di GIULIA BELARDINELLI

L'ipotesi di un accordo con Mosca per sbloccare l'esportazione di milioni di tonnellate di grano che rischiano di marcire nei porti ucraini presenta un mix di speranze e di rischi. Le speranze hanno a che fare con due elementi: 1) la possibilità di finalizzare almeno una piccola intesa in una guerra d'invasione attualmente priva di spiragli negoziali, possibilmente consegnando un ruolo al finora inutile Onu; 2) la consapevolezza che questo aiuterebbe a mitigare gli effetti di una crisi alimentare che rischia di diventare gravissima, con effetti sistemici globali (fame, carestie, disordini sociali, instabilità politica, insicurezza, migrazioni di massa). Il capitolo dei rischi, altrettanto notevole, può a sua volta essere diviso in due voci: 1) rischi militari (la possibilità che Mosca sfrutti lo sminamento del porto di Odessa per mettere a segno il temuto sbarco anfibio) e 2) rischi politici (i diversi vantaggi, più o meno diretti, che Putin cercherà di mettersi in tasca da questa situazione).

La questione dei corridoi navali sarà affrontata la prossima settimana in un doppio appuntamento: l'incontro a New York tra il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, e quello in Turchia tra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il suo omologo turco Mevlüt Çavuşoğlu, secondo il quale l'intesa dovrebbe prevedere "l'apertura di un corridoio sicuro" per consentire "il transito di navi cargo di grano attraverso il Mar Nero". L'ipotesi più accreditata – auspicata sia da Michel sia dal premier Mario Draghi – è che siano le Nazioni Unite a farsi carico di questo sforzo, trattandosi tra l'altro di un problema di natura umanitaria.

Le richieste degli ucraini sono chiare. Il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba le ha riassunte così in un'intervista a Repubblica: serve "un'operazione internazionale nel Mar Nero con l'aiuto di Paesi amici disposti a inviare le loro navi per sminare le acque e scortare il passaggio dei cargo, a cominciare da Odessa". Un'operazione del genere "si può fare solo con un impegno formale della Russia a non usare il corridoio per attaccarci". "Nessuno si può fidare dei russi – ha sottolineato Kuleba - per questo non ci basta la garanzia unilaterale del Cremlino. Servono Paesi terzi che si prendano la responsabilità di far rispettare l'accordo. Ci va bene anche l'intervento delle Nazioni Unite. Il nostro primo interesse è che il grano arrivi a chi ne ha bisogno".

La posizione di Mosca è, come al solito, ambigua. Nella retorica del Cremlino, la responsabilità della crisi alimentare è di Kiev e dell'Occidente, come se l'Ucraina avesse scelto di minare le sue acque per sport e non per impedire ai russi di prendersi tutta la costa, e come se le sanzioni occidentali colpissero indistintamente le esportazioni alimentari. "I militari russi garantiranno il passaggio senza ostacoli delle navi con grano dai porti ucraini al mar Mediterraneo se l'Ucraina risolverà il problema dello sminamento delle sue acque costiere", ha assicurato il ministro russo Lavrov. Ma è chiaro che in cambio Mosca vuole qualcosa, in particolare la revoca delle sanzioni che impediscono l'accesso delle navi russe ai porti europei.

Per Andrei Kortunov, direttore del Russian International Affairs Council (Riac), "la posizione russa non è cambiata: possiamo assistervi con le consegne di grano se voi alleggerite le sanzioni sui nostri prodotti agricoli e sui nostri fertilizzanti. Perché se l'Occidente è davvero preoccupato per la fame nel mondo, dovrebbe utilizzare tutte le opportunità per ridurre il problema. Questo si è sempre pensato al Cremlino", ha dichiarato in un'intervista . "Putin è abbastanza realista da capire che nessuno si sognerebbe mai di revocare tutte le sanzioni. L'alleggerimento dovrebbe essere in relazione alle sanzioni che possano avere effetto sul trasporto dei cereali russi e dei fertilizzanti russi e bielorussi. E potrebbe essere anche solo temporaneo".

Quel che è certo è che la questione del grano è allo stesso tempo enorme e urgente. Lo ha ribadito anche Draghi durante la conferenza stampa dopo il Consiglio Ue. "L'Ue sta cercando di muoversi anche su un altro fronte, quello di organizzare trasporti di grano via ferrovia", una via "più facile" rispetto a quella "di liberare i porti ma con una possibilità di trasporti più limitata". E "l'importante è fare presto: se i silos non saranno svuotati non ci sarà posto per il nuovo raccolto".

Secondo le stime, l'Ucraina deve esportare nel corso dell'estate oltre 20 milioni di tonnellate di grano, granturco e olio di semi, altrimenti i prodotti inizieranno a deperire. Questo avrebbe un grave impatto sull'economia ucraina ed effetti drammatici sui principali consumatori di questi beni soprattutto nell'area del Medio Oriente e del Nord Africa (Libano, Libia, Tunisia, Egitto, Giordania, Yemen...). "Ci sarà una carenza di beni alimentari primari, come il pane, e di qui un aumento del prezzo degli stessi. Dobbiamo ricordare che le insufficienze dell'offerta di beni alimentari primari, oppure i costi troppo alti, tendono a generare disordini sociali considerevoli e, a seconda del regime al potere, talvolta instabilità politica. Com'è noto, le rivolte arabe del 2011 cominciarono come rivolte del pane, senza arrivare alla Rivoluzione francese", ricorda Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche dell'Istituto Affari Internazionali (IAI). "Si tratta di una questione enorme, che genera effetti sistemici. Putin lo sa bene, lo ha sempre saputo, e probabilmente il blocco navale serve anche a questo proposito".

