di Claudio Paudice

"L'era dell'ordine mondiale unipolare dominato dagli Stati Uniti è finita, nonostante tutti i tentativi di preservarlo con qualsiasi mezzo". È con questo messaggio che il presidente russo Vladimir Putin ha deciso di aprire il suo atteso discorso all'Economic Forum di San Pietroburgo. I Paesi europei "stanno pagando il prezzo" delle sanzioni alla Russia e ora "non serve mostrarsi uniti perché l'Unione europea ha perso sovranità economica e politica". Questo è accaduto, ha spiegato, perché l'Ue "ha cercato di minare la nostra economia", invece "hanno minacciato la loro". La situazione in Europa "porterà a un aumento dei radicalismi e poi, in prospettiva, al cambio delle elite al potere". Al di là delle ragioni e del merito, il discorso di Putin divarica a dismisura la faglia nelle relazioni economiche e politiche internazionali di qui in avanti, andando ben oltre gli obiettivi militari che Mosca si è data con l'invasione dell'Ucraina. E lo fa dal palco dell'importante convegno che si tiene in questi giorni nella Federazione Russia al quale sono accorsi grandi pezzi dell'establishment economico e finanziario di Mosca e del suo "mondo nuovo", il Forum economico internazionale di San Pietroburgo. C'è il leader della Bielorussia Alexander Lukashenko, un rappresentante dei talebani, del Venezuela e di Cuba, il presidente kazako Tokayev e quello armeno Khachaturyan. In videocollegamento il leader egiziano al-Sisi e soprattutto l'amico cinese Xi Jinping. È la Davos di Putin, il palcoscenico russo che l'Occidente ha deciso di disertare sul fronte istituzionale ma che segue, tenendosi a debita distanza, con attenzione spasmodica da lontano.

La minaccia politica all'ordine mondiale lanciata dal leader del Cremlino era largamente prevedibile, per toni e per contenuti, analizzando uno dei primi interventi al Forum intitolato, non a caso "Nuove opportunità, nuovo mondo", quello di Aleksej Miller, Ceo di Gazprom, il monopolista russo del metano siberiano. Un discorso che i media europei hanno riportato solo per stralci, concentrandosi soprattutto sui pericoli nemmeno tanto celati a cui l'Ue si sta esponendo con la sua politica delle sanzioni nei confronti della Russia. Rischi di ordine strategico perché Gazprom ha candidamente ammesso di utilizzare le forniture di gas come un'arma economica. Constatazione peraltro banale, visto il drastico calo dei flussi di questi giorni che sta colpendo Paesi come Italia, Germania, Francia, Slovacchia e Austria, dopo il taglio già disposto per via del rifiuto di pagare in rubli a diversi importatori di Polonia, Bulgaria, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi.

Se non bastasse lo ha ribadito anche il vicepremier russo Novak: "Il mercato del metano in Europa potrebbe affrontare gravi problemi autunno e inverno. La Russia è pronta a fornire gas all'Ue" ma solo "se non ci sono ostacoli politici". Altrimenti, avverte Mosca, i prezzi "resteranno elevati per molti anni". Un anno fa il metano sul mercato Ue costava 20 euro per megawattora, oggi è ben oltre i 120 euro, ma da diversi mesi a questa parte ogni giorno ha la sua oscillazione e la sua pena, entrambe appese alle decisioni assunte dal Cremlino.

Tuttavia, se si legge per intero il lungo intervento di Miller a San Pietroburgo e si mettono in secondo piano i passaggi legati alla disputa ormai di normale amministrazione sulle forniture del gas tra Mosca e Bruxelles, si intravede una sorta di manifesto economico e finanziario che tradisce le reali intenzioni del Cremlino, ben oltre l'invasione militare dell'Ucraina. E traduce dal punto di vista economico il messaggio geopolitico che Putin ha deciso di mandare dal palco del Forum. Se la Russia riuscirà a realizzarlo, nessuno può stabilirlo ora ma le parole pronunciate dal Ceo di Gazprom meritano di essere analizzate, quantomeno per l'indiscussa vicinanza che lo lega a Putin: riconfermato a febbraio per altri cinque anni alla guida della più importante società energetica russa, alla fine del mandato sarà il manager pubblico più longevo della Federazione.

Miller parte da lontano, ovvero dalle modifiche contrattuali che l'Unione Europea diversi anni fa ha preteso da Mosca nella stipula dei contratti per le forniture di gas. Disancorare il prezzo del metano da quello del greggio, come avveniva prima della liberalizzazione del mercato Ue, e migrare dai contratti a lungo termine a quelli a breve o alle contrattazioni spot sono state le cause principali degli squilibri dei mercati dell'energia e delle materie prime del vecchio continente. Accordi sul breve termine, secondo il Ceo di Gazprom, hanno nei fatti minato la programmazione degli investimenti da parte russa, costringendola a rinunciare a una pianificazione di lungo periodo. "Ma, diceva un famoso imperatore", citando Napoleone Bonaparte, "se ti accorgi che il tuo nemico sta commettendo un errore, non impedirgli di farlo. Tuttavia, avevamo avvertito gli europei di quanto fosse rischioso farlo". Poi, prosegue, "abbiamo costruito il Nord Stream 2, investendo enormi quantità di denaro ma poi non lo hanno messo in funzione. Sorge una domanda: come ci si può fidare? Questa è una discriminazione nei confronti di noi investitori".

