insegnano lingua e cultura italiane, se hanno chiesto e ottenuto dalle autorità consolari la nomina dei Comitati di collaborazione culturale, se lavorano a fianco della comunità di origine italiana, se dialogano con le autorità locali, se si rapportano con gli italodiscendenti che hanno cariche ad alto livello. Se, insomma, fanno il loro dovere e il loro lavoro con “acribia”, un bellissimo sostantivo che deriva dal greco “akribeia” e significa: “accurata e rispettosa osservanza delle regole metodiche proprie di uno studio, una ricerca, un’attività, un dovere e così via”. E se scopriamo che non è vero, dobbiamo pretendere e ottenere che chi non assolve appieno agli impegni del suo incarico venga sostituito da sinceri servitori dello Stato italiano.  

(Carlo Cattaneo)