Malgrado le due navi russe affondate tra aprile e maggio (l'incrociatore Moskva e la fregata lanciamissili Admiral Makarov, ndr), "il blocco navale russo ha continuato a funzionare bene, rendendo impossibili le esportazioni e fornendo a Putin una leva", spiega l'esperto ad HuffPost. "Per aggirare questo problema ci sono solo tre possibilità, tutte difficili. Paradossalmente, la più semplice – per quanto rischiosa – è quella di trovare un accordo con Putin, cioè un allentamento del blocco navale in modo da permettere le esportazioni. In linea di principio, questo non contrasta con la posizione della Russia, che però è determinata a ottenere dei vantaggi e chiede qualcosa in cambio, ovvero la revoca delle sanzioni che impediscono l'accesso delle navi russe ai porti europei". Un'altra ipotesi – avanzata ad esempio dalla Lituania – è quella di forzare il blocco russo, cioè mettere in piedi un'operazione di natura umanitaria con lo scopo di permettere le esportazioni attraverso una coalizione ad hoc (magari una missione Ue) con il rischio che i russi le sparino addosso ma con il calcolo che non avranno il coraggio di farlo. Ma è un'ipotesi rischiosa – sottolinea Alcaro – e politicamente non c'è la volontà di correre questo rischio. L'ultima alternativa è il passaggio via terra, cioè il reindirizzamento delle rotte di esportazione dall'Ucraina ai Paesi Ue e da lì al resto del mondo, ma le sfide logistiche sembrano insormontabili nel breve e medio periodo. "La realtà è che ci stiamo avviando verso una gravissima crisi alimentare, oppure verso un accordo con Putin".

Putin è consapevole di questo vantaggio e punta a trarne più benefici possibile. "In più – aggiunge Alcaro - sa che mostrandosi aperto a parlare di questo, spingerà alcuni leader (in particolare quelli di Francia, Germania e Italia) a voler cercare un dialogo, e vista la reazione isterica che hanno avuto i Paesi baltici ciò genera una dinamica a livello d'immagine di un'Unione europea divisa. In realtà è normale che su questioni così complesse ci siano differenze e divergenze, il punto è se vengono ricucite o meno. Ma Putin (che è un maestro della propaganda e sa che c'è una certa stanchezza in alcuni Paesi europei, più di tutti il nostro) può sfruttare anche questo. Può anche non avere nessuna intenzione di concedere nulla, ma tenendo aperto il canale si genera una percezione, nei Paesi baltici o nella stessa Ucraina, che sia in corso un tentativo di appeasement da parte dei Paesi dell'Europa occidentale. Purtroppo le reazione eccessiva di alcuni Paesi baltici (che finora si sono comportati in modo esemplare, perché sono quelli che più di ogni altro sono stati disposti a pagare un prezzo per difendere l'Ucraina) probabilmente spingerà Putin a continuare a fare queste aperture. Proprio per questo sarebbe molto opportuno, dal mio punto di vista, che francesi, tedeschi e italiani prima di fare queste iniziative si consultino o comunichino con i Paesi dell'area baltica e la Polonia in modo da chiarire cosa diranno e da evitare che la reazione sia questa, anche perché sulla revoca delle sanzioni serve il voto di tutti i Paesi membri".

Dal punto di vista pratico, il principale ostacolo è lo sminamento delle acque costiere. "Si tratta di mine antinave disposte dagli ucraini per prevenire un attacco anfibio, come un campo minato sul terreno", spiega ad HuffPost il generale Domenico Rossi. "Gli ucraini conoscono le posizioni delle singole mine; a disattivarle potrebbero essere loro oppure delle forze Onu". Quel che è sicuro è che ci deve essere una garanzia affinché, se si smina il porto di Odessa, si impedisca alle navi russe di entrare nel porto. "Si tratta di accettare che bisogna fare un patto con il diavolo – aggiunge Rossi - fermo restando che l'Ucraina può farlo solo se ci sono dei garanti che poi assicurino o il ripristino della situazione iniziale o una soluzione che impedisca ai russi di entrare nel porto di Odessa, che per loro resta un obiettivo strategico. Dal mio punto di vista, la Turchia come garante da sola non basta. Alla Russia potrebbe anche non andar bene, essendo un membro Nato. D'altronde non si tratta di una problematica Nato, ma di una problematica di carattere mondiale: sembra il tipico caso di un intervento Onu".

Non sfugge, infine, la dimensione geopolitica, come sottolineato anche da Draghi. "Non si può perdere la battaglia sulla sicurezza alimentare, altrimenti i Paesi che rischiano carestie e che già non stanno con l'Occidente si sentiranno traditi e non verranno mai dalla parte dell'alleanza. "Vincere la battaglia per la sicurezza alimentare è importante anche da un punto di vista strategico perché viene diffusa l'interpretazione che la carestia è causata dalle sanzioni, no: è causata dalla guerra. Ma molti dei Paesi africani non sono dalla parte dell'Occidente", ha aggiunto Draghi, ricordando i molti astenuti nel voto all'Onu sulla condanna dell'invasione russa.