Per l'influente oligarca del metano si è rotto quel rapporto di fiducia tra Europa e Russia che dovrebbe essere alla base delle relazioni economiche tra due potenze. E ad andare in frantumi, oggi, non è solo quel rapporto commerciale di lunga data ma, soprattutto, due grandi sistemi: quello del mercato delle materie prime e quello "nominale" fatto dalle banche centrali e dalle riserve valutarie. Fino a oggi, dice Miller, ha dominato il secondo, con un sistema finanziario globale che dopo la fine del gold standard, da Bretton Woods a oggi, ha assegnato al dollaro americano il ruolo di valuta di riserva sempre più centrale nella regolamentazione degli scambi internazionali. "Ma quel sistema, Bretton Woods II, ormai non ha più senso. Le Banche centrali regolano i valori 'nominali', i tassi di interesse, i tassi di cambio. Ma sono tutti valori 'nominali'. Attraverso il controllo 'nominale' impongono le loro regole. Dicono: la valuta è nostra, le regole sono nostre e noi decidiamo come puoi utilizzare la nostra valuta. È la legge dell'Atlantico". Un riferimento al ruolo del dollaro, avvelenato dalla decisione di Usa ed Europa di congelare 300 miliardi di riserve valutarie della Russia e di bloccare le transazioni in dollari della Federazione Russa e della Banca Centrale Russa, come ritorsione per l'invasione dell'Ucraina attraverso la politica delle sanzioni.

"Cosa non controllano invece? Non controllano l'offerta delle materie prime e il suo volume. Perché non puoi dire come funziona il tuo sistema economico senza conoscere le regole di un particolare mercato delle materie prime". È la legge della taiga. Per questo, aggiunge Miller, tutte le "istituzioni del sistema di Bretton Woods perdono semplicemente il loro senso. Game over, gioco finito. E perché il gioco è finito? Perché la domanda di materie prime va a sostituire la domanda di riserve valutarie. È un cambiamento tettonico serio. Colossale". Che si regge su una triade composta da "energia e materie prime, cibo e potenza militare". E la Russia, nel nuovo ordine - dice sempre Miller - giocherà un ruolo da protagonista: "Siamo ricchi di risorse naturali e questo vuol dire che il nuovo tipo di struttura socioeconomica sarà determinato in larga parte dalla Federazione Russia. Non ci sono dubbi al riguardo".

Se la minaccia russa sia concreta o meno, forse ora conta poco stabilirlo. Ma certo spiega tutte le decisioni più importanti assunte dal Cremlino da quando è iniziata la guerra in Ucraina e la disputa economica con i Paesi occidentali. Il blocco delle esportazioni dei fertilizzanti è stata una delle prime misure introdotte per decreto da Putin all'indomani dell'invasione, col chiaro intento di colpire le coltivazioni al di fuori del blocco russo. La Russia produce più di 50 milioni di tonnellate all'anno di fertilizzanti, il 13% del mercato mondiale. Ancora: la costante riduzione delle forniture di gas all'Europa è iniziata ancor prima del conflitto. Il dispiegamento massiccio di forza militare nel Donbass, area ricchissima di litio, ricercatissimo dalla filiera industriale delle batterie elettriche, e poi tonnellate di manganese, il più grande bacino di titanio, e ferro, grafite, carbone: la presenza di metalli critici e altri elementi chimici basta da sola a spiegare perché il Cremlino voglia consolidare la sua presenza nelle repubbliche separatiste autoproclamate. Ancora: l'accanimento sulle aree delle grandi acciaierie ucraine, Azovstal e Zaporizhstal, che forniscono ingenti quantità di neon, un gas indispensabile per la lavorazione dei semiconduttori, i chip alla base di una marea sterminata di prodotti tecnologici. Due dei cinque più grandi stabilimenti che 'raffinano' il neon sono le società Ingas e Cryoin, che pesano  per circa la metà nella fornitura globale di neon ad alta purezza all'industria dei semiconduttori. La prima si trova a Mariupol, la seconda a Odessa, target tra i più importanti nell'avanzata russa. Secondo un rapporto di Moody's, l'Ucraina produce oltre il 50% di neon a livello globale. Infine il blocco dei porti nel Mar Nero e nel Mare d'Azov per impedire l'uscita di 20 milioni di tonnellate di grano, a costo di innescare una crisi alimentare globale. La Russia è inoltre il terzo produttore di petrolio al mondo e sta già stipulando accordi con diversi Paesi, come India e Cina, per dirottare i barili che l'Ue ha deciso di non comprare più come stabilito dall'embargo approvato col sesto pacchetto di sanzioni. Da quando è iniziato il conflitto il prezzo del greggio si è ormai stabilizzato sopra i 110 dollari, andando più volte sopra i 120 dollari, ma molti analisti prevedono che presto salirà a quota 150 dollari se non oltre. È l'uso delle materie prime come arma economica. "Il gioco di Bretton Woods II è finito, quello di controllare i valori nominali del denaro, dei cambi, è terminato", ha concluso Miller. "E cresce invece il ruolo delle materie prime e dell'energia. Perché servono per tutto. La Russia ne è piena".